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NAGORNO KARABAKH

Conflitto fra armeni e azeri: una sfida turca alla Russia

Dopo l'intervento russo in Siria, si infiamma il Caucaso. Si combatte nel Nagorno Karabakh, regione armena autonoma rivendicata dall'Azerbaijan. La Turchia appoggia quest'ultimo, cercando una rivincita contro la Russia che l'ha estromessa dal grande gioco siriano. E anche l'Isis attacca i russi nel Daghestan. 

Esteri 06_04_2016
Un uomo delle milizie di autodifesa armene

Come mai dopo vent'anni un conflitto congelato come quello intorno al Nagorno-Karabakh - eredità dell'implosione dell'ex Unione Sovietica - si risveglia all'improvviso? E si tratta davvero solo dell'ennesima scaramuccia etnica in un angolo periferico del mondo? Basta guardare bene una cartina geografica per capire che, in quella che chiamiamo la terza guerra mondiale a pezzi, un'area come il Caucaso non può essere un pezzo insignificante. E che la fiammata di violenza di queste ultime ore (si parla di una settantina di morti in soli quattro giorni, prima dell'annuncio ieri di un cessate il fuoco tutto da verificare) suona molto come un campanello dall'allarme su quello che potrebbe essere il terreno ideale per un ulteriore allargamento del conflitto.

Come tutti ormai sappiamo è stato l'intervento russo alla fine di settembre a cambiare radicalmente gli equilibri nella guerra in Siria. Con l'intervento della sua aviazione Mosca ha sostanzialmente salvato il governo di Damasco, sostenendo la riconquista di una parte significativa del territorio del Paese da parte delle truppe fedeli al presidente Bashar al Assad, abbondantemente sostenute da milizie sciite libanesi ed iraniane. In questi mesi, però, la Russia di Putin in Medio Oriente non ha usato solo la forza militare, ma con una politica scaltra ha giocato a tutto campo e sta cercando ora un'intesa con gli americani e i sauditi per una pacificazione del Paese. In questo quadro si inseriscono i negoziati in corso a Ginevra e i segnali lanciati allo stesso Bashar al Assad (compresa la lettera degli esponenti alawiti resa nota domenica, che non sarebbe mai stata scritta nella situazione di sei mesi fa, con Jabat al Nusra e l'Isis alle porte di casa).

Chi è però oggi a essere tagliato fuori da ogni gioco in Siria? Chi sulla caduta di Damasco aveva puntato di più; e cioè la Turchia di Erdogan, ricacciata in un angolo e con l'incubo sempre più concreto di una regione autonoma curda alle porte di casa. Il tutto in un Medio Oriente dove la Russia diventa ogni giorno di più protagonista.

In questo quadro non ci vuole molto a capire perché salti il tappo in un posto come il Nagorno Karabakh. L'enclave armena è, infatti, la faglia più scoperta dello storico antagonismo tra la galassia che orbita intorno alla Russia e quella turcofona nell'area caucasica. Il conflitto tra armeni ed azeri, scoppiato già alla fine degli anni Ottanta, quando l'Unione Sovietica stava scricchiolando, e trasformatasi poi in una guerra aperta all'inizio degli anni Novanta, non è infatti mai stata risolta davvero. Militarmente gli armeni del Nagorno Karabakh hanno ottenuto un'autonomia di fatto, sancita dall'armistizio che nel 1994 ha congelato le posizioni. Ma l'Azerbaijan - con la Turchia alle sue spalle - non ha mai rinunciato a quel territorio. Negli ultimi anni - forte delle entrate garantite dai propri giacimenti di petrolio - Baku ha guadagnato prestigio internazionale anche con operazioni di immagine come il Gran Premio di Formula 1 che a giugno per la prima volta si correrà nella capitale azera.

Contemporaneamente, però, non ha lesinato spese in armamenti: proprio ieri il Sipri di Stoccolma, il più autorevole osservatorio indipendente sul commercio delle armi, ha diffuso il suo rapporto annuale; e spulciando i suoi dati risulta che tra il 2006 e il 2015 l'Azerbaijan ha fatto registrare un +165% nelle spese militari. Persino nell'ultimo anno - nonostante la brusca frenata delle entrate petrolifere che sta mettendo in ginocchio l'economia di un Paese il cui Prodotto interno lordo dipende quasi al 40% dalle esportazioni di greggio - le spese per armamenti hanno fatto registrare un +8%. Segno eloquente di una tensione che monta da tempo.

Non è dunque una fiammata improvvisa il riaccendersi del conflitto tra Baku e Erevan. Con i soliti Erdogan e Davutoglu che da Ankara non hanno perso un minuto nel dare sfogo alla retorica della «fratellanza» tra i due Paesi e a sostenere che il Nagorno Karabakh «deve tornare all'Azerbaijan, il suo legittimo proprietario».

 

Non è però solo la Turchia a guardare oggi al Caucaso in cerca di rivincite: anche l'Isis nell'ultima settimana ha lanciato ben due attacchi nei confronti di obiettivi militari russi nel Daghestan, inquieta repubblica della Federazione russa a maggioranza musulmana. Del resto non è un mistero che il Caucaso sia uno dei principali serbatoi di foreign fighters: lo stesso Putin - il 14 marzo, nel discorso con cui ha annunciato il «ritiro» delle truppe di Mosca - ha rivendicato al suo esercito il merito di aver ucciso in Siria duemila di questi miliziani provenienti dalla Russia. Sempre in queste ore, poi, Ramzan Kadyrov, l'uomo forte di Putin in Cecenia, ha annunciato di voler accogliere l'invito rivoltogli da Bashar al Assad a recarsi in visita a Damasco. Ulteriore conferma di come la partita del Medio Oriente e quella sulla calda frontiera ex sovietica appaiano oggi come sempre di più profondamente intrecciate.