Così la Sicilia sta diventando un emirato
L'emirato del Qatar, attraverso una organizzazione caritativa, sta riempiendo la Sicilia di moschee e centri islamici con grossi investimenti (almeno sei milioni di euro). Così favorisce la penetrazione del fondamentalismo islamico, Fratelli musulmani e altre organizzazioni estremiste.
«Con del denaro in tasca si è a casa propria dappertutto», scriveva Daniel Defoe nel celebre romanzo Moll Flanders. Questa affermazione si addice perfettamente all’operato del Qatar in Europa in generale, e nel nostro paese in particolare e, in modo ancora più specifico, in Sicilia.
Lo scorso giugno l’emiro Ali bin Thamer al-Thani ha visitato la Sicilia, tra cui città come Ragusa e Palermo, ha incontrato autorità locali, rappresentanti di aziende, il presidente della Confindustria siciliana in vista di Brand Italy, la più grande esposizione di prodotti italiani realizzata in Medio Oriente che si terrà a Doha dal 10 al 12 novembre prossimi. A margine della visita l’emiro ha dichiarato: «Stiamo investendo molto in Italia, abbiamo acquistato, come ben sapete, Valentino, una catena di alberghi di lusso, abbiamo comprato l'ospedale di Olbia. Ci sono parecchi investimenti previsti in Italia e il nostro interesse è investire sempre di più».
Tuttavia, l’interesse per la Sicilia da parte del piccolo, ma estremamente ricco, emirato del Golfo, non rappresenta una novità e non si limita alle attività commerciali e di import del brand italiano. D’altronde la Sicilia nell’immaginario islamico, e in modo particolare dell’estremismo islamico, occupa un posto di rilievo, secondo solo all’Andalusia. Yusuf al-Qaradawi, teologo di riferimento dei Fratelli musulmani residente in Qatar, ha affermato quanto segue: «L’islam ritornerà in Europa come conquistatore e vincitore, dopo esserne stato espulso – prima a Sud, dall’Andalusia (Spagna 1492) e una seconda volta da Oriente, quando ha bussato molte volte alle porte di Atene. […] Ritengo che la conquista questa volta non sarà con la spada, ma attraverso la predicazione e l’ideologia».
In questo progetto globale di riconquista, la conquista di Roma, cui accenna anche un hadith, ovvero dell’Italia è chiave. La Sicilia per il valore simbolico del proprio passato islamico e come luogo di approdo e di transito dei musulmani di vari paesi è di fatto ideale per diffondere sia ideologia che predicazione.
Già nel 2012 Vittorio Sgarbi, allora sindaco di Salemi, aveva annunciato un accordo con il Qatar per la costruzione di una moschea. Nel gennaio 2012 Sgarbi aveva partecipato alla XIX edizione del Premio Sicilia, tenutasi a Modica, accompagnato da Yusuf ibn Ahmad al-Kawari presidente esecutivo dell’associazione Qatar Charity Foundation. Nel gennaio 2013 lo stesso Premio Sicilia, tenutosi a Messina, conferiva il premio “Uomini e Società” proprio alla Qatar Charity nella veste di al-Kawari.
In quell’occasione l’organizzazione qatarina ha emesso un eloquente comunicato stampa in cui si legge: «La Qatar Charity sta realizzando un numero di progetti importanti in Sicilia con un investimento di circa 11 milioni di riyal [circa 2.355.430 Euro]. Siffatti progetti riguardano i seguenti centri islamici: centro islamico di Ispica con un investimento di 1.200.000 di riyal [circa 256.956 euro], il centro islamico di Catania con un investimento di 2 milioni di riyal [circa 428.260 euro], il centro islamico di Messina con un investimento di 4.105.000 riyal [circa 879.003 euro] e il centro islamico di Comiso con un investimento di 3.782.000 riyal [circa 809.839 euro]».
Il comunicato annuncia altresì che «la Qatar Charity si sta attivando per finanziare sette altri centri islamici con circa 17milioni di riyal [circa 3.640.000.210 euro] in alcune città italiane ovverosia: Mazara del Vallo, Palermo, Modica, Barcellona, Donnalucata, Scicli e Vittoria».
Quindi al 30 gennaio 2013, data in cui è stato pubblicato il comunicato, l’investimento complessivo della Qatar Charity previsto per la Sicilia ammontava a circa 6 milioni di euro.
L’investimento italiano della Qatar Charity riguarda anche altri centri islamici tra cui quello di Colle Val d'Elsa, dove ha affiancato la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, alla cui inaugurazione ufficiale, nell’ottobre 2013, ha partecipato al-Kawari. Sempre nell’ottobre 2013 all’inaugurazione del Centro islamico di Ravenna ha partecipato Mohammed Ali al-Ghamidi, direttore esecutivo Dipartimento Sviluppo Internazionale della Qatar Charity. Infine nel novembre 2013 il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, in un’intervista pubblicata sul sito della televisione satellitare Al Jazeera, con sede in Qatar, ha chiesto «al Qatar di contribuire alla fondazione di un centro culturale islamico per accogliere i rifugiati che giungono all’isola di Lampedusa».
Ebbene è risaputo che lo Stato del Qatar, organizzazioni, nonché singoli cittadini qatarini sono stati tra i principali finanziatori e sostenitori del movimento dei Fratelli musulmani, in modo particolare in Occidente. Uno dei metodi privilegiati è, proprio come nel caso italiano, il finanziamento totale o parziale di moschee o centri islamici, delegando poi la gestione ai rappresentanti locali di organizzazioni collegate direttamente o ideologicamente con la rete dei Fratelli musulmani. I casi più recenti riguardano Copenhagen, con un finanziamento dell’ex emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al-Thani di circa 27.400.000 dollari, e Barcellona in Spagna, dove il Qatar, che è tra l’altro lo sponsor della squadra locale, avrebbe offerto circa 2.200.000 euro per acquistare la storica Plaza de Toros e trasformarla in una moschea.
Nel contesto degli investimenti qatarini in Occidente, un ruolo particolare hanno le associazioni caritatevoli che, come è stato più volte rilevato, sono spesso lo strumento con cui l’emirato, al pari di altri Stati del Golfo, finanzia la rete dei Fratelli musulmani.
Tra queste associazioni v’è la Qatar Charity che tanto sta investendo in Europa e nel nostro paese. Già nel 2002 Abdel-Rahman Ghandour nel saggio Jihad humanitaire. Enquête sur les ONG islamiques (Flammarion, Parigi 2002, 138) inseriva la QC tra le ONG islamiche finanziate prevalentemente da fondi istituzionali.
L’interesse sempre maggiore nei confronti del Vecchio continente è confermato dalla apertura, lo scorso giugno, di una sede a Londra (Qatar Charity UK) preposta a sovrintendere e a seguire «lo sviluppo di progetti sia in Gran Bretagna che in altri paesi europei dove la QC ha stabilito centri islamici, scuole e istituti in paesi come la Francia e l’Italia, unitamente a progetti e programmi in paesi europei come la Bosnia, il Kosovo e l’Albania».
Ebbene, la Qatar Charity gode di una reputazione definibile contradditoria per quanto concerne i suoi rapporti, diretti o indiretti, con l’estremismo islamico.
Nel gennaio 2009 la NEFA Foundation pubblicava lo studio di Steve Marley “The Union of Good: A Global Muslim Brotherhood Hamas Fundraising Network”. L’Unione del Bene (in arabo Ittilaf al-khayr), riferisce il rapporto, è una coalizione di organizzazioni caritative islamiche che «provvede sostegno finanziario sia alla infrastruttura ‘sociale’ di Hamas sia alle sue attività terroristiche. È presieduta dal leader della Fratellanza musulmana globale Yusuf Qaradawi e maggior parte dei garanti e delle organizzazioni membri sono associati ai Fratelli musulmani». Nel 2002 l’Unione del bene è stata messa al bando in Israele, nel 2008 è stata definita negli Stati Uniti come «un’organizzazione creata dalla leadership di Hamas per finanziare le proprie attività terroristiche».
La relazione tra Qatar e Unione del Bene è siglata non solo dalla figura di Yusuf Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli musulmani e presidente del Consiglio Europeo della Fatwa e la Ricerca con base a Dublino, che vive e opera da anni da Doha, ma anche dalla presenza tra le organizzazioni caritatevoli appartenenti alla galassia dell’Unione del Bene della Sheikh Eid Bin Muhamad Al-Thani Charity Association sia della Qatar Charity (vedasi Appendice 4 del rapporto NEFA).
Nel febbraio 2013 Foreign Policy pubblica un articolo a firma di Daveed Gartenstein-Ross e Aaron Y. Zelin sulle organizzazioni caritative islamiche dove si legge: «È noto che la Qatar Charity ha operato nel Mali del Nord quando è stato invaso dai gruppi islamisti, compreso l’affiliato di Al Qaeda in Nord Africa. Questi jihadisti erano non solo ben armati, ma anche ben finanziati. […] Maliweb, una fonte indipendente di informazione sul Mali con base negli Stati Uniti, ha accusato la Qatar Charity di essere uno dei principali finanziatori dei ‘terroristi in Mali’. Anche se la Qatar Charity ha i propri difensori, il focus dei suoi sforzi umanitari e il modo in cui questi coincidevano con i tentativi degli islamisti per sostenere l’economia forniscono motivi per nutrire sospetti».
Una reazione è giunta da Suraj K. Sazawal sul sito del Charity and Society Network che accusa Gartenstein-Ross e Zelin di avere addotto nel caso della Qatar Charity «scarse prove di appoggio per sostenere le proprie affermazioni” e conclude sostenendo che, al contrario, “le organizzazioni caritative svolgono un ruolo prezioso nell’affrontare il terrorismo alla radice». Nel giugno 2014 Stand for Peace pubblica un elenco di organizzazioni caritative britanniche collegate al fronte delle organizzazioni legate a Hamas e ancora una volta compare la Qatar Charity unitamente a Interpal, la Lega islamica mondiale e l’Assemblea Mondiale della Gioventù islamica (WAMY).
Ritornando al Qatar è noto che, a partire dalla scoperta del gas nel proprio sottosuolo, è uno dei paesi più ricchi al mondo con i suoi 102.700 dollari di PIL pro capite. Non solo, il Qatar ha altresì un rapporto schizofrenico con l’Occidente. La base militare americana di Al Udeid è una delle più importanti dell’area. Il Qatar è stato anche fondamentale nel convincere i paesi della Lega araba e del Consiglio di Cooperazione del Golfo a intervenire in Libia a fianco dei ribelli. Quindi si potrebbe azzardare la conclusione che si tratti di un paese filo-occidentale, dal punto di vista politico.
Tuttavia altre posizioni e altre politiche della penisola che si affaccia sul Golfo persico ci porterebbero in direzione opposta. Il Qatar ospita dal 1996 la sede di Al Jazeera, la televisione satellitare araba più famosa, nota per la sua spiccata tendenza anti-occidentale in generale, anti-americana in particolare. Dal 1961 il Qatar ha ospitato, con tutti gli onori, Yusuf Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli musulmani, che non solo predicava ogni venerdì nella moschea di Doha, ma che è assurto alla fama mondiale grazie agli schermi di Al Jazeera con la trasmissione “La sharia e la vita”, e che è un sostenitore degli attentati suicidi in Israele e in Iraq ai tempi dell’intervento americano. Anche il leader di Hamas Khaled Meshaal risiede in Qatar.
Nel 2012 l’emirato lancia Research Center for Islamic Legislation and Ethics (CILE) sotto l’egida della moglie dell’emiro, l’affascinante shaykha Mozah. I nominativi dei partecipanti alla cerimonia inaugurale aiutano a tessere tutte le fila di quanto affermato sinora. Primo fra tutti il direttore del Centro Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani Hasan al-Banna, il cui intervento è stato seguito da quello del suo maestro spirituale Yusuf Qaradawi, presentato come presidente dell’Unione Mondiale degli ulema (IUMS). Presente anche Mustafa Ceric, Gran Mufti di Bosnia e membro del Centro Europeo per la Fatwa e la Ricerca con sede a Dublino, presieduto sempre da Qaradawi.
Di recente il Qatar ha chiesto ad alcuni membri dei Fratelli musulmani di abbandonare il paese. Quello che poteva essere un segnale incoraggiante nella direzione di una presa di distanza dal movimento fondato da Hasan al-Banna, sembra essere il risultato di un patteggiamento tra i paesi del Golfo che vedono l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti in prima fila nella lotta contro la Fratellanza. D’altronde Yusuf al-Qaradawi, nonostante qualche attrito in passato con l’emiro, continua ad agire nell’emirato così come il Centro di ricerca diretto da Tariq Ramadan.
Lo scorso gennaio Mostafa El Ayoubi dalle pagine di Nigrizia non solo ha denunciato la visione arcaica e approssimativa della religione islamica diffusa dal Qatar che «considera il dialogo interreligioso come uno strumento di proselitismo e di conversione», ma ha ricordato altresì che «nel “filantropo” Qatar, milioni di immigrati sono trattati come degli schiavi. Ad oggi sono morti decine di immigrati utilizzati nella costruzione degli impianti per i mondiali del 2022. E il razzismo nei confronti dei lavoratori immigrati dovrebbe far riflettere molto i musulmani in Europa – in gran parte di origine immigrata – sull’insidiosa carità dei principi qatarioti».
Il doppio filo che lega il Qatar al movimento dei Fratelli musulmani in Occidente, ma anche la mancanza di rispetto dei diritti umani, soprattutto nei confronti dei lavoratori immigrati, nell’emirato dovrebbe fare riflettere chi accetta l’intervento massiccio di fondi provenienti sia dal governo qatarino che dalla Qatar Charity ad esso connessa. Concordo appieno con El Ayoubi quando scrive che «è meglio una sala di preghiera piccola e dignitosa di una sontuosa moschea costruita con il contributo di uomini (ricchi) che ancora oggi schiavizzano i loro simili!» e che hanno una concezione per lo meno ambigua della nozione di terrorismo.