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IL CASO

Crocifisso in Baviera, se la Chiesa sceglie la non identità

Dall’1 giugno in tutti gli uffici pubblici della Baviera è obbligatorio esporre il crocifisso: «Un chiaro impegno per la nostra identità bavarese e per i valori cristiani». Indovinate chi ha storto il naso. I soliti laicisti? Sbagliato. La Chiesa oggi va di moda la «tolleranza», mica l’«identità». Ma la «tolleranza» è un lusso dei tempi tranquilli, mentre l’«identità» fa comodo in tempi turbolenti.

Libertà religiosa 04_06_2018

Dall’1 giugno in tutti gli uffici pubblici della Baviera è obbligatorio esporre il crocifisso: «Un chiaro impegno per la nostra identità bavarese e per i valori cristiani». Indovinate chi ha storto il naso. I soliti laicisti? Sbagliato. La Chiesa. L’arcivescovo di Monaco (di Baviera), cardinale Reinhard Marx, che è pure capo della conferenza episcopale tedesca, «ha detto no all’uso politico del crocifisso». Con lui si sono schierate le associazioni dei giovani cattolici (Bdjk) e dei giovani protestanti (Ebj) bavaresi, «che al governatore hanno ricordato che per loro la croce è simbolo di tolleranza e non di identità».

La Germania è pur sempre uno stato federale e ogni Land in certe materie fa quel che vuole. Così, può accadere che nelle scuole sia vietato portare la croce al collo in omaggio alla neutralità religiosa, ma sui muri degli uffici pubblici  no, se un decreto apposito, nel Land, lo prevede. In Baviera comanda il Csu, il partito cristiano-sociale, e il Cdu, il cristiano-democratico di Angela Merkel, è praticamente assente tanto è forte l’identificazione dei bavaresi col loro partito. Quest’ultimo è praticamente presente solo in Baviera, solo che questa è la regione più popolosa e più ricca dell’intera Germania, quantunque ne costituisca, geograficamente, il meridione. A fine aprile il governatore Markus Söder si era fatto ritrarre mentre appendeva un’antica e artistica croce di legno alla parete del suo ufficio alla cancelleria, poi l’annuncio su Twitter e infine il decreto.

Ora, la presa di posizione, critica e tutto sommato negativa, del cardinale Marx ricorda quella che prese il suo collega Mario Delpini quando il leader della Lega, Salvini, si presentò a un comizio elettorale con in mano un rosario e un Vangelo. Anche allora il no episcopale fu all’«uso politico» della religione. C’è, comunque, qualche differenza: Delpini non è cardinale, anche se la sua sede, Milano, è cardinalizia per antica tradizione; Salvini brandì i simboli religiosi in un comizio, che non è una sede istituzionale. La similitudine è nella motivazione, sia di Salvini che di Söder: il richiamo all’identità nazionale.

I giovani bavaresi, cattolici e luterani, non ci stanno, come si è visto: oggi va di moda la «tolleranza», mica l’«identità». Si potrebbe osservare che la «tolleranza» è un lusso dei tempi tranquilli, mentre l’«identità» fa comodo in tempi turbolenti. Ne sa qualcosa la Polonia, che, nella sua lunga storia di vaso di coccio tra vasi di ferro, per non farsi stritolare da Prussia protestante e Russia ortodossa si è sempre aggrappata al suo cattolicesimo, appunto per non perdere la sua identità.

Che non è solo simbolica o ideologica, ma implica  tutto un modo di vita e di pensare, fin nei minimi dettagli: il sociologo delle religioni Léo Moulin constatava che pure la cucina polacca era diversa, più buona, di quelle dei vicini, pur alle stesse latitudini e con gli stessi prodotti; e connetteva ciò alla ostinata cattolicità polacca. I popoli cattolici hanno, a parità di condizioni, un’arte culinaria superiore, sosteneva Moulin, perché portatori di una diversa concezione della famiglia. E famiglia vuol dire desco comune. Il cattolico, poi, grazie al periodico «scarico» nel confessionale, è meno cupo, ha maggior joie de vivre rispetto al protestante, il quale è più individualista e porta intero il carico delle sue colpe verso Dio.

Certo, oggi lo scenario è cambiato e, per esempio, i popoli cattolici non hanno più il primato del numero dei figli. Ma proprio per questo è da incoraggiare almeno un ritorno al simbolo identitario, laddove le altre etnie alla loro identità ci tengono eccome. Mussolini cominciò la sua carriera come anticlericale e mangiapreti, ma in politica era scaltro (entrata in guerra a parte) e non esitò a rimangiarsi il suo ateismo socialista per firmare il Concordato con la Santa Sede. Una clausola del quale prevedeva il ripristino dei crocifissi in tutte le scuole, l’ora di religione (cattolica, ça va sans dire) obbligatoria nelle stesse, il cattolicesimo quale religione ufficiale dello Stato, eccetera. Insomma, la Chiesa un tempo all’«identità» ci teneva. Sono cambiati i «segni dei tempi»?