Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

LIBERTA' RELIGIOSA

«Condannare il Pakistan non aiuta Asia Bibi»

Saldanha, arcivescovo di Lahore: «Ringrazio l'Ue per il sostegno, ma è opportuno meno clamore per salvare la giovane cristiana».

Attualità 02_02_2011
Asia Bibi

Continua a rimanere appesa a un filo la sorte di Asia Bibi, la donna cristiana pakistana imprigionata e condannata a morte in base alla legge sulla blasfemia. La norma con cui i fondamentalisti islamici opprimono le minoranze religiose in Pakistan ha suscitato la reazione del Parlamento europeo che il 20 gennaio scorso ha chiesto esplicitamente al presidente pakistano di concedere la grazia ad Asia Bibi. Ma secondo Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore (la stessa provincia dove abita la donna cristiana) non è la strategia migliore: «Ringrazio i Paesi europei per il sostegno, ma una condanna diretta del Pakistan non produrrebbe alcun risultato positivo», ha detto in un’intervista ad Eglises d’Asie rilanciata MissionLine.org.

Per il prelato è meglio aspettare che l’opinione pubblica pakistana si disinteressi a poco poco del caso Asia Bibi in maniera da permettere all’Alta Corte di giustizia di esaminare in tutta serenità la vicenda al fine di stabilire l’innocenza della giovane cristiana.

Nei giorni scorsi l’arcivescovo ha chiamato alla preghiera comune i rappresentanti, cristiani e musulmani, delle associazioni che difendono i diritti dell’uomo e le libertà civili. Monsignor Saldanha si è detto ottimista, nonostante le manifestazioni a favore delle leggi sulla blasfemia che al prelato sembrano dettate da «motivi politici in cui l’emozione gioca una grande influenza».

Di fatto però la tensione rimane alta. Anche lunedì, riferisce l’agenzia AsiaNews, almeno 40mila persone hanno invaso le strade di Lahore, per protestare contro possibili cambiamenti alla legge sulla blasfemia. La manifestazione è stata promossa da Jamat-e-Islami, il principale movimento di opposizione di ispirazione islamica, insieme ad altri sette partiti fra cui la Pakistan Muslim League (Q) e la Jamat-ud-dawa.

Migliaia di persone hanno così inneggiato alla santità del profeta Maometto e respinto le recenti proposte, volte a emendare la “legge nera”. I manifestanti – pronti a “sacrificare la vita per il profeta” –  hanno anche invitato il governo a “rigettare” l’influenza dei governi occidentali e criticato Benedetto XVI, per essersi “unito alla propaganda Occidentale contro lo Stato islamico”. E la protesta potrebbe avere presto un’escalation.

I leader della contestazione minacciano una “lunga marcia” verso Islamabad, se vi saranno modifiche – peraltro escluse dal governo – alla legge sulla blasfemia. Syed Munawar Hussain, di Jamat-e-Islami, è stato esplicito: se vi saranno cambiamenti alla norma, “non esisteranno più un Parlamento, né un’Assemblea”.

E Fazlur Rehman, capo del JUI-F, ha intimato al nuovo capo della provincia del Punjab di visitare in carcere Mumtaz Qadri, l’assassino di Salmaan Taseeer, l’ex governatore ucciso per aver difeso la cristiana Asia Bibi e proposto modifiche alla “legge nera”. Il leader fondamentalista sottolinea che la visita in prigione è segno di “solidarietà” verso tutti i musulmani del Pakistan.

Intanto non si ferma la striscia di sangue che colpisce il Paese. È di cinque morti, di cui quattro agenti, e 19 feriti il bilancio del doppio attentato di domenica a Peshawar, nel nord-ovest del Paese, contro ufficiali di polizia. Il primo attacco è opera di un attentatore suicida, che si è fatto saltare in aria nei pressi di una pattuglia. Tra le vittime anche diversi civili.