Conte ter sì, no, forse: tutti ostaggio di Renzi
Renzi alza la posta e il nuovo governo resta in bilico. Il suo obiettivo è quello di indebolire Conte, se non può farlo fuori. Il Quirinale assiste a aspetta Fico per oggi, ma sullo sfondo Mattarella è occupato anche dalle clamorose rivelazioni del caso Palamara.
Roberto Fico dovrebbe tornare oggi al Quirinale per riferire al Capo dello Stato gli esiti della sua esplorazione. Dopo aver registrato la disponibilità dei partiti di maggioranza a proseguire nell’esperienza di governo, la terza carica dello Stato ha approfondito con loro gli aspetti programmatici.
Già impazza il toto-ministri, ma ancora non si capisce se il nuovo esecutivo che probabilmente nascerà in settimana sarà ancora presieduto da Giuseppe Conte oppure cambierà guida. L’ipotesi più probabile è quella di un Conte dimezzato. In altri termini, l’avvocato del popolo potrebbe rimanere a Palazzo Chigi, ma a marcarlo stretto ci sarebbero due vicepremier (Andrea Orlando e Luigi Di Maio?) e, soprattutto, non farebbe capo a lui la famosa cabina di regia chiamata a gestire progetti e risorse del Recovery Fund. Infine, sarebbe previsto il sacrificio dei ministri più vicini al Presidente del consiglio uscente, in particolare di Alfonso Bonafede (Giustizia) e Lucia Azzolina (Istruzione), con la conferma di Roberto Gualtieri all’economia e dei ministri che hanno sin qui gestito l’emergenza sanitaria (Roberto Speranza alla salute e Francesco Boccia agli affari regionali).
Ma sono solo voci, anche perché con Matteo Renzi non si può mai stare tranquilli. Il leader di Italia Viva, avendo capito che i suoi parlamentari non sarebbero disposti a seguirlo se rompesse del tutto con gli alleati, sta cercando una mediazione, senza perdere la faccia, sapendo che ha comunque il coltello dalla parte del manico. Senza di lui non si può fare nessun governo, se non con Forza Italia, dunque sta alzando la posta su tutto, non solo sulle poltrone (si parla di un ministero di peso per Maria Elena Boschi).
Italia Viva chiede di istituire una commissione bicamerale sul Recovery e sulle riforme (subito bocciata dal Pd), insiste sulla necessità di accedere almeno a una parte del Mes per finanziare il potenziamento del sistema sanitario e vuole demolire l’assistenzialismo del precedente governo, in particolare azzerare il reddito di cittadinanza.
Ma il M5s non ci sta e, sapendo di essere maggioranza in parlamento, vuole la riforma degli ammortizzatori sociali e il salario minimo.
L’obiettivo finale di Renzi è di indebolire progressivamente Conte, visto che al momento un suo siluramento appare improbabile, anche se non del tutto escluso. In questo disegno potrebbe ritrovarsi dalla stessa parte della barricata con Pd e Cinque Stelle, che temono un eventuale partito del premier, accreditato di 15 punti nei sondaggi.
E’ tornato d’attualità, proprio in virtù delle pretese avanzate dal senatore di Rignano, lo strumento del contratto di governo. Renzi ha chiesto un documento scritto con un cronoprogramma di cose da fare. Il suo scopo è duplice: motivare con i suoi il dietrofront qualora si vedesse costretto ad accettare il Conte ter; porre le premesse per incalzare di continuo l’esecutivo qualora quella road map non venisse rispettata.
Si sa, peraltro, che in tempo di pandemia è difficile pensare che un programma dettagliato, con risorse da impiegare e progetti da portare avanti possa essere rispettato. Si tratta di impegni scritti sulla sabbia, che rappresentano il paravento di manovre opportunistiche per conservare lo status quo e consentire a tutte le parti in causa di trovare una via d’uscita di fronte all’opinione pubblica, attonita di fronte all’ennesimo teatrino politico.
Il centrodestra rimane fuori gioco, perché Silvio Berlusconi ha deciso, almeno a parole, di non appoggiare alcun esecutivo fondato sulla stessa maggioranza di quello uscente e Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono arroccati sulla richiesta di elezioni anticipate, pur sapendo che non le otterranno mai.
Dal Quirinale trapela preoccupazione, non solo per un eventuale allungamento dei tempi della crisi ma anche per le tensioni crescenti sulla giustizia, dovute alle rivelazioni di Luca Palamara sugli scontri tra correnti della magistratura. Essendo Mattarella il Presidente del Consiglio superiore della magistratura, qualche apprensione da parte sua è comprensibile, anche perché più di qualcuno gli chiede un intervento deciso.
Ecco perché se almeno si chiudesse un fronte, quello della crisi di governo, il Presidente della Repubblica potrebbe dedicarsi ad altro e provare a tamponare il chiacchiericcio dilagante e a stemperare il clima avvelenato che si è creato e che rischia di compromettere il già fragile equilibrio tra poteri.