Dalla Corea memoria, speranza e testimonianza
All'udienza generale Papa Francesco è tornato sul significato del suo viaggio in Corea. Il Papa ha spiegato perché è andato in Corea, e quale frutto può trarre tutta la Chiesa dall'insegnamento proposto nel viaggio che, ha detto, «si può condensare in tre parole: memoria, speranza, testimonianza».
All'udienza generale Papa Francesco è tornato sul significato del suo viaggio apostolico in Corea. Come spesso accade, molti media si sono concentrati sull'intervista concessa dal Papa durante il volo di ritorno, che ha offerto spunti interessanti sulla situazione irachena. Ma questi non dovrebbero offuscare il ricco magistero proposto in terra di Corea. All'udienza il Papa ha voluto spiegare perché è andato in Corea, e quale frutto può trarre tutta la Chiesa dall'insegnamento proposto nel viaggio che, ha detto il Pontefice, «si può condensare in tre parole: memoria, speranza, testimonianza». Le considerazioni di Francesco partono dalla Corea, ma hanno insieme anche un valore più generale.
«La Repubblica di Corea», ha detto il Papa, «è un Paese che ha avuto un notevole e rapido sviluppo economico. I suoi abitanti sono grandi lavoratori, disciplinati, ordinati e devono mantenere la forza ereditata dai loro antenati». La Chiesa cattolica in Corea vuole essere «custode della memoria e della speranza». Così «si possono leggere i due eventi principali di questo viaggio»: la beatificazione di 124 martiri coreani, che «si aggiungono a quelli già canonizzati trent'anni fa da san Giovanni Paolo II» e l’incontro con i giovani della Sesta Giornata Asiatica della Gioventù. I due eventi, ha ribadito il Papa, sono collegati. «Il giovane è sempre una persona alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena vivere, e il martire dà testimonianza di qualcosa, anzi, di Qualcuno per cui vale la pena dare la vita. Questa realtà è l’amore di Dio, che ha preso carne in Gesù, il Testimone del Padre».
Il Pontefice è anche tornato su un tema ripetutamente sottolineato durante il viaggio: l'unicità del cattolicesimo coreano, che non è nato dall'arrivo di missionari ma dalla scoperta intellettuale autonoma di laici. La Chiesa in Corea custodisce così anche «la memoria del ruolo primario che ebbero i laici sia agli albori della fede, sia nell’opera di evangelizzazione. In quella terra, infatti, la comunità cristiana non è stata fondata da missionari, ma da un gruppo di giovani coreani della seconda metà del 1700, i quali furono affascinati da alcuni testi cristiani, li studiarono a fondo e li scelsero come regola di vita. Uno di loro fu inviato a Pechino per ricevere il Battesimo e poi questo laico battezzò a sua volta i compagni». Da quel primo nucleo di laici, ha continuato il Pontefice, «si sviluppò una grande comunità, che fin dall’inizio e per circa un secolo subì violente persecuzioni, con migliaia di martiri».
Dunque, la Chiesa in Corea è fondata «sulla fede, sull’impegno missionario e sul martirio dei fedeli laici», che per di più nei primi secoli del cristianesimo coreano «si proposero come modello la comunità apostolica di Gerusalemme, praticando l’amore fraterno che supera ogni differenza sociale», nel contesto di una società che era spesso crudele e ingiusta. La storia della Chiesa in Corea mostra come «Cristo non annulla le culture, non sopprime il cammino dei popoli che attraverso i secoli e i millenni cercano la verità e praticano l’amore per Dio e il prossimo. Cristo non abolisce ciò che è buono, ma lo porta avanti, lo porta a compimento».
Tuttavia, non tutto in una cultura che incontra il cristianesimo merita di essere conservato. «Ciò che Cristo combatte e sconfigge è il maligno, che semina zizzania tra uomo e uomo, tra popolo e popolo; che genera esclusione a causa dell’idolatria del denaro; che semina il veleno del nulla nei cuori dei giovani. Questo sì, Gesù Cristo lo ha combattuto e lo ha vinto». La morte e la resurrezione del Signore dimostrano che il male può essere vinto.
Nell'ultima omelia in terra coreana il Papa aveva affermato che instaurare una società riconciliata è possibile, basta convertirsi e obbedire alla legge di Dio, e che tutti dobbiamo avete il coraggio di sognare in grande, sognare un mondo davvero a misura d'uomo e secondo il piano di Dio. E, perché il sogno non diventi utopia, tenere sempre presente che ogni grande promessa di Dio è legata a una richiesta di conversione. «Questo viaggio», ha concluso Papa Francesco «è stato illuminato dalla festa di Maria Assunta in Cielo. Dall’alto, dove regna con Cristo, la Madre della Chiesa accompagna il cammino del popolo di Dio, sostiene i passi più faticosi, conforta quanti sono nella prova e tiene aperto l’orizzonte della speranza».