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L'ANALISI

Con Berlusconi, Letta vuole seppellire il centrodestra

Le affermazioni di Enrico Letta sulla fine definitiva del berlusconismo sono inquietanti. Nascondono il disegno egemonico di una sinistra statalista che mira a marginalizzare la rappresentanza politica dell'area moderata, che in Italia resta maggioranza.

Politica 08_10_2013
Enrico Letta e Silvio Berlusconi

«Silvio Berlusconi ha perso, la sua stagione è finita. (…) Mercoledì scorso si è chiuso un ventennio con un confronto politico molto forte. E’ una pagina voltata in modo definitivo, io spingo perché ciò sia chiaro a tutti e non si torni indietro». Queste parole pronunciate il 6 ottobre dal presidente del Consiglio Enrico Letta nel corso di una intervista a SkyTg24 meritano una certa attenzione perché rivelano una cultura politica che suscita una certa inquietudine.

Le parole di Letta peraltro fanno eco a ciò che già il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda aveva detto in aula a Palazzo Madama, sempre mercoledì, arrivando addirittura ad evocare un processo della storia (in tribunale già ci sono altri che ci pensano) per un ventennio che avrebbe prodotto «danni così profondi che solo un tempo lungo di buon governo potrà sanare».
Quelle di Letta dunque non sono parole sfuggite nel corso di un’intervista, ma frutto di un giudizio ben preciso, che deve essere ben compreso.

Intanto si deve notare questa insistenza nel parlare di “ventennio”, che non è certo casuale. E’ vero che sono passati circa venti anni dalla discesa in politica di Berlusconi, ma “ventennio” in Italia rimanda immediatamente a un’altra realtà, al ventennio fascista appunto. Ventennio assume perciò, in politica, una valenza negativa già in partenza, e questa accezione totalmente negativa è quello che intendeva anche Letta. Ma questa definizione oltre che tendenziosa è anche profondamente errata perché Berlusconi ha guidato il governo “solo” nove anni su 20, il resto sono stati governi di sinistra e governi tecnici. Se “danni profondi” sono stati fatti il Pd dovrebbe dunque assumersene la responsabilità per circa la metà. Sostenere che tutto il male viene da Berlusconi è ridicolo e patetico, e indica anche un atteggiamento per cui si considera che il mondo sarebbe molto migliore se l’altro semplicemente non esistesse. E’ un principio contrario a qualsiasi convivenza civile oltre che alla Dottrina sociale della Chiesa.

Fatte queste doverose premesse, due parole però bisogna spenderle su questi anni che il Pd ha messo sotto accusa. Si possono avere legittimamente opinioni diverse sulla leadership di Berlusconi e sulla sua condotta privata e pubblica; possiamo facilmente concordare sul fatto che la sua parabola politica stia volgendo al termine. Però dobbiamo riconoscere alcuni fatti incontrovertibili. Ne citiamo due: anzitutto, dobbiamo ricordare che la sua discesa in campo con un partito – Forza Italia – tirato su in pochi giorni ha impedito ciò che sembrava ineluttabile: il trionfo degli ex comunisti alle elezioni del 1994 e decenni di governo davanti per mancanza di avversari, dopo che il ciclone tangentopoli aveva letteralmente dissolto la Dc e il Psi.

La nascita di Forza Italia ha scompigliato tutto, e la sua vittoria alle elezioni del 1994 dimostrò che senza quella novità una fetta maggioritaria degli italiani – la cosiddetta area moderata, che sarebbe più corretto definire conservatrice - sarebbe rimasta senza un punto di riferimento politico. La nascita di Forza Italia oggettivamente è stata dunque un bene per la democrazia. Non solo: l’alleanza con la Lega Nord permise di riportare nell’alveo della legalità le spinte secessioniste che condizionavano fortemente la Lega e che, con una vittoria e un governo delle sinistre fortemente statalista, erano destinate a prendere il sopravvento. L’esistenza di Forza Italia dunque ha permesso anche la stabilità delle istituzioni ed evitato fratture laceranti fra regioni italiane.

C’è poi un secondo fatto che va sottolineato con forza: la presenza di un forte partito di centro-destra ha impedito che si verificasse in Italia quella deriva laicista che abbiamo visto invece accadere in Spagna e Francia. Ed è stato Berlusconi in persona a sostenere posizioni a favore della famiglia, della vita e della libertà di educazione, malgrado certe spinte laiciste fossero presenti anche in Forza Italia prima e Pdl dopo. Basterebbe solo ricordare il caso di Eluana Englaro, mandata a morire solo per il colpo di mano del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E non è certo l’incoerenza nella vita personale a poter cancellare quanto oggettivamente fatto in Parlamento e a Palazzo Chigi.

Tutto ciò non è per una semplice lettura storica. E’ evidente che la parabola politica di Berlusconi è al termine e non certo da pochi giorni. Quanto accaduto nel Pdl la scorsa settimana è solo l’inevitabile evento che doveva accadere prima o poi in un partito che non ha congressi né altri canali istituzionali per discutere il suo ruolo, la sua linea politica e la successione dei leader.

Ma in gioco c’è ora il futuro e la rappresentanza politica di quell’area conservatrice di cui in questi venti anni Fi e Pdl sono stati punto di riferimento.

Letta e il Pd vorrebbero chiudere l’era berlusconiana come se fosse stata un incidente di percorso e cancellare tutto quanto è stato fatto e difeso in questi anni, e non è un caso che proprio questo governo stia sostenendo oggi in diversi modi l’ideologia di genere. Eliminare non solo Berlusconi ma anche la sua eredità vorrebbe dire accelerare il processo per inseguire altri paesi europei sulla strada del laicismo. Invece è necessario recuperare il positivo dell’impegno berlusconiano di questi venti anni in termini di difesa dei princìpi non negoziabili per dare forma al soggetto politico che prima o poi prenderà il posto del partito-persona nato, cresciuto e decaduto intorno a Berlusconi. E mantenere così la rappresentanza politica di quell’area conservatrice che, pur senza strillare in piazza, continua a essere maggioranza in questo paese e non vuole essere governata da una sinistra statalista che già tanti danni ha procurato.