"Correggere chi sbaglia è misericordia"
Il Pontefice affronta il rapporto tra misericordia e correzione: Dio fa come il buon padre di famiglia che è misericordioso verso i suoi figli, ma fa parte della misericordia correggerli ed eventualmente punirli quando sbagliano. La punizione infatti diventa lo strumento per provocare a riflettere
All'udienza generale del 2 marzo, Papa Francesco ha proseguito il suo ciclo di catechesi sulla misericordia, affrontando il tema dei rapporti fra misericordia e correzione. Il buon padre di famiglia è misericordioso verso i suoi figli, ma fa parte della misericordia - ha detto il Papa - anche correggerli ed eventualmente punirli quando sbagliano.
Si comporta così anche Dio, come leggiamo nel primo capitolo di Isaia: «Udite, o cieli, ascolta, o terra, così parla il Signore: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”». «Dio - commenta il Pontefice -, mediante il profeta, parla al popolo con l’amarezza di un padre deluso: ha fatto crescere i suoi figli, ed ora loro si sono ribellati contro di Lui. Persino gli animali sono fedeli al loro padrone e riconoscono la mano che li nutre; il popolo invece non riconosce più Dio, si rifiuta di comprendere».
Ma che cosa fa Dio in questa circostanza? «Pur ferito, Dio lascia parlare l’amore, e si appella alla coscienza di questi figli degeneri perché si ravvedano e si lascino di nuovo amare». Ma oggi tutto sembra diventato più difficile. «La relazione padre-figlio, a cui spesso i profeti fanno riferimento per parlare del rapporto di alleanza tra Dio e il suo popolo, si è snaturata. La missione educativa dei genitori mira a farli crescere nella libertà, a renderli responsabili, capaci di compiere opere di bene per sé e per gli altri. Invece, a causa del peccato, la libertà diventa pretesa di autonomia, pretesa di orgoglio, e l’orgoglio porta alla contrapposizione e all’illusione di autosufficienza».
Dio richiama e corregge il suo popolo perché è suo, perché gli appartiene. «Questa appartenenza dovrebbe essere vissuta nella fiducia e nell’obbedienza, con la consapevolezza che tutto è dono che viene dall’amore del Padre. E invece, ecco la vanità, la stoltezza e l’idolatria». Isaia si rivolge al popolo per fargli capire quanto è grave la sua colpa: «Guai, gente peccatrice, […] figli corrotti! Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro».
Hanno abbandonato Dio, e non sono felici. «La conseguenza del peccato è uno stato di sofferenza, di cui subisce le conseguenze anche il paese, devastato e reso come un deserto, al punto che Sion – cioè Gerusalemme - diventa inabitabile». È la logica conseguenza del rifiuto di Dio. «Dove c’è rifiuto di Dio, della sua paternità, non c’è più vita possibile, l’esistenza perde le sue radici, tutto appare pervertito e annientato». Tuttavia, «anche questo momento doloroso è in vista della salvezza. La prova è data perché il popolo possa sperimentare l’amarezza di chi abbandona Dio, e quindi confrontarsi con il vuoto desolante di una scelta di morte. La sofferenza, conseguenza inevitabile di una decisione autodistruttiva, deve far riflettere il peccatore per aprirlo alla conversione e al perdono».
Tutto questo ha molto a che fare con la misericordia, anzi mostra come funziona e aiuta a non cadere in equivoci. La misericordia non esclude la correzione e neppure il castigo. «La punizione diventa lo strumento per provocare a riflettere».
A differenza di altre tradizioni religiose, in quella ebraica interpretata da Isaia i sacrifici rituali e le purificazioni rituali non bastano a riparare il male fatto. Dio, «nella sua misericordia, indica una strada che non è quella dei sacrifici rituali, ma piuttosto della giustizia. Il culto viene criticato non perché inutile in sé stesso, ma perché, invece di esprimere la conversione, pretende di sostituirla; e diventa così ricerca della propria giustizia, creando l’ingannevole convinzione che siano i sacrifici a salvare, non la misericordia divina che perdona il peccato».
La mentalità ritualistica rischia di diventare mentalità magica: «quando uno è ammalato va dal medico; quando uno si sente peccatore va dal Signore. Ma se invece di andare dal medico, va dallo stregone non guarisce». Dio, riferisce Isaia, non gradisce il sangue di tori e di agnelli, soprattutto se l’offerta è fatta con le mani sporche del sangue dei fratelli. E Francesco pensa ad «alcuni benefattori della Chiesa che vengono con l’offerta - “Prenda per la Chiesa questa offerta”- è frutto del sangue di tanta gente sfruttata, maltrattata, schiavizzata con il lavoro malpagato! Io dirò a questa gente: “Per favore, portati indietro il tuo assegno, brucialo”. Il popolo di Dio, cioè la Chiesa, non ha bisogno di soldi sporchi, ha bisogno di cuori aperti alla misericordia di Dio».
Isaia conclude: «Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». E oggi il Papa dice: «Pensate ai tanti profughi che sbarcano in Europa e non sanno dove andare». Aiutateli. E «allora, dice il Signore, i peccati, anche se fossero scarlatti, diventeranno bianchi come la neve, e candidi come la lana, e il popolo potrà nutrirsi dei beni della terra e vivere nella pace». È questo «il miracolo del perdono che Dio; il perdono che Dio come Padre, vuole donare al suo popolo. La misericordia di Dio è offerta a tutti, e queste parole del profeta [Isaia] valgono anche oggi per tutti noi, chiamati a vivere come figli di Dio».