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LIBERTA' & POLITICA

Cronopolitica, agitazione in Rai. Nonostante la pandemia

Giornalisti Rai in subbuglio: esasperati dal dover rispettare con il cronometro il tempo di presenza dei politici chiedono maggiore libertà privilegiando l’interesse pubblico alle notizie e ai commenti. Viene da chiedersi perché, proprio in questa fase di pandemia, porre un problema che esiste da decenni.

Attualità 12_05_2020

Nelle ultime ore è tornato a infiammarsi lo scontro politico in Rai e non sono esclusi nuovi ribaltoni. La miccia potrebbe essere l’ultima sortita dei comitati di redazione delle testate nazionali e del coordinamento dei cdr (comitati di redazione) della Tgr (Tg regionali), che hanno deciso di uscire allo scoperto reclamando un modo corretto di fare informazione politica.

Esasperati dal dover rispettare con il cronometro il tempo di presenza dei politici per ottemperare agli obblighi di pluralismo, gli autori del documento chiedono maggiore libertà nella suddivisione degli spazi informativi, privilegiando l’interesse pubblico alle notizie e ai commenti, anziché l’utilizzo ossessivo del bilancino necessario per evitare squilibri tra i vari leader di partito. Contro il loro documento, però, si è espressa la corrente sindacale considerata più vicina al centrodestra, che si chiama Pluralismo e libertà.

E’ ben noto che la cronaca politica è da sempre oggetto di scontro tra i partiti. Soprattutto quella televisiva è esposta a critiche legate alle violazioni della legge sulla par condicio, varata nel 2000 quando internet non era per nulla decisivo nella formazione delle opinioni. Quella normativa impone ai broadcaster di utilizzare il famoso misurino per delimitare ed equiparare gli spazi di visibilità dei singoli gruppi politici, con criteri strettamente quantitativi. Da un punto di vista teorico, si tratta di un criterio di uguaglianza sostanziale, come ha chiarito nel 2002 la Corte Costituzionale (sentenza n.155), che allontana il rischio di squilibri nell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. In altri termini, se non ci fossero questi limiti, ciascuno sarebbe libero di utilizzare le sue televisioni per farsi propaganda politica.

Il principio del contraddittorio è di per sé la garanzia che la rappresentazione mediatica della dialettica politica sarà rispettosa del principio pluralista e, ancor più nel servizio pubblico radiotelevisivo, occorre che tali principi non vengano mai meno. Nella legge istitutiva della Rai, la n.103 dell’aprile 1975, poi riformata dalla legge n.220 del dicembre 2015, erano previsti gli obblighi di imparzialità, indipendenza e pluralismo della programmazione della tv pubblica. In particolare il pluralismo è sempre stato richiamato nel Contratto di servizio (anche all’art.6 di quello 2018-2022, attualmente in vigore), proprio per declinare in modo corretto il rapporto tra lo Stato e la Rai.

Peccato, però, che già nel 1977 la Corte Costituzionale, con la sentenza n.94, ammise l’esistenza di forti condizionamenti della politica sulle scelte editoriali della Rai, prendendo atto dell’alterazione del concetto di pluralismo dell’informazione, inopportunamente degradato a lottizzazione tra i partiti degli spazi di visibilità mediatica. In altre parole, fin da allora risultò conveniente per tutti gli attori in campo spartirsi poltrone, incarichi e contenuti informativi in base al celebre Manuale Cencelli, che accontentava tutti, sia i partiti di maggioranza che quelli di opposizione.

I rilievi mossi dai giornalisti delle testate Rai sono condivisibili. E’ da tempo che si discute della necessità di sganciare il racconto della politica, tanto più nell’era dei social, da parametri puramente numerici, che non rendono giustizia alla complessità del confronto tra i partiti e rischiano di far passare in secondo piano altri criteri, altrettanto importanti: il modo di ospitare i singoli contributi, il tipo di domande poste agli interlocutori politici, le fasce orarie di messa in onda.

Tutti elementi che possono comunque agevolare o danneggiare i soggetti coinvolti nei resoconti informativi. In altre parole, il pluralismo non può dipendere solo dal minutaggio riservato ai singoli ospiti, ma va ricondotto all’onestà intellettuale del singolo giornalista che scrupolosamente punterà a fornire al pubblico una rappresentazione fedele della pluralità dei punti di vista, senza essere assillato dalla clessidra.

Ma tutto questo è possibile se i vertici Rai e i direttori delle reti e dei tg continuano ad essere scelti in base all’appartenenza o alla vicinanza a un partito politico? Se, ad ogni cambio di governo, chi occupa le poltrone ministeriali come prima cosa chiede un riequilibrio degli spazi di potere nella tv pubblica, che senso hanno rivendicazioni di autonomia come questa?

Nel documento presentato dai comitati di redazione Rai si minaccia il ritiro della firma dei servizi (forma di protesta prevista dal Contratto integrativo Rai-Usigrai, all’art.24), qualora l’azienda non accettasse le proposte di una maggiore libertà d’azione dei cronisti politici nel rivolgere domande ai loro interlocutori e nell’elaborare i cosiddetti “pastoni”, attualmente ingessati nella modalità “panino”, con equa ripartizione di spazi tra governo, opposizione e maggioranza.

Pluralismo e libertà, corrente di giornalisti Rai vicina al centro-destra, ritiene invece che i nodi del precariato e del compenso dei giornalisti, soprattutto di quelli più giovani, siano preminenti rispetto alle rivendicazioni di autonomia.

Viene solo da chiedersi perché, proprio in questa fase drammatica di pandemia, la maggioranza dei giornalisti Rai abbia deciso di alzare la voce su un problema che esiste da decenni.