Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

SOCIETÀ

Diminuisce la violenza, merito di regole e cultura

L'aggressività è naturale, serve
la disciplina. Parla (anche di peccato)
lo psicologo Richard Tremblay,
con sant'Agostino per maestro.

Attualità 28_06_2011
aggressività

 

Non si nasce buoni o cattivi, non è la società a decidere il nostro destino come volevano le famose teorie di Jean-Jacques Rousseau, diventerà un soggetto pericoloso per se stesso e gli altri chi non sarà riuscito, già dalla primissima infanzia, a sfogare o meglio a incanalare la naturale aggressività di ogni uomo in attività alternative come lo sport o la creatività in ogni sua possibile forma.

Con i suoi lavori di avanguardia il canadese, Richard Tremblay, pediatra, psichiatra e psicologo, attualmente professore di Sanità pubblica all’Università di Dublino, ha rivoluzionato gli studi sulla prevenzione della violenza e la socializzazione dei bambini.
La lunga carriera del professor Tremblay, iniziata nell’ Università di Montreal, è stata dedicata alla comprensione dello sviluppo dei comportamenti violenti e alla sperimentazione di programmi educativi che possano favorire lo sviluppo morale e sociale. In Canada Tremblay ha fondato un centro per le sue sperimentazioni, riconosciute internazionalmente produttive di risultati tangibili  sia nella riabilitazione dei ragazzi in carcere sia nella prevenzione della delinquenza.
La giuria del think tank liberale Società Libera, diretto da Vicenzo Olita, fra i cui membri figurano  Piero Ostellino e altri importantinomi della cultura italiana, ha riconosciuto ha appena tributatao a Tremblay, a Lucca, il "Premio alla Libertà per la ricerca scientifica".

«Ho scoperto», dice Tremblay a La Bussola Quotidiana, «che solo sant’ Agostino aveva tentato lo stesso mio approccio al problema dell’aggressività nell’uomo. Avviene nel primo libro delle Confessioni, quando il santo si interroga sul peccato e nota di non riuscire a ricordare quale sia stato il suo primo. Agostino inizia così a seguire le attività dei bambini fin da piccoli, sistematicamente, alla ricerca di una prima azione che si possa definirsi "peccato".
All’inizio dei miei studi non conoscevo peraltro questo precedente. Da scienziato non posso parlare di peccato, ma è vero che noi nasciamo, tutti, con uno scopo ben scritto nel nostro dna: riuscire a sopravvivere. Per questo gli esseri umani nascono "naturalmente" aggressivi e non è che l’aggressività è di per se un male perché, appunto, ci serve per trovare la forza di vivere.
Tra i due e i tre anni di età i bambini espreimono il massimo dell'aggressività: le botte che si scambiano, le urla e i giochi anche violenti che fanno, sono sfoghi di aggressività pura ma che di fronte a esseri tanto piccoli non fa paura. Necessario è da quel momento che l’educazione riesca a incanalarla in comportamenti più evoluti: lo sport, la creatività e quindi, anche e soprattutto, lo studio».

Lei, professore, parla di una genetica dell’aggressività e arretra l'osservazione fino al momento della gestazione del bambino...
Nell'aggressività vi sono fattori biologici ed ereditari. Se la madre è per esenmpio un’alcolista o, peggio, fa o ha fatto uso di droghe la cosa nuoce al feto propriop come un ambiente familiare poco ordinato incide sui nuovi nati. Il punto è l'assenza di regole, per esempio prescrizioni su cosa e come sia meglio nutrirsi. Le osservazioni evidenziano che il rischio di deliquenza è più comune tra i figli di madri molto giovani e quindi, spesso, con una vita precaria e pochi aiuti esterni. Ma conta molto anche la cultura dei genitori: non bisogna accettare i comportamenti eccessivamente violenti dei figli non cercando di incanalarli in giochi più tranquilli e soprattutto i genitori non devono disinteressarsi, magari assecondandoli o scherzandoci sopra, delle loro esagerazioni. E tutto fin da piccolissimi.

Assolve dunque televisione e videogiochi?
Naturalmente, se un genitore lascia un figlio davanti alla tivù tutto il giorno o con il videogioco in mano, la cosa non fa bene. Ma questo non per un pericolosità intrinseca di questi mezzi sulla psiche infantile: anzi, tivù e videogiochi sono modi per sublimare altrove l’aggressività naturale del bambino e quindi di per se stessi, insomma utili. Il problema vero è invece che, disinteressandosi del figlio, il genitore non ne vede i comportamenti fuori norma, quelli che sono scusabili in bambini piccolissimi ma che debbono esser tenuti sotto osservazione con la crescita fino ai 15 anni circa. Un 4% circa dei casi è però irrecuperabile.

Nei suoi libri lei enumera alcuni fattori che legano la pericolosità di un soggetto alla sua possibilità di ammalarsi. Ce ne parla?
C’è frequenza di malattie gravi nei soggetti altamente aggressivi. Nei ragazzi bisogna stare attenti che non ingrassino troppo, al diabete e alle patologie legate alla malnutrizione. Nelle nostre ricerche seguiamo protocolli di ricerche sanitarie e abbiamo notato questa facilità di combinazione dei due fattori, salute e violenza assieme.

Diminuisce o cresce la violenza nel mondo contemporaneo?
È diminuita in modo impressionante, e questo è il trend del futuro. Per questo ce ne interessiamo più di quando era un fatto tanto comune da non destare interesse particolare. Negli ultimi 500 anni gli omicidi in Europa sono in continua diminuzione 5 a 1. È il risultato dell’aumento di conoscenze e cultura per molti.

C’è alcuna differenza tra aggressività maschile e femminile?
Si, le donne imparano prima dei maschi a incanalare in altri comportamenti la propria aggressività, ma la trasformano spesso in aggressività indiretta: un tipo di violenza che può distruggere personalità che non sono gradite, eliminando subdolamente dal proprio cerchio chi non piace.

Si dice comunemente che la nostra società stia diventando sempre più aggressiva: nel lavoro, per esempio. Che ne pensa?
Credo che in questi casi si parli di quella aggressività che io giudico positiva, quella che si sostanzia nell’ambizione personale. Perché condannarla?