Divorzio, una tragedia sociale dimenticata
Le origini della questione divorzio sono da collegarsi con la fine della società cristiana, accelerata dal pensiero politico moderno, con l’abbandono del diritto naturale.
Una brevissima storia del divorzio in Italia può farci capire alcune cose importanti. Agli inizi del XIX secolo il Regno d’Italia napoleonico e il Regno di Napoli, recependo il Codice civile di Napoleone, introdussero per primi il divorzio. Cadute queste realtà politiche non si parlò più di divorzio fin verso la fine del secolo, quando varie proposte di leggi divorziste furono presentate nel 1878, 1882, 1883, 1892 ma senza trovare successo. Nel 1902 Zanardelli presentò un progetto di legge che fu respinto con un voto massiccio. Poi ancora vari decenni di silenzio, fino al 1954 e al 1958 con le proposte Sansone, che non vennero nemmeno discusse in aula. La svolta avvenne nel 1965 quando Loris Fortuna presentò una proposta di legge attorno alla quale si mobilitarono i Radicali. La legge Fortuna-Baslini fu approvata dal Parlamento alla fine del 1970. Quattro anni dopo un referendum popolare la confermò. Loris Fortuna era socialista e radicale, Antonio Baslini era liberale. È bene notare, di passaggio, che la Costituzione repubblicana dice sì che la famiglia è fondata sul matrimonio, ma non afferma che il matrimonio è indissolubile.
Questa breve storia può favorire alcune altrettanto brevi riflessioni. Innanzitutto, le origini della questione divorzio sono da collegarsi con la fine della cristianità, in atto già da tempo ma giunta al capolinea con il pensiero politico moderno, la Rivoluzione francese e il nuovo tipo di Stato inaugurato da Napoleone e imitato poi da tutti gli Stati del XIX secolo. La possibilità del divorzio comporta l’abbandono del diritto naturale e l’acquisizione della visione della società come “convenzione”.
Secondariamente è da notare che per lungo tempo i tentativi di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano lo statuto del divorzio finirono in un fallimento. Il motivo è che il senso del diritto naturale continuò a vivere sia nella popolazione sia addirittura nei politici “illuminati” i quali, pur essendo irreligiosi o anticlericali, consideravano il matrimonio come un istituto di diritto naturale. La cosa può essere interpretata in due modi: 1) finito il fondamento religioso del matrimonio è possibile che permanga comunque quello naturale; 2) venendo a mancare il fondamento religioso del matrimonio si finirà con il venire meno anche di quello naturale, solo bisogna aspettare un certo tempo.
Io sono più favorevole alla seconda interpretazione. Infatti, quel momento è poi arrivato, tardi rispetto ai primi tentativi, ma è arrivato. Una terza osservazione riguarda la confluenza su questo tema del socialista Fortuna e del liberale Baslini e, dietro di loro, dei rispettivi partiti e movimenti culturali e sociali. Socialismo e liberalismo sono due facce della stessa medaglia e convergono fisiologicamente nel radicalismo. Dopo di allora ne abbiamo avuto innumerevoli prove. Un’ultima sottolineatura: la Costituzione italiana ha molti punti neri, uno di questi è di non aver blindato il matrimonio dichiarandone l’indissolubilità. L’avrebbero raggirata lo stesso, intendiamoci, ma con maggiori difficoltà.
A distanza di tanti anni, nessuno in Italia si permette più di spendere una parola di critica del divorzio, Chiesa cattolica compresa.
Stefano Fontana