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RIFLETTERE SUL PAPA

Diventare "come Dio", una questione di amore

Nell'omelia del Giovedì santo Benedetto XVI ha affrontato il nodo del rapporto tra obbedienza e libertà,
un legame da comprendere bene.

Editoriali 10_04_2012
La Trinità

Nell’omelia, intensa e profondissima (da leggere e rileggere) pronunciata nella Messa del Giovedì Santo, Benedetto XVI ha concluso il suo discorso soffermandosi sulla preghiera di Gesù nel Getsemani: «Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).

Nell’imminenza dell’abisso di sofferenza che lo sta per travolgere, «la volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato». È la reazione naturale.

Tuttavia Gesù, «in quanto Figlio [corsivo nostro; ci torneremo fra poco], depone questa volontà umana nella volontà del Padre». In questo modo, «Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo» (ed anche di quell’Angelo che, col non serviam, volle la ribellione, volle sovvertire la relazione tra sé e Dio): infatti, «l’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato».

È un aspetto fondamentale dell’atteggiamento gnostico. Lo gnosticismo, infatti, è una corrente che ha una collocazione storica precisa (specialmente II e III secolo d.C.), ma esprime un atteggiamento che risale al «non serviam», che prosegue con la ribellione di Adamo e poi percorre la storia dell’uomo: esso consiste nel rifiutare lo status di creature finite per voler essere divini.

Questo rifiuto avviene soprattutto perché, per ritornare alle parole del Papa, «Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui - questo è il nostro pensiero - solo allora saremmo liberi». E questa è «la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita», perché «Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio”»

Di primo acchito queste tesi possono suonare false. Tuttavia sono profondamente vere e si possono giustificare (qui in modo necessariamente breve) in almeno due modi.
In primo luogo, chi rifiuta Dio finisce spesso per adorare un altro dio: il potere, il denaro, il sesso, il Partito, la Razza, la Nazione, la Ragione, il Comunismo, il Nazismo, eccetera, e molti di questi dei lo rendono pressoché schiavo, lo soggiogano (parzialmente o totalmente), lo avvinghiano nelle loro spire.

In secondo luogo, per comprendere la libertà dell’uomo di fronte a Dio bisogna soffermarsi sull’espressione poco fa evidenziata: «in quanto Figlio». Infatti, è nell’essere figli di Dio che anche gli umani possono conseguire la libertà pur obbedendogli.
Ovviamente ci sono molti modi di «essere figli». Si può essere figli che hanno terrore del padre, che gli ubbidiscono per timore di una punizione, ecc.

Ma si può essere piuttosto figli che ascoltano e capiscono le ragioni del padre (come dice già Aristotele, parlando della virtù, in Etica Nicomachea, 1102 b 30-35), figli che amano i genitori e che fanno ciò che i genitori desiderano appunto perché comprendono le loro ragioni e perché li amano. La libertà dei figli di Dio è proprio conseguenza sia della comprensione della ragionevolezza delle richieste di Dio (soprattutto quando si comprende che esse sono benefiche per l’uomo), sia dell’amore verso il Padre, dato che tutto ciò che facciamo per amore ci pesa di meno, o ci risulta spesso gradito, o addirittura gioioso. È questo il significato autentico del travisatissimo «ama e fa’ ciò che vuoi» di Agostino: se amo qualcuno, quando faccio/ometto qualcosa per lui, faccio/ometto quello che voglio, perché l’amore mi fa agire volentieri.

A che cosa allude, però, il Papa dicendo che nella relazione con Dio «diventiamo veramente “come Dio”»? Probabilmente, l’implicito è il seguente. Intanto, «Dio è amore» (1 Gv, 4,8) e dunque chi vive continuamente animato dall’amore partecipa, in qualche modo, alla vita divina, anche in forza dell’elevazione della grazia. Ma il discorso si può ulteriormente approfondire.

Infatti, nella relazione con Dio (che tra l’altro è quella costitutiva, perché Dio non soltanto crea ogni entità, ma inoltre mantiene nell’essere e fa perdurare ogni cosa, compreso l’uomo, che viceversa scomparirebbe nel nulla: il rinvio è a Tommaso d’Aquino) si esprime in modo eminente la relazionalità umana, anche perché la relazione d’amore con Dio esige la relazione d’amore con coloro che Dio ama, cioè con ogni essere umano.

Ora, in che senso dispiegando questa relazionalità amorosa, «diventiamo veramente “come Dio”»?
Per rispondere, è decisamente perspicuo un testo dell’allora cardinal Ratzinger (Libertà e verità, ripubblicato in Idem, La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Ares, Milano 1996, pp. 13-36). Il desiderio di molti movimenti di liberazione - dice questo scritto di Ratzinger - è spesso  quello «di essere finalmente come un Dio», e «L’errore originario di tali radicalizzate volontà di libertà sta nell’idea di una divinità concepita in modo puramente egoistico. Il Dio cosi inteso non è un Dio, ma un idolo, anzi l'immagine di colui che la tradizione cristiana chiamerebbe il diavolo - l’antidio -, poiché in esso si rinviene proprio l’opposto radicale del vero Dio: il vero Dio è per sua essenza totalmente “essere per” (Padre), “essere da” (Figlio) ed “essere con” (Spirito Santo)». Insomma, il Dio-Trinità è un Dio relazionale, in cui ogni Persona è amorosa relazione sussistente, è un Dio-Amore, la cui vita è relazione.

È così che si chiarisce ulteriormente perché, esercitando a nostra volta l’amore, esercitando beneficamente la relazionalità, «diventiamo veramente “come Dio”».