Dalla censura di Stato a quella in nome di Allah
L'islam agisce attaccando televisioni, registi, artisti, musicisti, soprattutto l'informazione, elemento chiave per influenzare le masse.
A un anno dall’inizio della cosiddetta “primavera” araba, con l’insediamento al potere sia in Tunisia che in Egitto delle espressioni politiche dei Fratelli musulmani, non si può non constatare che la libertà d’espressione in entrambi i paesi non è certo migliorata. Qualcosa è certamente cambiato, ma è evidente che si è passati da una censura di Stato, ad opera dei regimi dittatoriali e dei loro servizi segreti, e non solo, a una censura in nome dell’islam che agisce con una duplice modalità a seconda dell’agente. Se ad attaccare sono i salafiti, si tratta di manifestazioni con stendardi inneggianti all’islam, di attacchi verbali e corporali, se ad attaccare sono i Fratelli musulmani si tratta di attacchi prevalentemente legali contro televisioni, giornalisti, registi, artisti e via dicendo.
Due esempi tra tanti cercheranno di illustrare quanto appena affermato. Qualche giorno fa a Tunisi davanti al Palazzo di Giustizia un gruppo di salafiti ha aggredito verbalmente e fisicamente il docente universitario Hamadi Redissi e il giornalista Zied Krichen, che si stavano recando a dimostrare la propria solidarietà e a portare la propria testimonianza a favore del direttore della televisione Nessma accusato di avere mandato in onda la versione tunisina del cartone animato Persepolis dell’iraniana Marjane Satrapi. “Persepolis” è stato considerato blasfemo poiché parla di illiceità del velo e si scaglia contro la rivoluzione islamica iraniana del 1979. Questo processo fa seguito a quello intentato per oltraggio all’islam, nei confronti della regista tunisina Nadia El Fani per avere girato un documentario sull’estremismo islamico intitolato Ni Allah ni maitre. Fa anche seguito alle minacce da parte di ignoti nei confronti della libreria Mille Feuilles di Tunisi per avere esposto in vetrina un libro che ritraeva in copertina delle donne senza veli.
In Egitto a essere sotto processo è il magnate copto Naguib Sawiris. La “colpa” di Sawiris è quella di avere pubblicato sul proprio account Twitter un’immagine che ritraeva Topolino e Minnie rispettivamente con la barba da salafita e con il velo integrale. Anche questo gesto viene considerato un oltraggio alla religione islamica. Questi sono solo alcuni esempi che fanno comprendere che la censura non scomparirà dai paesi della “primavera” araba. Non a caso al Cairo, mentre si svolgeva la prima seduta dell’Assemblea popolare manifestavano all’esterno artisti e intellettuali che inneggiavano alla libertà d’espressione. Purtroppo la risposta, a loro insaputa, era già arrivata qualche giorno prima, quando il 19 gennaio la Guida Suprema dei Fratelli musulmani, Muhammad Badie, aveva dedicato la sua “Lettera della settimana” proprio all’informazione. Qui si leggeva:
“L’informazione è l’elemento pulsante delle masse, uno degli elementi principali che influisce sull’opinione pubblica ed è la protagonista della rinascita se ne viene fatto buon uso e impiego. E’ la pietra angolare per preparare l’atmosfera necessaria e indispensabile per il movimento della rinascita completa nella società, poiché opera per diffondere chiarimenti e notizie alla gente comune e agli esperti. Dall’informazione dipende il movimento di arricchimento e di sviluppo in vari campi, così come influisce in modo incisivo l’educazione dell’uomo e lo sviluppo del suo pensiero, dei suoi sentimenti, del suo comportamento, della sua esistenza e lo conduce quindi a costruire una nazione e a rafforzarla salvaguardando i diritti della collettività. L’informazione svolge quindi un ruolo negativo spingendo verso la sedizione, la disgregazione quando confonde le relazioni tra le persone se non è gestita da gente fidata.”
E ancora: “L’islam invita all’informazione nobile nel suo messaggio celeste che si concentra nella comunicazione della verità e non nel suo occultamento. L’informazione veritiera deve essere fedele alla realtà, deve infondere fiducia nelle anime perché in poche parole deve dire la verità, deve fornire informazione senza eccedere né trascurare fatti, per questo tutte le persone preposte all’informazione devono riportare fedelmente le notizie, letteralmente e scrupolosamente così come Dio – Egli è l’Altissimo – ha detto: “O voi che credete, temete Allah e state con i sinceri” (IX, 119)”. “
E’ evidente come stare con i sinceri sia sinonimo di non stare con gli ipocriti, i nemici di Dio. Quindi obbligo dell’informazione corretta corrisponde a rispettare i dettami religiosi, quindi un’informazione corretta non potrà criticare una decisione presa da un governo costituito, nel caso dell’Egitto, per il 74% da persone che si ritengono detentori del vero islam.
Se tutto ciò non bastasse si sono costituite, in ambito salafita, sia in Tunisia che in Egitto commissioni per “promuovere il bene e vietare il male”, proprio come la più tristemente celebre istituzione saudita, con la finalità di individuare, redarguire e eventualmente punire i musulmani, praticanti o meno, che abbandonano “la retta via” della religione islamica. In Egitto d’altronde esiste già da anni l’istituzione della hisba che consente a qualsiasi avvocato di condurre in tribunale civile qualsiasi egiziano che lui reputi reo di apostasia. I casi più celebri di condanna sono stati quelli dell’islamologo Nasr Hamid Abu Zaid e della femminista Nawal al-Saadawi che dopo essere stati condannati sono stati divorziati d’ufficio dai propri coniugi perché un apostata non può contrarre matrimonio con un/una musulmana. Questo accadeva in Egitto negli Anni Ottanta, ma oggi potrà solo peggiorare.
Con le parole di Badie dovranno fare i conti dai giornalisti agli scrittori, dai docenti universitari ai semplici cittadini dei paesi in cui l’islam politico, grazie al tacito assenso dell’occidente, è andato al potere. Ben presto dovremo amaramente constatare che la libertà “islamica” non ha nulla a che fare con la tanto agognata libertà di espressione.