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È SEMPRE EMERGENZA

Covid, sui "casi" cambiamenti sospetti

Per il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, il vaccino non alleggerisce la situazione e si conferma la politica dei lockdown ad oltranza. Ma intanto preannuncia un cambiamento nella definizione di "caso" che potrebbe portare a numeri completamente diversi. A che scopo?

Editoriali 04_01_2021
Silvio Brusaferro

Sul Corriere della Sera di ieri, 3 gennaio, è apparsa una lunga intervista a Silvio Brusaferro, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. Una vera e propria doccia fredda sugli entusiasmi generati dai media dopo il Vaccination Day. La politica del governo è quella del bastone e della carota. Dopo la carota vaccinale, dopo l’esultanza per l’arrivo di ciò che i media definiscono nei modi più variopinti e scientificamente errati (da “siero” ad “antidoto”, manca solo quella di pozione magica di Asterix) ecco il bastone, da parte di uno dei principali esponenti del team governativo, che prefigura scenari da incubo.

O meglio: la sostanza della lunga intervista a Brusaferro è questa rispetto a prima: nulla cambia. Si va avanti ad oltranza con lockdowns, distanziamenti, confinamenti, zone colorate e così via. Il motivo? L’allarme epidemiologico è sempre altissimo.
Le intervistatrici del Corriere non gli hanno fatto notare che le curve dei contagi, dei ricoveri e dei decessi sono in calo. Una sottolineatura che tra l’altro sarebbe servita a giustificare le misure restrittive e gli enormi sacrifici economici imposti dal decreto sul periodo natalizio.

Il presidente dell’Iss aveva in ogni caso pronta una replica, che è quanto ha comunque dichiarato: i numeri potrebbero risalire in qualunque momento. I numeri dell’epidemia, per il governo, sono tutto, lo sappiamo bene. Anche quando dicono tutt’altro. Questa estate, quando nonostante la movida e la gente in spiaggia o sui sentieri montani o nelle città d’arte i morti erano in media quattro al giorno, si ventilava comunque la “seconda ondata” - senza peraltro che si implementasse la Medicina Territoriale o si aumentassero i posti letto negli  ospedali - e semmai si dava il via ad una campagna di tamponi a tappeto, allo scopo di trovare a tutti i costi i positivi al test, positivi peraltro al 95% asintomatici e sani. Come sappiamo, la campagna mediatica su queste cifre fornì poi la giustificazione per i nuovi lockdowns, che non hanno portato a nessun miglioramento della situazione epidemiologica.

I numeri quindi devono tornare a salire. E uno dei mezzi per dimostrare che siamo sempre e comunque in emergenza sanitaria, potrebbe consistere in una modifica delle regole del gioco.

Mentre sui progressi delle terapie le istituzioni sanitarie continuano a stendere una cappa di silenzio, e mentre dall’altra parte è iniziata la campagna promozionale per i vaccini, riemerge il problema della diagnostica, che ha già suscitato tante domande, dubbi, perplessità. È il problema dei tamponi, che continuano ad essere un elemento chiave della strategia di gestione dell’epidemia. I media, che sono il megafono delle istituzioni, non aspettano altro che questi numeri: i numeri dei tamponi positivi, che in automatico diventano “casi”, ovvero malati. Ovvero ancora potenziali ospiti delle terapie intensive con tutto il conseguente corollario di paure che ben conosciamo da tempo.

Nell’intervista a Brusaferro c’è un passaggio molto significativo: gli viene chiesto di commentare l’imminente circolare del ministro Speranza che “modifica la definizione di caso”. Per diagnosticare un positivo basterà un test antigenico. Oltre che il molecolare. Il che potrebbe anche comportare nuove regole di definizione, con un rischio di possibili  “aggiustamenti” per modificare il numero di casi. Il presidente dell’Iss risponde che tali “varianti” hanno caratterizzato anche altre epidemie. Una risposta laconica.

Peraltro, fin dallo scorso marzo, quando una circolare ministeriale definiva il concetto di “caso”, veniva precisato che la definizione avrebbe potuto essere modificata in seguito ad aggiornamenti epidemiologici o autorevoli indicazioni dell’OMS. Evidentemente il momento di cambiare i criteri è ora arrivato.

Ma per rinfrescare la memoria, come veniva definito il “caso” di Covid? Si parlava di caso sospetto, di caso probabile, di caso confermato. Una distinzione che non è mai stata offerta all’opinione pubblica, per la quale l’espressione “tampone positivo” è stata in questi mesi sinonimo di malato. Il Caso confermato è quello per cui esiste una conferma di laboratorio per infezione da SARS-CoV-2, effettuata presso il laboratorio di riferimento nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) o da laboratori Regionali di Riferimento.

Come cambieranno ora le regole? E con quali conseguenze sui numeri? Si dovrà aspettare questa circolare annunciata. Sperando che porti ad indagini epidemiologiche più accurate, che sarebbe il fine per cui si esegue questo test. Fin dagli scorsi mesi diversi scienziati hanno sottolineato l’inadeguatezza del solo tampone, cui andrebbe associato il test immunologico, necessario per trovare gli anticorpi IgM e IgG, che rappresentano l’unica conferma diagnostica, nonché una misura di definizione dello stato immunitario di una persona.

Sulla diagnosi del Covid e sui numeri dei casi si gioca dunque una partita importante che deve essere seguita con grande attenzione.

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