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INTERVISTA A MANERA

“Covid, il paracetamolo un passo indietro. Serve la prevenzione”

«Usare solo il paracetamolo contro il Covid è un clamoroso errore perché il problema non è la febbre, a meno che non resti elevata per molto tempo, bensì l’infiammazione». «Tutti i pazienti che hanno seguito le mie indicazioni, e su cui ho praticato una medicina di prevenzione e antinfiammatoria, non hanno avuto complicazioni». La Nuova Bussola intervista il dottor Stefano Manera, anestesista-rianimatore.

Attualità 21_11_2020

Il dottor Stefano Manera è anestesista-rianimatore da 16 anni e medico di Medicina integrata; quattro anni fa ha lasciato il lavoro ospedaliero per svolgere attività medica libero professionale. È tornato in reparto di rianimazione, a Bergamo, per l’emergenza Covid e da lunedì prossimo sarà chiamato a dirigere il reparto Covid dell’ospedale di Castellanza (VA). La Nuova Bussola lo ha intervistato.

Dottor Manera, partiamo dall’ultimo protocollo per la gestione dei pazienti Covid, nel quale, in sostanza, si ignorano le cure che funzionano e si indica nel paracetamolo l’unico farmaco da utilizzare. Siamo tornati punto e a capo.
Purtroppo non c’è una motivazione scientifica sul paracetamolo. All’inizio potevamo pensare che, presentandosi il paziente in stato febbrile, un antipiretico fosse il farmaco giusto. Ma si è capito molto presto che la febbre non è il problema del paziente Covid. Anzi, la febbre non è mai il problema, a meno che non resti elevata per molto tempo. Il problema è l’infiammazione ed è lì che si deve lavorare. Il fatto che ancora oggi si lascino pazienti a casa a “friggere” senza altro che il paracetamolo è un clamoroso errore, che non possiamo più permetterci.

Mi pare che questo manifesti l’enorme divaricazione che ormai esiste tra la clinica da una parte, che ha saputo trovare diversi modi per affrontare questa malattia, e la medicina di laboratorio, la medicina delle “evidenze scientifiche”, dall’altra.
È un tema importante. Da anni si vede un processo di burocratizzazione del medico, ridotto a uno scribacchino che non fa quasi più clinica. Si nota inoltre una progressiva incapacità da parte del medico di comprendere la patologia, il suo significato, soprattutto nelle patologie pediatriche: quando un bambino si ammala più volte durante l’anno ed è sempre malaticcio, spesso i pediatri danno antibiotico, tachipirina, cortisone, anche più volte in una stagione senza chiedersi il perché il bambino continui ad ammalarsi. Manca la comprensione che c’è tutto un mondo attorno al sintomo. Il sintomo è come una bandierina che ci dice: c’è un problema; ma il problema non è il sintomo, bensì un organismo che è infiammato, che è in disbiosi intestinale, che è nutrito male, etc. È come se, in un’automobile, quando si illumina la spia dell’olio, si pensasse che il problema fosse la spia e non la mancanza dell’olio.

Perché si è presa questa deriva?
Una ragione potrebbe essere quella della medicina difensiva. Per non fare errori, per non incorrere in processi, denunce, provvedimenti disciplinari da parte dei pazienti - che hanno anche la loro fetta di responsabilità - si fanno terapie standardizzate per “pararsi le terga”.

A proposito di paracetamolo: può arrivare persino ad essere nocivo?
Il paracetamolo fa incetta delle scorte di glutatione, che è un potente antiossidante. Questo lo sappiamo da tempo. Nei bambini, in particolare, che hanno poco glutatione, se somministriamo loro la tachipirina, perdono parte delle difese contro l’ossidazione. C’è uno studio uscito da qualche settimana, firmato dall’amico professor Piero Sestili, Ordinario di Farmacologia all’Università di Urbino (vedi qui), che dice chiaramente che il paracetamolo deprime le riserve di glutatione e quindi priva l’organismo delle proprie risorse difensive. A ogni noxa patogena, l’organismo risponde con l’infiammazione; il corpo aumenta la temperatura per distruggere virus e batteri termolabili, richiama i globuli bianchi, etc., chiama tutte le truppe alla guerra per sconfiggere il nemico, ma siccome l’infiammazione ha un dispendio metabolico ed energetico elevato, essa produce degli scarti, che sono i radicali liberi. E qui servono gli antiossidanti: vitamina C e glutatione, ad esempio. L’antiossidazione, nel corso di una malattia, è importantissima.

Dopo mesi dall’esplosione della pandemia, si nota ancora un silenzio assordante sulla vera prevenzione: sembra non si possa fare nulla, se non mettersi le mascherine, tenere le distanze, attendere il vaccino.
Chi parla di prevenzione non va certo in prima serata nelle varie televisioni. Io mi occupo di microbiota intestinale e di salute che parte dall’intestino; Sars-Cov-2 crea in certi casi delle complicanze abbastanza gravi: l’iper-infiammazione, la tempesta citochinica, la cascata coagulatoria, ma il punto chiaro è che la maggior parte dei pazienti che vanno incontro a serie complicanze sono pazienti non solo con patologie pregresse, ma con la presenza di un quadro infiammatorio e un quadro disbiotico: ad esempio, tendenza all’ipertensione, al sovrappeso, all’obesità, al diabete, all’intolleranza glucidica. Questo però non viene raccontato dai media, che continuano a veicolare tutt’altro messaggio.

Quale?
Che il Covid ucciderà tutti! Che se non ci proteggiamo, moriremo tutti. Non è fortunatamente così. Il Covid ha una morbilità e una mortalità che non sono alte. È un virus “subdolo”, ma che può - che deve - essere affrontato a livello di una vera prevenzione. È questo che fa la differenza. Tutti i miei pazienti, su cui pratico una medicina di prevenzione e antinfiammatoria, curando l’alimentazione e usando prodotti naturali, come integratori specifici, non hanno avuto complicazioni, e ho più di un migliaio di pazienti. Quelli che purtroppo sono finiti in ospedale (ho avuto anche un decesso) sono stati pazienti che purtroppo non hanno seguito queste indicazioni e che avevano quei fattori gravemente infiammatori di cui abbiamo parlato. Tutti i miei colleghi che hanno avuto questo approccio hanno avuto risultati analoghi. Vorrei aprire una parentesi.

Prego.
Nello storytelling degli ultimi decenni, molte forme patologiche sono diventate norma, ad esempio: l’ipertensione lieve. Uno dice: “Vabbè, un po’ di ipertensione al giorno d’oggi è normale”, ma è una malattia, non è normale essere ipertesi. Così come essere obesi; oggi abbiamo un’epidemia, per esempio, di obesità infantile. Noi viviamo in una società farmacologizzata, dove regna il concetto neoliberista della salute: il mercato. I farmaci devono essere venduti e quindi servono i malati: persone un po’ malate, possibilmente croniche. E non si tratta di complottismo. Capisce, dunque, che in una società del genere fare prevenzione non suona bene, perché uno stile di vita buono non è funzionale a questa società, che vuole che l’uomo deleghi tutto: la sua salute, l’istruzione, gli affetti, persino i più alti valori spirituali.

La Nuova Bussola ha di recente realizzato alcune interviste a medici (vedi qui e qui), che concordavano su un punto fondamentale: lasciare i pazienti a casa con il solo paracetamolo, facendo finta che nessun farmaco funzioni per il Covid, significa creare un potenziale di persone che si riverseranno negli ospedali, e non di rado con un quadro infiammatorio molto avanzato, come sta accadendo.
Questo lasciare a casa così le persone nasce da una mancanza relativa alla medicina di territorio. Il problema dei circa 150 medici morti durante la cosiddetta prima ondata nasce dal fatto che mancavano i presidi di protezione. Qui a Milano, le prime mascherine FFP2 (all’inizio ne hanno fornite solo cinque a testa e tenete presente che andrebbe cambiata ogni sei ore) da parte dello Stato sono arrivate a fine maggio. È come quando i nostri soldati venivano mandati in Russia a combattere con gli scarponi di cartone. È chiaro che questa mancanza verso la medicina del territorio ha poi spinto molti medici a pensare prima di tutto a proteggere sé stessi e le proprie famiglie, con un danno inevitabile sui pazienti. La medicina di territorio si è disgregata, anche perché un medico che ha 1500 pazienti, di fronte a un’epidemia del genere, non ce la fa con il tempo. Questa è l’eredità di trent’anni e passa di malgoverno. Se ci fossero state le risorse per curare tempestivamente i malati a casa, non si sarebbero riversati sicuramente negli ospedali.

Un’ultima domanda: quanto la paura diffusa sta diventando una concausa di malattia?
La salute mentale, intesa come equilibrio dell’asse mente-corpo, cioè avere pensieri buoni, che ci nutrono, è fondamentale. La pandemia di terrore collaterale alla pandemia da Coronavirus è forse anche più grave, anche perché sta cambiando in modo drammatico, e forse definitivo, i rapporti umani; pensiamo all’età evolutiva, come i bambini e gli adolescenti, le ragazze adolescenti e le giovani donne, le più colpite in assoluto, essendo la categoria che sta vivendo peggio questo tempo. Si tratta di un problema gravissimo, che non trova abbastanza spazio sui media, così intenti a comunicarci i numeri dei contagi ed esclusivamente le notizie sull’arrivo del “messia-vaccino”.