Dietro le sbarre nascono dolci da re
La sfida della cooperativa Giotto pioniere nel carcere "Due Palazzi" di Padova di un progetto che attraverso l'alta pasticceria mira al recupero dei detenuti.
«Con i nostri panettoni siamo entrati nella casa del Papa, dolcemente», sorride Nicola Boscoletto, il presidente ciellino del consorzio sociale Rebus (3 cooperative, 450 dipendenti, fatturato 18 milioni di euro). Boscoletto con la coop Giotto è pioniere nel carcere «Due Palazzi» di Padova di un progetto, basato sul lavoro come strumento d'eccellenza per il recupero dei detenuti, d'avanguardia nel desolante panorama delle nostre prigioni (una minoranza dei 70 mila detenuti lavora; e di questi 1.200 sono in regime di semilibertà e solo 700 dietro le sbarre).
«Nel 2005 abbiamo lanciato una sfida ambiziosa: fare alta pasticceria in carcere. Con l'aiuto del maestro pasticciere Lorenzo Chillon sono nati i Dolci di Giotto», racconta Boscoletto. «Da allora, a Natale regaliamo al Papa un panettone e a Pasqua una colomba accompagnati da una lettera o un video sulle nostre attività in carcere. Un anno il Papa ha donato il nostro panettone ai detenuti di Rebibbia; poi, so che ha cominciato ad assaggiare qualcosa. E, questo Natale, dal Vaticano ci hanno ordinato 260 panettoni. Regali - regolarmente pagati - del Santo Padre a cardinali, ambasciatori e alla famiglia pontificia».
Apprezzati da così alti palati, premiati dall'Accademia italiana della cucina e lodati da celebri chef come lo spagnolo Fernan Adrià (ha visitato il laboratorio nel 2009) i dolci dei detenuti-pasticcieri di Padova (oltre a quelli dedicati a Giotto, sfornano per i pellegrini antiche ricette ritrovate dai frati della Basilica di Sant'Antonio) sono solo il fiore all'occhiello delle varie attività - «Lavoro vero, non assistito» - create in carcere dal pragmatico imprenditore veneto e dai suoi amici. Niente a vedere con il buonismo. «Ho la doppia fortuna di non essere un politico e di lavorare da 20 anni in questa trincea», attacca Boscoletto. «Perciò, confesso di provare profondo disagio quando sento certi discorsi sulla sicurezza. Su questo tema - a tutti i livelli - è stato impostato un teatrino per fini elettorali; ora non sanno più come tirarsene fuori. Sia chiaro, il carcere oggi è una fabbrica di delinquenza - il dato reale sulla recidiva è intorno al 90% - e costa miliardi di euro alla collettività. Paghiamo, insomma, per farci del male. E' elementare, eppure sembra quasi impossibile far ragionare le persone e chi capisce la situazione ha paura di fare qualcosa nel timore di perdere consensi».
Nato a Chioggia, laureato a Padova in scienze forestali, sposato con 2 figli, Boscoletto al carcere è arrivato per caso. Nel 1986 con un gruppo di universitari di Cielle («L'incontro decisivo per tutti noi è stato quello con don Giussani») fondò una cooperativa per la progettazione e manutenzione del verde. «Le aree esterne del “Due Palazzi" erano ridotte a una discarica; nel 1991 vincemmo il concorso ma dal ministero non arrivava l'ok. Dietro le sbarre 700 detenuti non facevano nulla, convincemmo il direttore a fare dei corsi di giardinaggio». Nel 2001 un altro passo avanti. «A parte quei corsi, all'inizio il nostro ruolo era solo cercare il lavoro all'esterno. Ebbene, tra chi lavorava in semilibertà la recidiva era scesa al 15%. Era evidente: il lavoro bisognava portarlo dentro al carcere».
Tra ostacoli, diffidenze, miopie («In questo campo ogni piccolo passo è come scalare l'Everest; oltretutto subiamo la concorrenza dei moltissimi laboratori clandestini») il «Due Palazzi» è diventato un laboratorio di speranza. I 100 detenuti-dipendenti della Giotto (900 euro al mese come contratto delle coop sociali) non solo fanno squisiti dolci (30 mila panettoni a Natale) ma assemblano biciclette, valigie e gioielli. C'è chi fa chiavette con il sofware per la firma digitale e chi lavora al call center della locale Asl. 2010, nuova statistica. «Tra i nostri detenuti la recidiva è crollata al 1%», nota con orgoglio Boscoletto. Educazione al lavoro, dignità, riscatto. Per Nicola Boscoletto «questa è la vera filiera della sicurezza. Tutto il resto sono parole al vento».
(tratto da La Stampa 29-1-2011)