Consulta: le mani sul fine vita
Da trent'anni a questa parte è in corso una battaglia per la vita nella Corte Costituzionale. I Radicali vogliono legalizzare l'eutanasia. Tommaso Scandroglio e Lorenzo Moscon rispondono alle domande di Stefano Chiappalone in questo Venerdì della Bussola.

Consulta, le mani sul fine vita. In questo Venerdì della Bussola, Tommaso Scandroglio (nostra firma), e Lorenzo Moscon (malato di triplegia spastica, una delle persone intervenute quattro mesi fa, con una testimonianza, per chiedere il diritto di vivere) rispondono alle domande di Stefano Chiappalone sull’ultima sentenza della Corte Costituzionale per regolamentare l’eutanasia. Tema delicato, ma usato troppo come bandiera per evocare diritti di libertà, che nella maggior parte dei casi si traduce solo in libertà di morire, ignorando le ragioni per vivere anche in situazioni di estrema sofferenza. Quel che è più importante è la dignità della persona, troppo spesso ridotta a qualità della vita e alla sua “funzionalità”.
Scandroglio, spiegando la sentenza e la tendenza che emerge sul tema del suicidio assistito, inquadra «…la sentenza all’interno del quadro normativo riguardo il tema dell’eutanasia. Trent’anni fa inizia tutto. I giudici incominciano a dire che se vuoi rifiutare farmaci e trattamenti salva vita, puoi farlo, anche se la legge lo vietava perché considera tuttora la vita come un bene indisponibile. Nel 2017 arriva la legge 219 che fa un passo più in là: puoi rifiutare i trattamenti anche se già in essere, come alimentazione, idratazione e respirazione assistita. Prima di questa legge, il medico che staccava la spina compiva un omicidio del consenziente. Con la legge 219 invece è un tuo diritto chiedere di essere ucciso in questo modo ed è un dovere del medico obbedire alla volontà del paziente, senza neppure avere il diritto di obiezione di coscienza. Attenzione perché, così facendo, si enuncia il diritto a morire. La rottura della diga. Una volta legittimato il diritto a morire, lo devi applicare a chiunque, anche a minori e incapaci. E lo devi permettere anche in tutte le condizioni, anche la persona non terminale. Nel 2017 Cappato porta in Svizzera Dj Fabo, dove trova la morte tramite suicidio assistito. Cappato si autodenuncia (per aiuto al suicidio, tuttora reato). La Consulta si pronuncia nel 2018, 2019 e 2024, fino ad arrivare alla sentenza di questi giorni, la 66/2025. L’aiuto al suicidio rimane reato, tranne se ci sono certi requisiti: persona capace di intendere e volere che ha preso questa decisione in modo libero e consapevole, affetta da patologie irreversibili e fonti di sofferenze insopportabili e mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Oltre a questo la sentenza aggiunge: che il Parlamento legiferi. Nel 2024 i Radicali cercano di far saltare il requisito dei trattamenti salvavita, ma la Consulta lo mantiene. Anche la sentenza di questi giorni lo ribadisce: non si toglie il requisito dei trattamenti salvavita, perché deve bilanciare da una parte la vita e dall’altra la libertà personale».
Moscon teme che «questo piano inclinato su cui siamo porti un giorno persone terze a decidere della vita o della morte del malato, soprattutto quando non è più in grado di esprimere la sua volontà a causa della sua patologia e condizione clinica. Questa è la paura che da anni mi spinge ad espormi in prima persona su questo tema. Io non sono autosufficiente, il mio timore è quello di un terzo decida del mio destino e che queste leggi possano portare alla fine del diritto alla vita e ad atti di prevaricazione sul malato».
Scandroglio ritiene che le derive siano dietro l’angolo. «Se i paletti contrastano il principio, cioè il diritto a morire, questi paletti sono destinati a saltare. Lo vediamo in Canada, in Belgio, in Olanda, o nel Regno Unito dove, come sanno bene i lettori della Bussola, alcuni bambini sono stati uccisi contro la volontà dei loro genitori. L’ospedale e assieme ad esso la magistratura erano a favore dell’eutanasia e hanno vinto loro. In Belgio i bambini morti nel primo anno di vita, nel 10% dei casi, sono vittime di eutanasia. Cosa che, può stupire, avviene anche in Italia. Nel nostro paese il neonato pre-termine può sviluppare molte patologie croniche e i protocolli in uso determinano che, in molti casi, non vengano rianimati. Questa è una forma di eutanasia, occultata ai genitori. In Olanda il 5% delle morti (in totale) nel 2023 è per eutanasia. Si possono terminare persone incapaci di intendere e di volere. La legge 219 permette anche in Italia di uccidere minori e incapaci di intendere e di volere. Il rifiuto della cura, prima della legge 219, non era delegabile, il rifiuto della cura doveva provenire esclusivamente dal paziente stesso. Dopo la legge, invece, al minore e all’incapace pensa il rappresentante legale, che, nel caso dei bambini sono in genere i genitori. Spetta a loro decidere, sulla base del parametro della “dignità della vita”, termine con cui si può intendere qualsiasi cosa e che, secondo la giurisprudenza significa solo “qualità della vita”. In Italia sopravvive una certa sensibilità cristiana e i famigliari non pensano di staccare la spina, ma dal punto di vista legale siamo già più “avanti” dell’Olanda. In prospettiva, ci sono già vari disegni di legge che possono far saltare tutti i paletti e si arriverà a legalizzare l’iniezione legali, anche su persone non capaci di intendere e di volere, nel nome del “loro miglior interesse”, stessa espressione usata per sopprimere i bambini uccisi nel Regno Unito e in Italia nel caso di Eluana Englaro».
Moscon mette in dubbio l’espressione “libera scelta” nel caso dell’eutanasia: «Non ho ancora conosciuto morti in grado di esercitare la loro libertà. La precondizione della libertà è di essere vivi. Ed è una precondizione essenziale». La contraddizione è evidente anche nella legge: il suicidio assistito è reato e quando qualcuno si sta per suicidare si corre per impedirglielo. Perché quello che si butta dal ponte va salvato e chi è in ospedale no? Dice Scandroglio: «Dal punto di vista tecnico, se una persona vuol buttarsu dal ponte, il poliziotto che lo vede ha il dovere di intervenire per soccorrerlo e se lo sposta contro la sua volontà non è accusabile di violenza privata. Se facesse la stessa cosa in ospedale, impedendo per esempio di staccare il respiratore, può essere incriminato per violenza privata. Nella sostanza non c’è nessuna differenza. Ma dal punto di vista giuridico si fa un distinguo. Come avviene per l’aborto: se lo fai al di fuori di un ospedale e al di fuori dei requisiti della 194 è omicidio, ma se lo fai rispettando tutti i requisiti è un diritto. Si è burocratizzata la morte, di fatto è solo una questione di diritto amministrativo».
Perché una persona dovrebbe voler morire? Per Moscon: «tre cause principali: dolore fisico insopportabile (assorbe tutte le energie della persona anche psicologiche e ha delle conseguenze sulla psiche), la solitudine e la disperazione. Dove per disperazione intendo la constatazione che la condizione non può cambiare ed è fisicamente e psicologicamente insopportabile». E con quali aiuti è possibile affrontarle? «Io non sono autosufficiente. Per questo sono vicino a tutte le persone costrette in un letto. Sulla base della mia esperienza c’è qualcosa che si può fare per trasformare questa condizione in qualcosa che dia un senso alle nostre giornate. La prima è la compagnia delle persone care che ci ricorda che abbiamo una dignità. Secondo: tutti gli ausili tecnologici di cui disponiamo possono essere un valido aiuto per dare un senso al nostro tempo. In una condizione in cui si è quasi del tutto bloccati, in cui si avverte la dilatazione del tempo, deve entrare in gioco anche l’intrattenimento sotto qualsiasi forma e la tecnologia dà una mano. Fra le ragioni del mio impegno c’è un fattore che riguarda tutta la mia vita: qualunque attività io faccia nel mio caso pongono una domanda sulla mia vita. Una persona disabile non autosufficiente può offrire un contributo al bene comune? Questa è la domanda fondamentale che sta all’origine di tutte le mie azioni».
Chi conduce la battaglia per l’eutanasia in modo ideologico trascura le sofferenze delle persone in quelle condizioni. Per Scandroglio: «L’impegno dei Radicali che ha trovato sponda nella magistratura, è di carattere ideologico. Il loro scopo è avere l’eutanasia. Punto. Poi usano casi di persone che nei Radicali troverebbero il loro ultimo senso, ma in realtà sono i Radicali che li cercano per il loro scopo. Trovare una soluzione per alleviare la sofferenza di queste persone, come le cure palliative, non è contemplato da loro. Unica soluzione è l’eutanasia. Stessa cosa che avviene con l’aborto: laddove si propone di aiutare le donne che hanno una gravidanza indesiderata, i Radicali lo considerano come una violazione del diritto all’aborto. Nulla deve dissuadere dalla morte. Si elimina il dolore eliminando la persona».
Ma come dissuadere altri disabili a prendere questa strada? «Lo Stato dovrebbe mettere in campo ogni mezzo per sostenere le famiglie e i soggetti in questa situazione – commenta Moscon - E al tempo stesso favorire, anche a livello locale, le realtà di volontariato che intervengono dove non vi sia una rete relazionale, di parentela e amicale di cui il malato possa beneficiare».