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EGITTO

Copti, dopo Mubarak va anche peggio

Shari'a da un lato e militari dall'altro: sequestri, violenze, spettro islamista e paura del golpe. I copti della diaspora raccontano un Paese pericoloso.

Attualità 15_04_2011
cristiani copti in Egitto
 
Se nell’Egitto liberato da Hosni Mubarak la “piazza” è tornata ad accendersi poiché insoddisfatta del “ricambio a metà” operato dai militari oggi al potere, chi se la passa peggio di tutti sono i cristiani copti. Malak Mankarious, insegnante, copto ortodosso membro della diaspora di Milano, definisce la situazione «grave». «Incandescente» la bolla “invece” Azer Sherif, responsabile della comunità di Torino, anche lui ortodosso, incaricato dei rapporti fra le diverse confessioni copte.

I cristiani egiziani vivono da sempre sul filo del rasoio, «ma dopo la cacciata di Mubarak», osserva Mankarious, «la discriminazione è aumentata. Tutti sappiamo che ogni giorno vengono per esempio rapite donne cristiane che spariscono nel nulla, ma per prudenza non se ne parla. Le violenze sui cristiani sono del resto all’ordine del giorno e sul punto anche le gerarchie ecclesiastiche tengono il profilo basso. Le nostre guide debbono stare infatti molto attente a ciò che dicono. E così finisce che sul destino dei copti cala un velo di silenzio, che in alcuni casi è pure indifferenza. Nessuno sa più cosa succede loro quotidianamente, nessuno ne parla, sembra persino che il problema non esiste. E invece c’è, ed è grave, sempre più grave».

Il Consiglio Supremo delle Forze Armate che, comandato da Mohamed Hussein Tantawi, regge le sorti del Paese nel dopo-Mubarak, sembra peraltro tenere i piedi in due scarpe. Cerca di arginare, o quantomeno di non legittimare la recrudescenza dell’islamismo politico, ma al contempo sa di non potere semplicemente ignorare le varie ramificazioni del mondo che fa capo ai Fratelli Musulmani, ancora e sempre l’unica forza politica organizzata sul territorio, oltre al Partito Nazionale Democratico (PND) che già espresse Mubarak. E così cerca un po’ di accontentare la “piazza” che continua a chiedere riforme ? e che però non si accontenta ? e un po’ lavora per trovare la giusta distanza a cui tenere i Fratelli Musulmani, una distanza che in qualche caso potrebbe essere brevissima visto che la Fratellenza può contare o già conta amici e sostenitori anche fra i militari.

«Spesso la polizia», aggiunge Mankarious, «è complice delle violenze sui copti, o comunque lascia fare, non interviene. Nel complesso scenario dell’Egitto di oggi, con tutte le questioni spinose ancora aperte che ci sono, nessuno ha voglia di scoperchiare pure il caso copto. E così noi ci rimettiamo sempre. Il secondo articolo della Costituzione ora vigente stabilisce che è il Corano la fonte della legge. Insomma, la riforma costituzionale prima approvata dal parlamento e poi sancita con il 77% dei suffragi nel referendum del 26 marzo vinto grazie all’impegno della Fratellanza Musulmani e del PND stabilisce la shari'a, e questo per i copti è la fine. Tra i cristiani si stanno  così profilando due posizioni, entrambe trasversali sia agli ortodossi sia ai cattolici. C’è chi propende per cercare di ritagliare una enclave giuridica cristiana dentro il dominio generalizzato della shar’ia in modo da cercare di salvare il salvabile, e chi invece giudica questo escamotage impossibile e quindi chiede il superamento totale della legge coranica operando per uno Stato laico».

Ancora più pessimista è il realismo di Sherif. «Temiamo un golpe militare», dice senza mezzi termini. «Nel Paese convivono “tre mondi”. Ci sono i militari al potere, c’è una grande massa di popolo che vive in modi piuttosto articolati la propria identità musulmana e poi c’è la minaccia salafita, ovvero l’idea di un rinnovato “purismo” islamico che tende a tracimare nello jihadismo. Sono diverse le anime pericolose dell’islamismo, ma a differenza di altre la componente salafita è operativa. Quindi è quella ora più pericolosa. Per tutti, militari compresi. Ora, i militari dovrebbero guidare la transizione fino alle elezioni di settembre per poi passare il governo ai civili. A parte il fatto che in settembre potrebbero vincere le elezioni partiti legati alla Fratellanza Musulmana, sta di fatto che in questo momento i militari cercano di stemperare ogni possibile diverbio con il mondo islamico per cercare di non innescare contenziosi ancora più grandi. L’incognita salafita potrebbe però fare la vera differenza, e spingere adesso o al momento delle elezioni, qualora il Paese dovesse prendere una strana piega, al colpo di mano. In mezzo ci sono sempre i copti, che vivono fra incudine e martello».

In Egitto i copti - in gran parte ortodossi, con una sparuta presenza cattolica (e pure una ancor più piccola presenza protestante) - sono una minoranza, certo, ma si tratta della «più grande minoranza cristiana nel Medio Oriente benché nessuno sappia quanti siano esattamente», dice don Augusto Negri, islamologo, docente alla Facoltà Teologica di Torino, presidente del Centro Federico Peirone che, istituito presso la diocesi del capoluogo piemontese, si occupa egregiamente da anni di monitorare la questione islamica, i problemi dell’immigrazione e la realtà dei cristiani in Medioriente e in Nordafrica. «Si va - scrive don Negri - dal 6% fino al 12% dei circa 83 milioni di egiziani», ma «un censimento tranchant sulla questione non conviene a nessuno. Sappiamo però che il numero dei cristiani del Medioriente è in costante diminuzione» e fra loro sono molti soprattutto «i copti che emigrano nei Paesi occidentali». All’Occidente i copti chiedono dunque maggiore vigilanza, convinti che se un eventuale islamismo risorgente li travolgerà in Egitto, e quindi nel resto del mondo arabo e nordafricano, la prossima tappa sarà l’Europa. Malak Mankarious mi saluta così: «Non so se può scriverlo sul suo giornale, ma da cristiano ortodosso oggi mi appello fortemente al Papa. Non ci lasci soli, alzi la voce…».