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Costosi e impreparati: chi vuole da noi i medici cubani

L’arrivo dei camici bianchi da Cuba e Cina è stato fatto passare come la panacea di tutti mali. Ma è falso: rientra nel piano di ideologizzazione portato avanti dalle due dittature e costato all’Italia anche parecchi soldi. Invece resta inspiegabile perché siano stati rifiutati i 200 medici venezuelani, esuli, preparati e perfettamente integrati.

Attualità 27_03_2020 Español

In questi giorni abbiamo visto su quasi tutti i media italiani la grande campagna propagandistica di ringraziamento a Cuba, per l’arrivo domenica scorsa di un contingente di medici e infermieri a Milano Malpensa. Si tratta della Brigada Henry Reeve e sono stati venduti all’opinione pubblica come la panacea che salverà l’Italia dal male. Perfino le testate liberali e di destra hanno sottolineato l’entusiasmo e la gratitudine per l’atterraggio della squadra cubana: 23 medici di medicina generale, 3 pneumologi, 3 medici di terapia intensiva, 3 infettivologi, 3 medici esperti in urgenze e 15 infermieri, tutti attivi presso il complesso realizzato a Crema per gestire l’emergenza Coronavirus.

Ma non è tutto oro ciò che luccica, si dice nel mio Paese di origine, il Venezuela. I medici cubani non sono esperti nel combatte contro il coronavirus, né fanno un atto di solidarietà. E tantomeno l’Italia aveva bisogno di spendere migliaia di euro per portare da L’Avana 52 persone, quando in territorio italiano ci sono centinaia di specialisti pronti ad agire per salvare vite. E tutto questo posso affermarlo con molta autorevolezza perché in qualche modo sono stata coinvolta in questa triste vicenda. Chiarisco punto per punto.

Inizio dalla fine. La Regione Lombardia non aveva bisogno di portare in Italia i medici cubani. Come presidente dell’Associazione “Venezuela: la piccola Venezia” Onlus ho messo a disposizione della Lombardia un contingente di oltre 200 professionisti della salute italo-venezuelani che si trovano in territorio italiano: per la precisione abbiamo consegnato ben due volte (il 14 e il 18 marzo, secondo le mail che ho personalmente inviato) un database di medici (168 professionisti, tra cui anche esperti di terapia intensiva, anestesisti e infettivologi), infermieri (38) e biologi (18), “disponibili quasi immediatamente a lavorare nell'emergenza”, come ho scritto nella comunicazione inviata e ricevuta dal direttore generale al Welfare Luigi Cajazzo.

Inizialmente la nostra proposta era stata accolta positivamente, come lo stesso Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, ha confermato: “I medici del Venezuela che affiancheranno i nostri professionisti negli ospedali durante l’emergenza coronavirus non sono legati all’attuale regime, con il quale non è in corso alcuna trattativa. Si tratta, invece, di operatori sanitari, esuli e autonomi, che fanno capo all’associazione ‘Venezuela, la piccola Venezia onlus’ da tempo attiva nel nostro Paese, che per motivi burocratici, in questo momento, non possono esercitare la professione e che si mettono a disposizione del sistema lombardo per rafforzare gli organici delle nostre strutture”, si legge nel comunicato pubblicato il 14 marzo sul sito Lombardia Notizie Online (comunicato qui).

E il governo nazionale non può dire che non sapeva dell’esistenza dei medici italo-venezuelani. Da almeno tre anni la nostra associazione (insieme al presidente del Comites Barcelona Alessandro Zehentner e un compatto gruppo di associazioni venezuelane in Italia) si batte per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti in Venezuela, in particolare dei medici, vista la grande quantità di professionisti, anche con due o tre specializzazioni e decenni di esperienza, che non riescono a lavorare in Italia perché si trovano intrappolati nella burocrazia governativa. Per cui, a nostra richiesta, il 29 gennaio (quindi quando ancora non c’era l’emergenza coronavirus) il senatore Giovanbattista Fazzolari (Fratelli d’Italia) ha depositato un’interrogazione ai Ministri degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Salute, dell'Interno e dell'Istruzione, chiedendo che sia valutata la possibilità di “procedere senza indugio ad adottare provvedimenti normativi volti ad abilitare gli italo-venezuelani in Italia all'esercizio delle professioni medico-sanitarie” (interrogazione pubblicata sul sito ufficiale del Senato, leggere qui).

Ecco perché lo stesso Fazzolari ha proposto l'abilitazione professionale e il reclutamento dei professionisti della salute italo-venezuelani presenti nel territorio per affrontare l’emergenza. Richiesta che si è trasformata nell’articolo 13 nel decreto “Cura Italia” (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 marzo 2020), che oggi consente l'esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti con titoli di studio conseguiti all’estero. “In ragione delle difficoltà della comunità italo-venezuelana nel riconoscimento dei titoli di studio in Italia per effetto della perdurante crisi politica venezuelana e dell'elevato numero di cittadini italo-venezuelani o venezuelani presenti sul territorio nazionale, la Commissione di cui al comma precedente valuta la conformità dei relativi titoli di studio e delle professionalità, procedendo all'abilitazione professionale e al reclutamento in relazione alla durata dell'emergenza epidemiologica e del fabbisogno di personale del Servizio Sanitario Nazionale”, si legge nel documento in mio possesso, presentato da Fazzolari al Ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri.

Invece sono prevalsi gli interessi politici e ideologici, prima del vero bisogno dei Lombardi. Quell’articolo che doveva essere la porta per inserire un battaglione di 168 medici più italo-venezuelani già residenti regolari in Italia (in tanti anche di cittadinanza italiana) per aiutare fianco a fianco i medici italiani nell’emergenza, si è trasformato in un boomerang contro il popolo italiano, aprendo la strada ai medici cubani, cinesi e russi che oggi hanno invaso il territorio lombardo. E perché questo boomerang colpisce il popolo italiano? Perché non è un caso che il Governo di Giuseppe Conte abbia fatto entrare senza battere ciglio tre Paesi non democratici sotto la scusa della solidarietà. Così come non è un caso la campagna propagandistica che abbiamo visto in quasi tutti i media italiani. Una volta chiarito che non servivano i medici venuti dall’estero perché le risorse erano in casa, risulta evidente che l’amore surreale del Movimento 5 Stelle per i paesi comunisti sta portando all’Italia su binari molto pericolosi.

Ora è doveroso anche chiarire che i Paesi comunisti non fanno solidarietà. In particolare, la missione medica di Cuba, oltre che missione umanitaria, è un efficiente meccanismo che non solo porta soldi alla dittatura (perché il regime si fa pagare tra i 4.000 e 6.000 dollari mensili per ogni medico), ma serve anche per inoculare il virus comunista in quegli strati più poveri e vulnerabili delle società nelle quali si infiltra per esportare il suo sistema repressivo e persino l’indottrinamento. Noi venezuelani conosciamo bene come funziona: ai tempi di Hugo Chavez siamo stati invasi da più di 40 mila persone (non tutti medici), che “avevano una funzione politica, individuare chi era oppositore del governo, indottrinare i pazienti e agire come agenti dell'intelligence per preservare il regime chavista in Venezuela” ha spiegato l’Ambasciatore del governo ad interim del Venezuela presso l’Organizzazione di Stati Americani (OSA), Gustavo Tarre Briceño. Per approfondimenti vi invitiamo a leggere l’articolo “Così i medici cubani stalinizzano il Latinoamerica”, pubblicato dalla Nuova BQ lo scorso 21 gennaio.

La cosa più assurda di questa triste vicenda è che sia accaduta in una regione sotto il controllo della Lega. Non riesco a capire ancora come sia possibile che il partito che promuove il sovranismo e si autodefinisce di destra sociale non abbia reagito contro questa invasione silenziosa. Anzi, dalle dichiarazioni dello stesso Gallera si capisce che è stata promossa da lui in prima persona: “lunedì scorso (16 marzo) avevo scritto al Ministro della Sanità cubano, anzi avevo scritto venerdì scorso (20 marzo), domenica, mentre uscivo dalla doccia, è suonato il telefono ed era l’Ambasciatore cubano, che mi ha comunicato che loro erano non solo disponibili, ma onorati di venere in Italia a darci una mano. Io ho telefonato raggiante al Presidente, abbiamo attivato subito ciò che serviva, quindi i contatti diplomatici. Abbiamo anche qui chiesto e ottenuto dal governo un aereo per poter recuperare velocemente queste persone, nell’arco di una settimana…”, ha confessato orgogliosamente durante la conferenza stampa del 24 marzo.

Il risultato? Oggi all’ospedale di Crema cercano volontari che parlino spagnolo, disposti ad assistere i medici cubani nelle traduzioni, e una spesa ancora sconosciuta che di certo è stata pagata per portare i cosiddetti medici cubani in Italia. Chi ha avallato la professionalità di questi medici? È conveniente esporre anche i traduttori al virus quando ci sono più di 200 professionisti della salute italo-venezuelani residenti in Italia, che parlano italiano, la maggioranza di cittadinanza italiana, che sono pronti a lavorare nell’emergenza?

“La gestione della disponibilità dei medici italo-venenzuelani da parte di Gallera e Fontana purtroppo è solo una dei tanti episodi che abbiamo di impreparazione della Regione Lombardia nella gestione dell'emergenza. Anche nel caso dei medici italo-venenzuelani, Gallera ha scelto di puntare sugli annunci in TV e sulla rivendicazione contro il Governo, per poi non fare nulla in termini di fatti. È davvero un peccato. Speriamo che la norma approvata nel decreto Cura Italia possa permettere al più presto alle Regioni italiane di avvalersi dell'aiuto dei medici e infermieri italo-venezuelani”, ha dichiarato per la Nuova BQ l’Onorevole Lia Quartapelle (PD), capogruppo dem alla Commissione Esteri della Camera. Anche lei si è battuta per l’approvazione della norma che oggi permette di lavorare ai medici italo-venezuelani, ma che fino ad oggi ancora attendono una chiamata, nonostante tutti gli scambi che abbiamo fatto con la Regione Lombardia. Non possono dire che la mancanza di risorse li abbia costretti ad accettare l’invasione comunista.