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ARC

Da un forum a Londra la strada per la rinascita dell'Occidente

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Il ritorno ai valori della tradizione giudaico-cristiana è l'unica possibilità per fermare il declino delle nostre società. È quanto è emerso dall'importante Conferenza dell'Alliance for Responsible Citizenship (ARC), che ha visto la presenza di centinaia di opinion leader. Un'affermazione importante, ma con un nota bene...

Editoriali 26_02_2025
Jordan Peterson

Il senso di un inesorabile declino della civiltà occidentale è sempre più diffuso. Malgrado le élites che guidano le nostre società facciano professione di ottimismo e cerchino di vendere per occasione di “grande reset” quelli che sono i segni evidenti di una crisi, la realtà non mente: crollo demografico, rapido processo di de-industrializzazione e di decrescita economica, crescente violenza legata anche a un’immigrazione fuori controllo, deserto culturale, mancanza di credibilità della classe politica (le elezioni tedesche sono solo l’ultimo esempio) sono fenomeni che parlano chiaro.

C’è fortunatamente chi si pone il problema di come invertire la rotta ed è stata una bella scoperta la settimana scorsa a Londra capire che si tratta di una minoranza sì, ma numerosa e ben preparata. Dal 17 al 19 febbraio infatti si è svolta la seconda conferenza dell’Alliance for Responsible Citizenship (ARC), che si autodefinisce «un movimento internazionale con la visione per un mondo migliore dove cittadini emancipati prendono responsabilità e lavorano insieme per far fiorire e rendere prospere le loro famiglie, comunità e nazioni».

Nei fatti è stato un mega-raduno di leader politici, culturali, economici, religiosi, soprattutto del mondo anglo-sassone, che possono essere collocati nell’area del conservatorismo, per quanto approssimativa questa definizione possa essere. Quasi 150 relatori – dallo psicologo canadese Jordan Peterson all’«ambientalista scettico» Bjorn Lomborg, dall’accademica di origine somala Ayaan Hirsi Ali al vescovo cattolico americano Robert Barron, dall’ex premier australiano Tony Abbott all’ex presidente della Repubblica ungherese Katalin Novak - che per tre giorni si sono alternati su 5 tematiche fondamentali: lo stato della nostra civiltà, la responsabilità sociale, la libera impresa, energia e ambiente, l’identità nell’era digitale; oltre 4mila partecipanti che hanno avuto molte occasioni di conoscenza reciproca, di scambio e di collaborazione.

Si tratta di un movimento che sta effettivamente crescendo, se è vero che i partecipanti sono triplicati rispetto alla prima edizione dell’ARC Conference due anni fa e se ne è già in cantiere una terza edizione tra poco più di un anno, a giugno 2026. Certamente anche il vento che spira dagli Stati Uniti contribuisce a dare forza a questo movimento, che mette in discussione i cardini dell’ideologia oggi dominante in Occidente, e intende porre le basi per un cambiamento radicale della società.

Oltre al fatto straordinario che un incontro così sia stato possibile e anche con una grande partecipazione, due aspetti molto positivi vale la pena sottolineare.
Anche se si è parlato necessariamente di scelte politiche e di indirizzi di governo, c’è una diffusa consapevolezza che il cambiamento necessario è al fondo di tutto culturale. Le scelte politiche non sono affatto questioni meramente tecniche, ma sono il frutto di una concezione dell’uomo. Molto interessanti al proposito sono le domande emerse negli incontri dedicati all’identità nell’era digitale perché oggi non c’è forse nulla di più sfidante per l’uomo che l’intelligenza artificiale e tutto quanto vi si collega. La brevità degli interventi non ha permesso forse di andare al fondo di tutte le questioni, ma certo ha dato molti spunti su cui riflettere.

Il secondo aspetto importante è la comune consapevolezza che il fondamento della civiltà occidentale a cui è necessario tornare sono i valori della tradizione giudaico-cristiana. Non per niente c’erano diversi esponenti del mondo ortodosso, cattolico, protestante con anche una significativa presenza ebraica. L’obiettivo non è costruire una nuova civiltà quanto tornare alle radici vere dell’Occidente, radici religiose e culturali tradite e rifiutate dall’élite politica e culturale oggi al potere.

Ascoltando molti degli interventi, sembrava fosse stata fatta propria la scommessa lanciata ai non credenti dal cardinale Joseph Ratzinger il 1° aprile 2005 da Subiaco, nel suo ultimo (memorabile) discorso prima di essere eletto Papa: «Vivere come se Dio ci fosse». Ratzinger spiegava come il tentativo di trovare valori morali comuni per l’umanità, tipico della cultura illuminista, era miseramente fallito: «Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio – diceva il futuro Benedetto XVI - ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo». Si tratta di un abisso che oggi appare sempre più evidente, come si diceva all’inizio. Ratzinger perciò rovesciava «l’assioma degli illuministi» e proponeva: «Anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita 'veluti si Deus daretur', come se Dio ci fosse. (…) Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».

È dunque confortante riconoscere che ci sono molti opinion leader che hanno preso consapevolezza della posta in gioco e della strada da seguire, ad esempio rimettendo al centro la famiglia naturale, l’identità dei popoli, e rifiutando l’ideologia gender, l’immigrazionismo e l’ambientalismo estremo che stanno distruggendo la nostra società e la nostra possibilità di un futuro dignitoso.

C’è però una lezione importante da non dimenticare, che viene proprio dal Regno Unito: all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, l’allora premier britannico John Major lanciò la campagna “Back to basics”, il ritorno ai valori tradizionali. Voleva essere la risposta ai rapidi cambiamenti sociali che stavano deteriorando il sistema scolastico, sanitario e la convivenza civile. Come possiamo vedere oggi, la campagna finì in un fallimento totale. Un motivo fu senz’altro la superficialità di quella campagna, che non ebbe il coraggio di andare oltre certi suggerimenti politici.

Ma c’è anche un altro aspetto ben più rilevante: il fatto che certi valori non si trasmettono dall’alto, per decreto. Ed è difficile incarnare dei valori se non è presente e viva la fonte da cui nascono. Nell’Italia degli anni ’50 e ’60 del XX secolo, dove la cultura cattolica era ancora dominante nella società, anche per i non cattolici era facile credere nel matrimonio, nella famiglia naturale, nell’apertura alla vita e al rispetto della sua sacralità. Oggi la cultura dominante è tutt’altra ed è difficile riproporre astrattamente dei valori se non ci sono comunità che vivono la verità da cui quei valori sgorgano. La Conferenza ARC dimostra che ci sono tante persone di buona volontà che riconoscono l’importanza che Dio ci sia e che incida nella storia, e – consapevolmente o meno – chiedono che questa presenza si manifesti.  

È un fatto che soprattutto la Chiesa deve avere ben presente, perché questa è la sua missione: non trovare soluzioni politiche, economiche e sociali che possano andare bene a tutti, ma annunciare Cristo presente oggi in mezzo a noi per salvare l’uomo dal suo peccato.