Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Corte penale irrilevante, utile solo per i nemici politici

Minniti, Salvini e Mogherini denunciati da una Ong alla Corte Penale Internazionale. Un inutile carrozzone che in 20 anni ha portato a termine solo 31 processi per 51 imputati e appena dieci condannati. Perché ha armi spuntate per operare, ma anche perché funziona solo se ci sono nemici politici da perseguire. 

Attualità 05_12_2022

Quando 20 anni fa la Corte penale internazionale (Cpi) ha iniziato i lavori, in Italia solo qualche voce fuori dal coro ha espresso perplessità sulla sua reale utilità. Fortemente voluta dal Partito radicale, i suoi promotori ne avevano annunciato trionfalmente la costituzione parlandone come di un traguardo di portata storica per l’umanità. Da allora quasi nessuno si è più ricordato della sua esistenza, almeno in Italia, finché nei giorni scorsi una organizzazione non governativa tedesca ha depositato una denuncia proprio alla Cpi contro Marco Minniti, Matteo Salvini e Federica Mogherini. L’accusa è di aver commesso crimini contro l’umanità nei confronti degli emigranti illegali che tentano di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo.

La Cpi infatti ha giurisdizione sovrannazionale su crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di aggressione commessi da individui, non da stati, sul territorio di uno stato membro o, dovunque sia, dai cittadini di uno stato membro. L’Italia è stata uno dei primi paesi a ratificarla e quindi, esaminati i capi d’accusa, la Cpi potrà decidere di emettere contro uno dei nostri connazionali o contro tutti e tre un mandato d’arresto internazionale e ogni stato membro, il nostro incluso, sarà tenuto ad arrestarli e a consegnarli. Se il governo italiano non desse seguito al mandato, potrebbero essere arrestati dalle autorità di un qualsiasi paese membro non appena vi mettessero piede, ad esempio per partecipare a un vertice internazionale o per trascorrere una vacanza. Potrebbe iniziare per loro un lunghissimo periodo di detenzione nelle carceri della Cpi all’Aia dove il tribunale ha sede: anni, in attesa che il processo venga istituito e si arrivi a una sentenza.

Il motivo per cui finora ci eravamo dimenticati della Cpi è che in realtà in questi 20 anni la sua esistenza si è dimostrata sostanzialmente irrilevante per le sorti dell’umanità. La Corte istituisce processi solo se gli imputati possono essere presenti in aula e i suoi ideatori non si sono resi conto di un problema fondamentale, di rilevanza decisiva: vale a dire che la Cpi non ha modo di indurre i molti stati che non ne sono parte a collaborare e, in realtà, neanche di imporre alcunché agli stessi stati membri. In altre parole può emettere mandati di comparizione e di arresto, ma non dispone di strumenti propri per farli eseguire.

Se le persone incriminate non si consegnano spontaneamente, cosa che ancora non è successa, la Cpi dipende dalla volontà dei governi: che, almeno finora, hanno consegnato volentieri gli indagati se erano avversari politici – ad esempio, l’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, sconfitto militarmente dall’attuale capo di stato Alassane Dramane Ouattara con l’aiuto determinante della Francia, o Jean-Pierre Bemba, il più temibile avversario politico dell’ex presidente della Repubblica Democratica del Congo Joseph Kabila – ma non si affannano a tentare la cattura di leader ribelli se questi si limitano a infierire sulla popolazione in aree remote dei loro paesi – è il caso, ad esempio, di Joseph Kony, capo del feroce Lord Resistance Army attivo in Uganda – e proprio non si sognano di consegnare i propri leader e di soddisfare le richieste della Cpi, come ha clamorosamente dimostrato il caso dell’ex presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir.

Contro di lui la Cpi ha emesso un mandato internazionale di arresto nel 2009 con l’accusa di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità nella regione sudanese orientale del Darfur, seguito nel 2010 da un secondo mandato d’arresto essendo stata aggiunta alle precedenti l’accusa di genocidio. Tuttavia al Bashir è stato rieletto presidente pochi mesi dopo, nel 2010, e da allora non solo ha  guidato incontrastato il suo paese, ma ha effettuato soggiorni all’estero senza essere arrestato e consegnato alla Cpi. Ha persino partecipato nel 2012 in Ciad alle nozze del presidente di quel paese, Idriss Déby Itno, invitato insieme a Ibrahim Gambari all’epoca capo dell’Unamid, la missione di peacekeeping istituita nel 2007 dall’ONU e dall’Unione Africana per proteggere le popolazioni del Darfur. Entrambi sono stati ripresi mentre si sorridono e si salutano calorosamente. Nel 2019 al Bashir è stato deposto da un colpo di stato militare, arrestato e rinchiuso in carcere. Solo allora i nuovi leader hanno preso in considerazione la possibilità di consegnarlo alla Cpi e solamente nel 2021 si sono impegnati a farlo.

Ci sono voluti 10 anni perché la Cpi pronunciasse il suo primo verdetto: nel 2012, contro Thomas Lubanga, un altro avversario dell’ex presidente congolese Kabila. Oggi, in 20 anni di attività, ha istituito 31 processi in tutto, per un totale di 51 imputati, quattro dei quali assolti e dieci condannati. Per gli altri il processo è tuttora in corso. L’attuale procuratore capo della Cpi, il britannico Karim Khan, sostiene che occorrono più risorse se si vuole che i lavori procedano più speditamente. Si fa fatica a credergli. La Cpi ha 18 giudici a tempo pieno e 900 dipendenti. Ha costi di gestione cospicui, in continua crescita: 148 milioni di dollari nel 2021, 158 milioni nel 2022. Oltre alla sede centrale dell’Aia, ha un ufficio presso le Nazioni Unite a New York e sette uffici decentrati: due nella Repubblica democratica del Congo e uno in ciascuno dei seguenti paesi: Uganda, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Georgia e Mali. Le lingue di lavoro sono due: inglese e francese. Quelle ufficiali sono sei: oltre all’inglese e al francese, arabo, cinese, russo e spagnolo. 

Non tutti nel mondo hanno approvato la costituzione della Cpi. A oggi i suoi stati membri sono solo 123. I paesi che non vi hanno aderito hanno correttamente valutato la sua scarsissima per non dire nulla utilità e, per contro, l’uso politico e ideologico al quale può prestarsi. Qualcuno che l’aveva ratificata, in seguito ha deciso di revocare la sua adesione. Sarebbe il caso che anche l’Italia prendesse in considerazione la possibilità di fare altrettanto.