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L'ATTENTATO

Dallas: non è razzismo, ma odio verso la polizia

Manifestazione di Black Lives Matter finisce in tragedia: cecchini sparano ai poliziotti, facendo 5 morti e 7 feriti. Uno degli attentatori affermava di aver sparato perché voleva uccidere uomini bianchi. L'odio è solitamente spiegato come una lotta razziale. Ma il vero problema di fondo è quello di una polizia sempre più violenta.

Esteri 09_07_2016
Dallas, la sparatoria

A Dallas è parso di rivivere la scena dell’attentato a John F. Kennedy. Stavolta, però, ad essere colpiti e uccisi dai cecchini, che sparavano dalle finestre, sono stati 5 poliziotti. Altri 7 agenti e 2 civili sono rimasti feriti. E' il più grave atto di terrorismo subito dalla polizia in tempi recenti. Questa volta, ad essere bersagliato dall’alto, non era un corteo presidenziale, ma la polizia in una manifestazione di Black Lives Metter, il movimento di protesta contro la violenza della polizia sui neri d’America. Tre sono gli arrestati, non si sa ancora se erano fra i tiratori. Un cecchino è stato ucciso dopo un lungo assedio: si chiamava Micah Johnson, afro-americano, militare riservista. Prima di essere ucciso nello scontro a fuoco (avvenuto durante la cattura), nel corso della trattativa con le autorità, ha fatto a tempo a rivelare il suo vero movente: voleva uccidere bianchi, possibilmente poliziotti.

Il razzismo è sulla bocca di tutti, in Italia, così come negli Usa. Non sempre procede in direzione univoca, con i bianchi carnefici e i neri vittime. I casi di violenza della polizia negli Usa fanno toccare con mano quanto sia complesso il mosaico. La scelta di Johnson di “uccidere bianchi” è sicuramente un caso di razzismo. Voleva vendicare l’uccisione di afro-americani da parte della polizia e ha deciso di colpire vittime scelte casualmente, unicamente in base al colore della loro pelle. La causa della manifestazione di Dallas, quella interrotta drammaticamente dalla sparatoria, era invece l’uccisione di due afro-americani da parte di poliziotti: Alton Sterling in Louisiana e Philando Castile in Minnesota. In entrambi i casi, si tratta di uccisioni non giustificate dalla legittima difesa, ma solo dal sospetto di un pericolo imminente. Sterling era già bloccato a terra quando un agente lo ha ucciso con un colpo di pistola alla testa, per il sospetto che l’arrestato volesse raggiungere una pistola (“sta prendendo una pistola!” si sente urlare da uno dei due agenti che lo tenevano fermo a terra). Un caso di resistenza a pubblico ufficiale si è così trasformato in un omicidio. Il caso di Castile è ancor meno giustificabile, considerando che da parte sua non c’è stata resistenza a pubblico ufficiale, ma solo una dichiarazione incredibilmente imprudente: fermato per un banale controllo all’auto, perché uno dei fari della retromarcia non funzionava, ha detto, nel corso del breve interrogatorio di avere il porto d’armi e di avere il permesso di portare l’arma nascosta. Il poliziotto lo ha freddato subito con quattro colpi, intendendola come una minaccia, probabilmente spaventato quando Castile ha cercato di estrarre la sua patente per mostrarla all’agente. 

Black Lives Matter concentra la sua protesta sui moventi razziali, più che sulla brutalità della polizia in genere. Le due cifre che il movimento snocciola ad ogni manifestazione sono, in effetti, abbastanza eloquenti: il 30% delle vittime della polizia sono neri, pur rappresentando il 13% della popolazione americana. In proporzione, muoiono più neri, per mano dei poliziotti, che non persone di altre etnie. Questa percentuale, tuttavia, ha anche un’altra faccia: i neri sono il 13% della popolazione, ma commettono il 30% di tutti i reati. Nell’ultima statistica completa disponibile, riferita al 2012, vediamo che i neri hanno commesso 2,6 milioni di reati accertati su un totale di 9 milioni. Significativa anche la proporzione degli omicidi: gli afro-americani ne hanno commessi 4.101, quasi quanto il totale degli assassinii ad opera dei bianchi (4.203). Dunque, se è più frequente l’uccisione di neri da parte di poliziotti, è soprattutto perché sono gli afro-americani quelli maggiormente coinvolti in prima persona in attività criminali. E’ dunque una pura questione di probabilità che determina il 30% di neri uccisi. La tesi di Black Lives Matter è debole anche sotto un altro aspetto: il 12% dei poliziotti americani è costituito da afro-americani. Questo dato è spesso citato per dimostrare che la polizia sia prevalentemente bianca, ma è perfettamente proporzionato alla popolazione afro-americana, che è appunto il 13% del totale.

Dallas, la sparatoria

Un problema reale, che la protesta manca di sottolineare, è semmai quello dell’addestramento della polizia, nel suo complesso. Già nel caso delle violenze a Ferguson, l’estate scorsa, il rapporto del Dipartimento di Giustizia aveva pubblicato un rapporto sulla polizia locale che rivelava tanti e tali abusi di potere da giustificare, se non un’insurrezione, almeno una forte esasperazione nei confronti delle forze dell’ordine. Anche le uccisioni di sospetti da parte della polizia costituiscono, in tutti gli Usa, un problema grave, a cui dare la priorità. Le persone uccise dalla polizia, in tutto il 2015, sono state 965 (secondo un’approfondita analisi del Washington Post. Di queste 965 ben 90, quasi 1 su 10, erano persone disarmate. Secondo il britannico The Guardian, le vittime delle forze dell’ordine negli Usa sono un po’ di più: 1146, dei quali 229 erano disarmati. Una proporzione ancora peggiore, dunque: quasi 1 su 5 sono uccisioni ingiustificate, quantomeno eccessi di legittima difesa. 

La sensazione che si ha nel leggere o vedere le notizie dagli Usa è che i fatti di violenza che coinvolgono la polizia siano sempre più frequenti. Non è una percezione distorta. L’immenso database indipendente Fatal Encounters, rileva un aumento costante nel numero di uccisioni da parte degli agenti delle forze dell’ordine, da 572 vittime nel 2003 alle quasi mille attuali, il doppio. Ed è un trend crescente. Fa eccezione una diminuzione dei morti fra il 2004 e il 2005 (il 2005 è l’anno in cui la polizia era meno violenta: “solo” 448 morti). Il balzo in alto inizia nel 2010, anno a partire dal quale si assiste a un aumento vertiginoso della violenza delle forze dell’ordine, circa 100 morti in più ogni anno. Non è sbagliato dire, poi, che gli agenti americani abbiano il grilletto molto più facile rispetto ai loro colleghi nel resto del mondo occidentale industrializzato. Il quotidiano britannico The Guardian, che essendo progressista ha una particolare sensibilità sul tema, ha pubblicato qualche significativa statistica in merito. In Inghilterra e Galles, su una popolazione di 57 milioni di abitanti, le uccisioni da parte dei poliziotti sono state 55 in 24 anni. Negli Usa, su una popolazione di 316 milioni di abitanti, la polizia ha ucciso 59 persone nei primi 24 giorni del 2015. E’ un dato enormemente più alto, anche in rapporto alla popolazione. E non è l’unico. In Australia (popolazione di 23 milioni di abitanti) la polizia ha ucciso 94 persone in 20 anni, fra il 1992 e il 2011; un numero simile di persone (97) è stato ucciso dalla polizia americana nel solo mese di marzo del 2015. Anche qui, il dato è rilevante nonostante la differenza di popolazione. Nello stato in cui si registra la maggior violenza, la California, in media la polizia uccide 72 persone all’anno su una popolazione di quasi 39 milioni di persone. Nel Canada, che ha una popolazione di poco inferiore (35 milioni di abitanti), i morti per mano della polizia sono in media 25 all’anno, tre volte meno rispetto alla California.

Esiste un problema, dunque. E il problema è la polizia. Black Lives Matter, invece, punta sul bersaglio sbagliato, poiché non è possibile affermare che vi sia un fenomeno osservabile di razzismo nelle forze dell’ordine. Indicando il problema sbagliato, piuttosto, il movimento nero eccita gli animi delle personalità più instabili e violente, spingendo un Micah Johnson a sparare a poliziotti bianchi, purché siano bianchi.