Diffamazione, i social non possono essere una zona franca
Daniela Martani insulta su Twitter la coppia Fedez-Ferragni, parlando di «idioti palloni gonfiati». Ma il pm Caterina Sgrò chiede l’archiviazione ritenendo che le espressioni usate sui social «godono di scarsa considerazione e credibilità e non sono idonee a ledere la reputazione altrui». Un punto di vista pericoloso, che rischia di accreditare la visione di una Rete in cui tutto è lecito.
La tutela dei diritti delle persone su Internet sta facendo progressi notevoli sul piano del diritto. Si sono moltiplicate negli ultimi anni le sentenze della Cassazione che hanno punito in modo esemplare gli autori di contenuti ritenuti diffamatori, diffusi attraverso i differenti canali del web, dai siti online ai blog, dai forum ai social network. Proprio su questi ultimi si gioca una partita importante, perché la disinvoltura con la quale gli utenti spesso postano contenuti su Facebook, Twitter e altre piattaforme simili sta raggiungendo livelli di guardia.
Le offese si moltiplicano e la loro diffusione virale finisce per distruggere spesso la reputazione di individui, imprese o istituzioni. Proprio perché si tratta di una vera emergenza, appare alquanto discutibile la richiesta della Procura di Roma di archiviare la querela di Fedez contro Daniela Martani, ex pasionaria dell’Alitalia, che aveva definito su Twitter la coppia Fedez-Chiara Ferragni «idioti palloni gonfiati». I due avevano appena concluso la festa di compleanno a sorpresa che Chiara Ferragni aveva organizzato per Fedez in un supermercato (che aveva sponsorizzato l’evento) e già si stava sollevando un vespaio di critiche per lo spreco di prodotti alimentari lanciati come proiettili, tanto che poi la coppia si era sentita in dovere di scusarsi pubblicamente.
Daniela Martani, poco dopo quella festa tra gli scaffali, così aveva commentato: «Io ve lo dico da anni che sono due idioti palloni gonfiati irrispettosi della vita delle persone e degli animali. Per far parlare di loro non sanno più cosa inventarsi. Fare una festa a casa era troppo normale altrimenti chi glieli mette i like». I due non avevano gradito e, tramite i loro avvocati, avevano querelato per diffamazione l’ex hostess, protagonista del Grande Fratello 2009, ritenendo che avesse superato «abbondantemente i limiti del diritto di critica» con una condotta che era stata ancor più grave perché fatta su Twitter, che è in grado di raggiungere un quantità enorme di persone. A prescindere dal merito delle parole usate dalla Martani su quel social, il ragionamento degli avvocati della coppia non faceva una grinza.
Da anni la Cassazione pronuncia sentenze definitive che condannano per diffamazione online chiunque veicoli offese su quelle piattaforme. Addirittura, in alcune di quelle decisioni, gli ermellini hanno sottolineato come la potenzialità lesiva di un’offesa pronunciata in una piazza virtuale come Facebook o anche solo su un sito Internet possa risultare ben superiore a quella di un’offesa su un giornale.
La Procura di Roma, però, la pensa diversamente. Chiedendo al giudice per le indagini preliminari di archiviare il caso, il pm Caterina Sgrò scrive che «sui social accade che un numero illimitato di persone, appartenenti a tutte le classi sociali e livelli culturali», sente «la necessità immediata» di «sfogare la propria rabbia e frustrazione» scrivendo «fuori da qualsiasi controllo» qualunque cosa, anche con «termini scurrili, denigratori, ecc., che in astratto possono integrare il reato di diffamazione, ma che in concreto sono privi di offensività».
Nella richiesta di archiviazione, alla quale peraltro si sono già opposti gli avvocati della coppia Fedez-Ferragni, si tende a svalutare il contesto dei social, «privo dell’autorevolezza tipica delle testate giornalistiche o di altre fonti accreditate» tanto che, a parere della Procura, la «generalità degli utenti non dà peso alle notizie che legge». Di qui le sorprendenti conclusioni del pm: le espressioni denigratorie che possono offendere una persona «godono di scarsa considerazione e credibilità e non sono idonee a ledere la reputazione altrui».
Ma questo punto di vista appare pericoloso, oltre che discutibile. Legittimare ogni offesa sui social senza preoccuparsi dei suoi effetti in termini reputazionali equivale ad accreditare la visione di una Rete come zona franca nella quale tutto è lecito, senza freni. In questo modo, però, sui social network si imbarbarirebbero ancora di più i costumi e la gente si sentirebbe ancora meno tutelata, anzi avrebbe il terrore di esprimere un’opinione, per paura di reazioni smodate da parte di altri utenti.
Il web non può e non deve diventare una giungla, uno spazio di impunità governato dalla legge della sopraffazione del più forte sul più debole. Oltre che la giurisprudenza, anche la legislazione europea e internazionale per fortuna sta andando nella direzione di un potenziamento delle tutele degli utenti in Rete, anche rispetto a condotte diffamatorie e lesive della dignità altrui. E i colossi del web stanno dimostrando in alcuni casi buona volontà nell'autoregolamentarsi per diventare più affidabili e collaborativi nella rimozione di contenuti diffamatori.
Ecco perché c’è da augurarsi che il giudice competente non accolga la richiesta di archiviazione pronunciata dalla Procura di Roma e proceda per diffamazione via social nei riguardi della Martani, applicando l’articolo 595 del codice penale, che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni o una multa non inferiore a 516 euro la lesione dell’onore e della reputazione altrui commessa con altro mezzo di pubblicità diverso dalla stampa.