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SOCIAL IMBECILLI

Compagni che twittano: decalogo per il web comunista

Umberto Eco e Marco Rizzo uniti nella lotta. All’invasione degli ultra imbecilli di internet e ai compagni che preferiscono Facebook alla lotta di classe. Il professore e l’ultimo stalinista d’accordo nella condanna del mondo virtuale; fino al punto che il leader del Partito comunista ha scritto un decalogo del perfetto web leninista.

Politica 14_06_2015
Marco Rizzo

Umberto Eco, semiologo e gran signore del linguaggio e del lignaggio, ha messo tutta la sua mole a far da barriera all’irresistibile invasione delle legioni degli ultra-imbecilli. Quelli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere, senza danneggiare la collettività, e venivano zittiti. E che ora, invece, con internet e i social network, si arrogano lo stesso diritto di parola di un Nobel. Al netto della solita spocchia del maître di sala e salotto, il, nostro Umbertone super Ego stavolta ci ha preso giusto. Che web, Facebook, Twitter e compagnia cinguettante abbiano dimostrato a livelli inediti di imbecillità e frescaggine universale sia arrivata l’etnia umana dei sempre connessi, lo dice pure il super comunista Marco Rizzo, leader dell’ultimo partito marx-leninista rimasto al mondo. Un tipo che mai ti aspetteresti di incontrare in certi sconosciuti territori agli epigoni del comunismo non irreale. Stanco di assistere impotente alla generale deriva twittaria e imbecil-internettiana, il Rizzo, «ispirandosi direttamente a Lenin», s’è preso il rischio di stendere un decalogo per i surfer comunista. La tastiera nel pugno per stanare i controrivoluzionari e riportare account e tag sulla giusta strada del servire il popolo. Una sorta di policy virtuale, in pure stile Lubianka de’ noantri.

All’inizio, scrive Rizzo, c’è il fatto che «la natura dei social network spinge oggettivamente all'individualismo e alle peggiori performance di protagonismo». Dunque, ai compagni 2.0 «è fatto assoluto divieto a fare considerazioni e analisi politiche generali autonome», è la prima regola, approvata dal Comitato centrale. Non solo: «È vietato 'taggare' altri membri del partito sempre su questioni politiche, storiche, filosofiche e culturali». Al massimo un selfie durante il Congresso ma senza strafare. Intanto, nessuno osi agitare bandieroni e gagliardetti o usare la falce  e il martello come sfondi del desktop. Questione di copyright: «È fatto assoluto divieto a usare bandiere o simboli del Partito nell'immagine del proprio account personale». Ai divieti vanno poi aggiunti i doveri, primo fra tutto quello di «comunicare riservatamente alla direzione centrale la password» per accedere agli account di partito o di cellula. Che i compagni non facciano i furbi: il Partito vede e provvede. E infine una minaccia: «Qualunque violazione verrà da ora in poi deferita al Comitato centrale».

Così Rizzo fa l’Eco, ideologicamente armato contro l’alienazione da smarphone e l’invasione dei social imbeccillotti. Roba da Jurassic Marx? Forse, ma meglio uno così che i tanti fighetti della neo sinistra virtuale e high-tech.Meglio un Rizzo che ai compagni che la faccia la mettono solo su Facebook ricorda che un “mi piace” e un cinguettio sono altra cosa dall’andare in piazza o appiccicare manifesti come si faceva una volta. Perché «la realtà non si limita al virtuale» e che «nel dare a tutti l’illusione di essere leader della tastiera», l’uso scriteriato dei social «disarticola ulteriormente ogni costruzione collettiva». Lessico da Politburo a parte, cosa c’è di strano nel dire che la politica è qualcosa di più serio e impegnativo di un tweet? Certo, criticare uno come Rizzo che ancora si inginocchia e Stalin e ha spostato i nuovi paradisi del popolo a Pjonjang e Hô-Chi-Minh-Ville, è come sparare sulla Croce Rossa. Ma rassegnarsi all’invasione degli ultra imbecilli è ancora peggio che essere comunisti.