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WEB E PERSONA

Dito medio contro Salvini. Adesso odiare è "un diritto"

Una ragazza si fa fotografare mentre insulta l'ex ministro Salvini, immerso nel sonno, e pubblica la foto sui social. Lei prova a discolparsi, ma i giornali sono già partiti e sono andati oltre: ribaltando le responsabilità, danno la colpa al "capitano" per avere esposto alla "gogna social" una ragazza. E perché odiare "un potente" è "un diritto"

Editoriali 20_12_2019
Altre manifestazioni contro Salvini, con minacce esplicite

Scene di politica nell’era dei social network. La ragazza 19enne di nome Erika si ritrova sullo stesso volo di Matteo Salvini, senatore ed ex ministro degli Interni. Evidentemente la sicurezza è bassa e Salvini dorme, dunque lei, dimostrando una certa spigliatezza, si avvicina, mostra il dito medio (segno inequivocabile di disistima, quanto meno) mentre si fa il selfie col “capitano”. Poi manda il tutto sul suo profilo Instagram. Salvini, quando si sveglia, vede che la foto sta già diventando virale (noi non la pubblichiamo, per evitare che diventi ancor più virale, ndr). Che fa, denuncia? No, rilancia. E commenta, a modo suo: “Che bello viaggiare in compagnia di personcine educate! Poi magari vanno in piazza per combattere odio, violenza e maleducazione”.

La ragazza prova a difendersi così: «Ringrazio Matteo Salvini per aver esposto il mio nome ovunque, facendo sì che mi arrivassero insulti pesanti, minacce di morte, intimidazioni varie e materiale pornografico. Questa foto l’ho condivisa con i miei amici per evidenziare l’incredibile coincidenza di prendere un volo low-cost e ritrovarsi seduti insieme a Salvini. Il gestaccio era, piuttosto, rivolto alle persone a cui ho inviato la foto privatamente e nulla aveva a che vedere con Salvini». Credibile o no, non importa più, perché il dibattito pubblico aveva già preso un’altra piega. Gli opinionisti dei giornali di sinistra maggiormente sensibili ai temi giovani hanno infatti esposto argomenti più realisti del re. È Salvini che viene posto sotto accusa. Per poter invertire la causa con l’effetto, l’aggressore con l’aggredito, sono stati usati vari argomenti. Vediamone tre.

Il primo: “chi semina vento raccoglie tempesta”. E’ il caso dell’articolo pubblicato a botta calda dall’Huffington Post dal titolo eloquente: “Se si indignano i mostratori di dito medio” (leggasi: i leghisti): «“Non si mostra il dito medio!”, dissero i mostratori di dito medio, i ruspisti di campi Rom e “zingaracce”, gli affondatori di barconi, i persecutori di ragazzi col cartello “Ama il prossimo tuo”, i lanciatori di banane, gli agitatori di bambole gonfiabili sui palchi, gli urlatori di insulti osceni alle Carole Rackete e alle pacifiche dissidenti calabresi». La rete si è riempita immediatamente di foto di Salvini che fa il dito medio (ai militanti dei centri sociali che lo avevano appena aggredito, ma vabbè).

Il secondo: “finalmente qualcuna ha umiliato il capitano”. Sempre Huffington Post, a firma di Fulvio Abbate, che non nasconde neppure un ribrezzo nei confronti della persona Matteo Salvini, come quando scrive: «Lei, Erika, sorride con pienezza, lui è gonfio come zampogna nelle ore del riposo pomeridiano, lei è lo specchio della gioventù, lui veste un abito color carta da zucchero, colore catastale, il peggiore che sia mai stato concepito, la sconosciuta Erika insomma lo sovrasta, e hai voglia di dire che si tratti di un gesto vergognoso da parte di persone che “poi magari vanno in piazza per combattere odio, violenza e maleducazione”, non ammettendo a se stessi che è un selfie da antologia, pronto a mostrarti nella tua nudità».

Il terzo: “è solo una ragazzina, la risposta di Salvini è stata sproporzionata”. Un argomento usato da Wired Italia, con un pezzo dal titolo che già dice tutto: “Lo statista che dava in pasto ai suoi follower ragazze di 19 anni”: «Non c’è bisogno di essere un attivista femminista in servizio permanente o un navigato militante in difesa della privacy per vedere un problema grosso come una casa, qui: una personalità politica che – se non fosse inciampato goffamente nelle pieghe del suo pigiama la scorsa estate – sarebbe ancora un ministro della Repubblica usa la gogna pubblica per rivalersi su giovanissime ragazze che lo contestano. Voler vedere soltanto le colpe di Erika e della sua cretinata significa ignorare il sottobosco di sessismo che questa pratica alimenta e la violenza indotta di cui si nutre…». E l’autore del pezzo, Davide Piacenza, giunge a un paragone sconcertante: «Vi ripeteranno che il modo migliore per evitare guai era non fare cose stupide. Eppure, mutatis mutandis, è lo stesso nonsense retorico a cui si aggrappano quelli delle gonne troppo corte o delle strade da non frequentare il sabato sera». Dunque reagire a un insulto, equivarrebbe a stuprare una ragazza? Solo con Salvini possono venire in mente paragoni simili.

Lo si deduce anche da quel che scrive sulla sua pagina Facebook anche la scrittrice Michela Murgia, che già in passato ha incrociato le lame con l’allora ministro degli Interni. Primo: giustifica «La satira, l'ironia e la provocazione sono per loro natura irriverenti, cioè non fanno la riverenza. Sono l'arma, in molti casi la sola, con cui una persona socialmente debole può attaccare un potente, un indifeso può attaccare il forte e un piccolo può sbeffeggiare un grande». Secondo: difende «Così il diritto democratico all'irriverenza verso un potente diventerà una gogna per il debole, un gioco a freccette, un massacro dove a prenderle non sarà quello grosso, ma ancora una volta il piccolo, trattato da nemico aggressore come se una sconosciuta studentessa con 4mila follower giocasse lo stesso gioco politico e mediatico di Salvini il senatore, Salvini l'ex ministro, Salvini il capo di partito, Salvini il comunicatore con 4 milioni di seguaci». Terzo: stabilisce un principio da lotta di classe « #odiareticosta non vuol dire che l'antipatia, la rabbia o la beffa non possano essere espresse. Significa che l'espressione del dissenso si esercita dentro un rapporto di potere dove non bisognerebbe mai dimenticare chi è il forte e chi è il debole». Detto in breve: è lecito esprimere odio contro chi è potente.

Ma se il potente è veramente potente, come il presidente Sergio Mattarella? In quel caso la musica cambia: una signora anziana, la “nonna hater” come l’hanno ribattezzata i media che ha insultato il presidente via social network è stata trascinata di fronte a un giudice, ha dovuto fare pubblica autocritica e tuttora rischia il carcere. Quella è gogna vera, di Stato, oltre che mediatica. Ma nessuna voce si è levata in difesa del debole e del suo (come lo ha definito la Murgia?) “diritto democratico all’irriverenza verso un potente”. Molto semplicemente perché c’è potente e potente. Se si chiama Salvini, è lecito esprimere odio nei suoi confronti. Anzi: è socialmente premiante. Le Sardine, nel loro manifesto, chiedono di equiparare la violenza verbale a quella fisica (principio mai riconosciuto dalla giurisprudenza nazionale e internazionale, potenzialmente pericolosissimo), ma loro stesse rivelano a chi si stanno riferendo. Perché i loro punti sono ritagliati su misura per ottenere un unico scopo: tappare la bocca al solo Matteo Salvini.

È un problema e non riguarda solo Salvini o i leghisti, ma la tenuta della pace democratica. Una democrazia è tanto più pacifica quanto più gli avversari si riconoscono reciprocamente. Una democrazia in cui l’opposizione non è considerata legittima diventa una guerra civile fredda, come è sempre stata nella Prima Repubblica. Ed è impossibile non notare che questo processo di delegittimazione sia sempre a senso unico: è la sinistra che delegittima la destra e le toglie la parola, la esclude dal dibattito, non la considera come un'alternativa democratica. È così in Italia con Salvini, nel Regno Unito con Johnson e Farage, negli Usa con Donald Trump (ora incriminato per causa puramente politica dai Democratici), Bolsonaro in Brasile, Netanyahu in Israele e così via. "La strategia finale della sinistra è negare il diritto di parola alla destra", commenta Yoram Hazony, filosofo conservatore. E per negare il diritto di parola tutto quel che occorre è condannare l'odio, quando a parlare è la destra, ma giustificarlo quando la parola passa a sinistra.