Contrordine. In Iowa ha vinto il cattolico Santorum
Romney l'aveva spuntata per soli
8 voti, ma il riconteggio lo penalizza invece di 34. Intanto Perry si ritira. Resta un parterre di pochi ma buoni.
Era nell’aria da giorni, adesso è una realtà matematica. Le elezioni primarie nello Stato dell’Iowa del 3 gennaio le ha vinte Rick Santorum [nella foto], non Mitt Romney.
La serata di spoglio dei voti era subito iniziata con un fulmineo balzo in avanti di Santorum (già cresciuto rapidamente nei sondaggi dell’ultima ora) e poi era proseguita con un serratissimo testa a testa che alla fine ha consegnato il vantaggio a Romney per soli 8 voti. Adesso però, dopo contestazioni e riconteggi, il fronte si è rovesciato: Santorum batte ufficialmente Romney per 34 voti. Santorum ha infatti totalizzato 29.839 voti pari al 24.56% dei suffragi espressi, mentre Romney 29.805 voti pari al 24.53%. Adesso il meccanismo già complesso con cui il Partito Repubblicano dell’Iowa assegna ai vari concorrenti del caucus i delegati per la Convenzione nazionale che in agosto a Tampa, in Florida, nomineranno lo sfidante finale di Barack Obama in base all’andamento (anche) numerico delle primarie si complica ulteriormente. Per i conti occorrerà dunque attendere. Ma non per incrinare il "mito" che vuole Romney già invincibile solo per essersi aggiudicato i primi due confronti elettorali della stagione 2012.
Certo, Santorum ha battuto Romney di misura in Iowa mentre Romney ha sconfitto Santorum con amplissimo margine in New Hampshire il 10 gennaio; ma a Santorum non sfugge il vantaggio psicologico e propagandistico costituito dal potere oggi dire di essere pari con Romney nel conto degli Stati vinti. Soprattutto perché si avvicinano a grandi passi le primarie del 21 gennaio in South Carolina dove, almeno sulla carta, visto l'elettorato e vista la sua offerta poltica, Santorum potrebbe fare bene, anche se però i sondaggi non lo danno messo benissimo nei confrotni di Newt Gingrich, il quale peraltro si appella alla medesima constituency. Gli Stati da conquistare sono del resto ancora molti: e per avanzare elettoralmente lungo le loro strade servono ingenti somme di denaro in donazioni che i buoni piazzamenti della prima ora possono far guadagnare e le sconfitte perdere.
Del resto, la rosa dei candidati in lizza si assottiglia ogni giorno che passa. Contemporaneamente alla notizia della vittoria in Iowa passata da Romney a Santorum è infatti giunta anche quella del ritiro definitivo di Rick Perry. Di fatto Perry non era mai entrato in corsa, ma si era difeso dicendo che l’avere snobbato Iowa e New Hampshire era funzionale al volere puntare sul South Carolina. A pochi giorni, invece, dal momento decisivo, il governatore del Texas ha deciso di gettare la spugna. Il che non aiuta affatto a sfatare il "mito" (falso) secondo cui che le primarie iniziali in Iowa e in New Hampshire hanno il potere di condizionare il resto della sfida, ovvero che chi vince là poi vince facilmente anche dopo… Questo contributo che ora Perry dà a tale falso mito spaventa Santorum meno di quanto avrebbe potuto fare se fosse giunto anche solo ieri, ma tutto si gioca ancora sul sottilissimo filo di lana delle suggestioni. Anche perché, ritirandosi, Perry ha annunciato di voler dare sostegno a Gingrich (e Perry una sua audience in South Carolina ce l'ha), l’uomo che Santorum potrebbe finire per temere di più sul fianco destro, l'uomo che alcuni sondaggi danno favoritissimo (o comunque piazzatissimo) in quell'angolo importante di profondo Sud.
In questo 2012 piuttosto anomalo per i Repubblicani (ovvero per la Destra Repubblicana), il South Carolina potrebbe dunque diventare uno Stato decisivo più di quel che già probabilmente era ed è sempre stato. La gara per la nomination si è infatti ridotta ai soli Romney, Santorum, Gingrich e Ron Paul. Ovvero a un "favorito", tale più per decisione preconcetta che per altro, epperò adesso mortificato da un riconteggio di cui avrebbe fatto volentieri a meno (Romney). A un outsider guascone e affascinante (Paul). E a due sfidanti per nulla decisi a mollare (il rigalvanizzato Santorum e il mai remissivo Gingrich).
Un cattolico che guadasse a questo scenario vedrebbe cose peraltro notevoli. E cioè che la difesa dei "princìpi non negoziabili" è assicurata in ogni caso, ma pure che la metà secca dei contendenti in lizza è cattolica (Santorum e Gingrich, che sul punto tiene bene nonostante i viscidi attacchi personali a orologeria di cui è stato fatto oggetto). Viste le recentissime prese di posizione della Chiesa universale di Roma e della Chiesa Cattolica che è negli Stati Uniti sull’impatto che le questioni morali hanno sulla società (del resto condivise apertamente anche dalle Chiese a cui appartiene l’altra metà dei Repubblicani ancora in corsa) sono dati, questi, che fanno riflettere profondamente.
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