Contratto ambiguo, emergono crepe nel governo
Era realistico pensare che a ciascuno dei due partiti di governo importasse più che altro portare avanti le rispettive battaglie simbolo. Ma su tante materie “miste” o “neutre” Di Maio e Salvini avrebbero dovuto trovare la sintesi grazie al contratto di governo. Che però resta generico e ambiguo alimentando le frizioni.
Da quando si è insediato il governo Conte, non passa giorno senza che si registrino frizioni tra Lega e Cinque Stelle, su quasi tutti i punti qualificanti l’azione dell’esecutivo. A onor del vero, quando fu siglato il patto tra i due attuali alleati, si disse subito che si trattava di un compromesso tra forze politiche eterogenee, che pescano voti in bacini elettorali diversi. Dunque, era realistico pensare che a ciascuno dei due partiti importasse più che altro portare avanti le rispettive battaglie simbolo. Per i Cinque Stelle, ad esempio, irrinunciabile era il reddito di cittadinanza, mentre per il Carroccio il contrasto dell’immigrazione clandestina.
Ma su tante materie per così dire “miste” o “neutre”, non decisive per nessuno dei due partiti di governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini avrebbero dovuto trovare la sintesi grazie a quel contratto di governo siglato proprio per poter far partire la legislatura e dare al Paese una guida politica.
Lentamente si sta scoprendo che quel contratto non assicura affatto una navigazione tranquilla all’esecutivo. Pur essendo un documento articolato per punti, il contratto di governo alimenta dubbi e incertezze su tantissime questioni sulle quali l’esecutivo Conte è chiamato a prendere posizioni chiare e non ibride.
Ultimo in ordine di tempo il braccio di ferro, all’interno della maggioranza giallo-verde, sulla prescrizione. Come si sa, i Cinque Stelle hanno presentato un emendamento al ddl anticorruzione per sospendere i termini della prescrizione subito dopo la sentenza di primo grado. Una misura motivata con la necessità di assicurare giustizia alle parti lese, evitando che per decorrenza dei termini molti reati rimangano impuniti. A osteggiare il provvedimento soprattutto gli avvocati penalisti, che paventano il rischio di un allungamento infinito dei tempi dei processi.
Ma al di là del merito della questione, ci si dovrebbe porre una domanda tutt’altro che oziosa. Se il contratto di governo è stato scritto da Lega e Cinque Stelle proprio per evitare tensioni e per non litigare a ogni piè sospinto, perché invece su ogni decisione da prendere ciascuna di quelle due forze politiche punta i piedi e resta sulle sue posizioni, tanto che deve sempre intervenire il premier Giuseppe Conte per trovare un punto di sintesi?
Perché sulla giustizia, tema caldo e sensibile, soprattutto per l’elettorato grillino, non è stata scritta una parola chiara in quel contratto, al fine di evitare divisioni?
A pag.23 del contratto di governo si legge: "È necessaria una efficace riforma della prescrizione dei reati, parallelamente alle assunzioni nel comparto giustizia: per ottenere un processo giusto e tempestivo ed evitare che l’allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una denegata giustizia".
Si tratta di una frase alquanto generica, che può dare adito a interpretazioni molteplici, in grado di avallare tanto il punto di vista grillino quanto quello leghista. Da una parte si parla di riforma della prescrizione, senza precisare che la si vorrebbe bloccare fin dalla sentenza di primo grado; dall’altra si collega quella riforma allo sblocco delle assunzioni nei tribunali e nell’ambito della giustizia, traguardo che evidentemente richiede tempi lunghi e non si può raggiungere dall’oggi al domani con un decreto. Dopo aver letto quelle tre righe di contratto, quindi, diventa impossibile dare ragione ai Cinque Stelle o alla Lega perché entrambi hanno una parte di ragione. I Cinque Stelle dicono che nel contratto c’è la riforma della prescrizione (ma senza specificazioni ulteriori); il Carroccio sostiene che sospendere la decorrenza dei termini di prescrizione significherebbe, per usare le parole del Ministro Giulia Bongiorno, gettare una “bomba atomica” sul processo, lasciando indeterminatamente esposti alla spada di Damocle del giudizio i condannati in primo grado, proprio in ragione delle carenze di organico.
Tutto ciò fa riflettere. Già l’allora candidato premier, Silvio Berlusconi, quando nel salotto di Bruno Vespa firmò il contratto con gli italiani, indicò punti molto generici quali la riduzione delle tasse, la crescita dell’occupazione e altri obiettivi solo in parte raggiunti dai suoi governi. Nonostante questo, lui rivendicò di aver mantenuto le promesse, perché il documento sottoscritto in diretta tv era sufficientemente superficiale e aleatorio da consentirglielo.
Il contratto di governo Lega-Cinque Stelle sembrava più analitico, e su alcuni punti lo è, ma risente di questa inconciliabilità di posizioni tra i due alleati su punti decisivi per lo sviluppo del Paese. Morale: sia Lega che Cinque Stelle potranno, in caso di crisi di governo, rinfacciare all’alleato di non aver rispettato il contratto di governo, perché si tratta di un documento ibrido che non sposa una linea chiara e non indica decisioni univoche sui temi cruciali per il futuro del Paese.
E’ l’ulteriore prova che la comunicazione politica continua ad essere ispirata a criteri machiavellici piuttosto che a trasparenza e chiarezza nei confronti degli elettori.