Dissesto idrogeologico, le cause storiche. E i rimedi
Il passaggio delle competenze alle Regioni in tema di difesa del suolo, il disinteresse politico, la soppressione del Corpo Forestale, l’esodo dalle montagne hanno aggravato il dissesto idrogeologico. Per porvi rimedio, la soluzione passa dai “Cantieri Verdi” e da una programmazione di 20-30 anni.
La difesa del suolo è alla base dell’ordinato sviluppo sociale ed economico di ogni Paese, ma da anni questo principio è scomparso dal lessico politico nonostante il nostro territorio sia preda di un diffuso dissesto idrogeologico che sistematicamente porta lutti e rovine.
Dopo la tragica alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, che emozionò tutto il mondo, il Parlamento assunse l’impegno solenne di dedicare alla difesa del suolo il massimo sforzo finanziario possibile. Fu istituita perciò una Commissione interdisciplinare composta dalle migliori professionalità del momento che elaborò una documentazione tecnico-scientifica di prim’ordine corroborata da una vasta serie di suggerimenti nel campo organizzativo, tecnico, amministrativo e giuridico oltre ad un piano integrato trentennale di spesa di circa novemila miliardi di lire. Purtroppo, more solito, al generale apprezzamento del lavoro compiuto non fece seguito altrettanto impegno sul piano politico-finanziario e dopo qualche anno di quella Commissione e delle sue conclusioni se ne persero le tracce tanto che la difesa del suolo rientrò fra le “tante ordinarie emergenze” del Paese nonostante il mezzo milione di frane esistenti, i cinquemila morti subiti e gli oltre 400 miliardi di euro spesi per la riparazione dei danni.
Prima del 1972 un diffuso e imponente sistema di opere idraulico-forestali nelle aree collinari e montane era stato realizzato dal Corpo Forestale dello Stato che conosceva palmo a palmo il territorio e possedeva le capacità tecnico-scientifiche per elaborare i progetti e metterli in opera in amministrazione diretta. Da quella data le competenze in materia furono trasferite alle Regioni determinando una frammentazione amministrativa deleteria per il governo del regime idraulico, richiedente invece una visione unitaria per bacini imbriferi e non per confini geografici. Nel frattempo ad aggravare il dissesto ha contribuito anche il progressivo esodo dalle montagne delle popolazioni agro-pastorali che avevano assolto nel tempo il fondamentale compito di disciplinare il deflusso delle acque attraverso la costruzione e la manutenzione di una miriade di opere di ingegneria naturalistica come fossi di scolo e drenaggi in grado di attenuare l’erosione dei terreni. Inoltre, contrariamente ad ogni logica pianificatoria, lungo le golene sono stati insediati sempre più massicciamente siti produttivi, capannoni, abitazioni, strade ed ogni sorta di attività a rischio di sommersione e distruzione.
Le emergenze, affermava Einstein, offrono sempre delle opportunità, basta saperle cogliere. Sarebbe il momento perciò di alzare lo sguardo su orizzonti più ambiziosi abbandonando le vecchie logiche della dispersione delle risorse per concentrarle su pochi ma qualificati settori come la ricerca e l’innovazione, la scuola, la sanità e soprattutto l’ambiente. Riguardo al dissesto idrogeologico, certamente non è né tollerabile né conveniente affidarsi alla buona sorte soprattutto alla luce della crisi climatica in atto. L’analisi costi-benefici dimostra che ogni euro in prevenzione fa risparmiare dieci euro in riparazione e soprattutto salva tante vite umane. Sulla base della mia esperienza posso affermare che la manutenzione del territorio e la difesa del suolo riverberano i loro benefici anche sull’occupazione, soprattutto quella giovanile, che rappresenta un vero e proprio dramma generazionale.
Dopo l’ultimo conflitto mondiale, per incoraggiare la ripresa economica e l’occupazione, furono adottate misure lungimiranti quali la creazione di “Cantieri Scuola” per la difesa idrogeologica. Fu così che nell’arco di una trentina d’anni la maggior parte dei torrenti, che sono l’ossatura principale del sistema idrico italiano, furono adeguatamente regimati attraverso la realizzazione di briglie e di consolidamenti spondali, così come migliaia di ettari di terreni vennero adeguatamente rimboschiti.
Purtroppo dopo il passaggio delle competenze alle Regioni il concetto della difesa del suolo, salvo lodevoli eccezioni, è quasi svanito dall’orizzonte politico fino a scomparire del tutto con la soppressione degli organi ad essa dedicati. Il risultato è che oggi non ci sono più strutture tecnico-operative che conoscono o sanno leggere il territorio in modo tale da poter progettare e realizzare le opere contenitive necessarie. Il solo organismo collaudato allo scopo, il Corpo Forestale dello Stato, è stato irresponsabilmente soppresso disperdendo un patrimonio straordinario di scienza e conoscenza indispensabile per elaborare adeguati piani di difesa idrogeologica. A testimonianza ci sono le opere realizzate nel passato che, sia pure ammaccate dall’usura del tempo e dall’assenza di manutenzione, ancora oggi svolgono onorevolmente la loro funzione regimante.
Fatte salve le grandi opere ingegneristiche di contenimento e di laminazione delle piene da realizzare in particolari contesti, occorre ora che le Autorità di Bacino riscoprano lo spirito e la concretezza dei Cantieri Scuola che, a mio parere, sono ancora di grande attualità ed efficacia. Si tratta di tornare ad una sana e realistica politica di piccoli ma diffusi interventi idraulico-forestali oltre ad una puntuale manutenzione del territorio (costruzione di briglie, pennelli, drenaggi, riparazione delle opere esistenti, ripristino dei canali e dei fossi di scolo, ripulitura degli alvei, rinsaldamento degli argini, realizzazione di graticciate, rimboschimenti, consolidamento delle pendici incendiate o in corso di erosione, ecc.) che si realizzano con accettabili costi di investimento e altissima resa in termini di sicurezza territoriale oltre che occupazionale.
Inoltre, poiché le foreste sono lo strumento di eccellenza per la difesa del suolo, bisogna tornare una buona volta a coltivare i boschi ai fini della corretta gestione del patrimonio forestale che negli ultimi 40 anni, a seguito dell’abbandono del territorio, ha raddoppiato la sua superficie raggiungendo, sia pure con soprassuoli in lenta evoluzione, oltre 11 milioni di ettari. Inoltre un bosco ben gestito regola meglio il deflusso delle acque, resiste di più alle patologie e agli incendi e può fornire ottimo materiale per i fini energetici e commerciali.
Rimanendo in tema e volendo contestualizzare una rinnovata politica di manutenzione e di difesa del suolo la soluzione, a mio parere, passa attraverso l’istituzione di una miriade di “Cantieri Verdi” disseminati sul territorio montano e collinare, oltre alla demolizione e delocalizzazione delle strutture e infrastrutture edificate abusivamente nelle casse di espansione dei corsi d’acqua. Infatti una cosa è certa: per attuare una efficace opera di difesa del suolo bisogna partire dalla consapevolezza che la pianura si protegge difendendo la montagna e la collina che insieme coprono il 75% del territorio. La scienza e l’esperienza insegnano infatti che l’insieme di piccole e diffuse opere idrauliche e agro-forestali realizzate in collina e in montagna fanno sistema e aumentano sensibilmente i tempi di corrivazione delle acque, condizione essenziale per farle defluire in modo ordinato. Non esistono altri sistemi. Chi disegna e propugna solo grandi opere di ingegneria idraulica sta pensando più ai progettisti e agli appalti che alla difesa del suolo.
Una seria politica di difesa del suolo esige un’attuazione temporale non inferiore a venti/trenta anni con un investimento non inferiore a 2/3 miliardi di euro all’anno. Un investimento accettabile se paragonato agli oltre 400 miliardi spesi nell’ultimo cinquantennio per riparare i danni provocati dal dissesto idrogeologico. Purtroppo, fra le varie proposte politiche per il rilancio del Paese, la difesa del suolo non compare fra le priorità da affrontare. È un errore grave perché la sicurezza del territorio è alla base dell’ordinato sviluppo economico di ogni comunità. Inoltre è un ottimo volano per ridurre la disoccupazione in quanto le risorse impiegate verrebbero destinate soprattutto al pagamento di salari (opportunamente defiscalizzati) per la formazione e l’occupazione prevalentemente di giovani, nel cui mondo peraltro ferve da tempo un rinnovato interesse per la salvaguardia e la conservazione dei beni ambientali e territoriali.
* Già direttore generale del Corpo Forestale dello Stato