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L'APERTURA ALLA CONTRACCEZIONE

Come ti smonto la devolution etica di Avvenire

E dove avrebbe scritto il beato Paolo VI che il divieto di contraccezione non è infallibile e irriformabile? E quale sarebbe il divieto che sarebbe venuto meno ed invocato come esempio di evoluzione? Basta leggere Humanae Vitae, Casti connubiEvangelium vitae, ma anche Paolo VI alle ostetriche per capire che la tesi di Moia & co sulla contraccezione da rivedere fa acqua da tutte la parti.

Vita e bioetica 23_10_2017

È bene che i lettori della Nuova BQ lo sappiano: tra le cose più detestabili del direttore Cascioli c’è quella di obbligarti a sorbirti gli articoli su Avvenire di Luciano Moia. Ecco, me ne stavo in santa pace con moglie e figlia sfogliando alcuni cataloghi del mio passatempo preferito, che arriva la telefonata del direttore tiranno a farti andare di traverso la giornata. Vabbè, direte, ma a noi che ci interessa delle vostre beghe? Avreste ragione da vendere, se non fosse per il piccolo particolare che che l’esercito di Isengard dopo l’indissolubilità del matrimonio è prossimo a colpire l’altro bastione della morale coniugale, l’inscindibilità dei significati dell’atto coniugale.

Ecco che nel presentare gli 8 incontri che si terranno alla Gregoriana, Luciano Moia venerdì mette in grassetto la ciccia in gioco:  “Come mettere in sintonia il quadro normativo di Humanae vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris laetitia”. Ora uno che non è addentro a queste cose potrebbe pensare che il giornalista di Avvenire abbia tirato fuori dal cilindro chissà quale novità, ma chi come il sottoscritto ha per anni studiato la materia (cfr. Renzo Puccetti I veleni della contraccezione, Edizioni studio Domenicano, 2013 ndr.), sa bene che la linea di “sintonizzare” la norma di Humanae vitae, che al n. 14, sancisce che è “esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”, con il giudizio della coscienza, è l’espediente vecchio come il cucco usato da intere conferenze episcopali per sterilizzare il divieto di usare i contraccettivi da parte dei coniugi.

Ad enciclica appena pubblicata, l’acerrimo oppositore di Humanae vitae, il cardinale di Bruxelles Leo Suenens, dettò al vescovo ausiliare Schoenmaeckers le direttive per i sacerdoti della diocesi tra le quali vi era quella di “armonizzare” le norme oggettive e le norme soggettive della coscienza. E non a caso la conferenza episcopale belga si richiamò alla “coscienza debitamente illuminata secondo l’insieme dei criteri che espone la Gaudium et spes”, ben sapendo che nessuno si sarebbe preso la briga di andarci a rileggere quei criteri. Altre conferenze episcopali, quella austriaca, canadese, tedesca, ricorsero allo stesso argomento. Ora, proprio la questione della coscienza di fronte a norme che in modo assoluto proibiscono una determinata azione, è oggetto di uno dei cinque dubia a cui non è ancora stata data risposta.

È davvero sconcertante che un’interpreazione dubbia di una norma diventi il criterio fondante per rinnegare norme che non sono dubbie affatto. Se infatti è la coscienza sic et simpliciter ad avere il primato come dice Moia, e non la coscienza retta, allora la norma verrebbe ridotta a flatus vocis, al massimo ad una sommessa esortazione, e per il singolo sarebbe la propria coscienza l’istanza creatrice della sua verità morale. Il quadro è quello né più e né meno del soggettivismo e del relativismo etico. Ovviamente non si vede perché un tale impianto non dovrebbe essere applicato ad ogni scelta morale che non sia coperta da pronunciamento infallibile. Tempo fa si ipotizzava la scomunica per i mafiosi, ma chi può dire che il mafioso di turno, magari condizionato nella comprensione della norma dall’ambiente in cui è nato e cresciuto, alla luce del primato della sua coscienza, non percepisca come un male estorcere il pizzo e magari possa persino concepire con una certa sicurezza morale il limitarsi a ferire il negoziante come il bene possibile che Dio gli chiede in quel momento, laddove non riscuoterlo potrebbe costituire una grave minaccia per la famiglia del mafioso?

Vogliamo applicare il giochino al pedofilo? Non è forse vero che molte volte gli abusatori sono stati a loro volta abusati e magari può esservi dunque una difficoltà a percepire i valori della norma? Non potrebbe essere che qualcuno possa ritenere che anche in questo caso si possa commettere simili atrocità, come si dice, in buona coscienza? Non si pensi che abusi dell’argomento. In un gigantesco intervento del 1991 l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger, riportò la difesa della coscienza dei criminali nazisti fatta nell’ambito di una discussione teologica: “Persino i membri delle SS naziste sarebbero giustificati e dovremmo cercarli in Paradiso. Essi infatti portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione e anche con un’assoluta certezza di coscienza, era stato detto. Il cardinale Ratzinger commentò in questo modo: «Fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni».

Vogliamo la devolution etica? Ma allora non si comprende ad esempio la tendenza che si coglie su Avvenire a conferire il primato al quadro normativo del tributo allo Stato  [senza considerare che “remota iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia?” (negata la giustizia, che cosa sarebbero gli stati se non grandi bande di ladri?)], piuttosto che alla coscienza degli italiani che considerano vessatorio l’attuale livello di tasse e imposte. E perché poi la coscienza dovrebbe avere un primato in camera da letto, ma esserne spogliata quando si tratta della contrarietà allo ius soli o alle politiche delle braccia aperte agli immigrati? Sembra che in base ai nuovi e rivoluzionari Patti Lateranensi ad occuparsi delle cose di Dio debba essere Cesare, mentre gli impiegati del Padreterno debbano pensare a trivelle, differenziata, flussi migratori e decreti svuotacarceri.

Moia dedica ampio spazio anche ad un argomento più logoro dei panni di Edmond Dantès nell’isola di Montecristo: “Chi pensa che quanto scritto da Paolo VI in Humanae vitae sia per le coppie credenti un obbligo da perpetuare “nei secoli dei secoli” ignora non solo la storia della Chiesa, soprattutto quella dell’ultimo secolo, ma anche quanto detto dallo stesso pontefice riguardo all’opportunità di non considerare i contenuti dell’enciclica né infallibili né irreformabili”. scrive Moia.

E dove avrebbe scritto il beato Paolo VI che il divieto di contraccezione non è infallibile e irriformabile? Io piuttosto al n. 6 di Humanae vitae leggo le seguenti parole: “Avendo attentissimamente vagliato la documentazione a noi offerta, dopo mature riflessioni e assidue preghiere, intendiamo ora, in virtù del mandato da Cristo a noi affidato, dare la nostra risposta a queste gravi questioni”, una formula senz’altro solenne, interpretata da uno studioso molto serio e lodato da San Giovanni Paolo II come padre Ermenegildo Lio, quale espressione del magistero solenne infallibile. Il giochino è stato riproposto usque ad nauseam; se Humanae vitae non è infallibile, allora è fallibile, se è fallibile è dubbia e riformabile, se è dubbia non obbliga e se è riformabile essa è reformanda.

Ma il beato Paolo VI ha aggiunto la sua voce a venti secoli di insegnamento della Chiesa. Si sono forse dimenticati che esiste il magistero ordinario universale di cui il divieto della contraccezione è un tipico esempio, come attestato persino dal professor John Noonan nel suo studio storico? Fu proprio Noonan, favorevole allo sdoganamento della contraccezione, ad usare l’evoluzione del magistero come argomento per il cambiamento: se è mutato almeno una volta, allora è mutabile. In realtà evoluzione non è contraddizione. L’evoluzione può approfondire la comprensione del perché non si può commettere un’azione illecita, può riconoscere che una determinata azione fisica costituisca un’azione morale differente (esempio tipico è il prestito ad interesse), ma non può rendere buona un’azione dichiarata male semper et pro semper (in ogni caso e per sempre).

E quale sarebbe il divieto che sarebbe venuto meno ed invocato come esempio di evoluzione? Mi tocca ancora citare Moia: “Il divieto è quello espresso da Pio XI nella Casti connubi” dove “Ogni «attentato» dei coniugi per privare l’atto della sua forza e impedire la procreazione va considerato «turpe e disonesto»”. Ma questo non è esattamente ciò che afferma anche Pio XII, Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

Se Moia avesse letto con la necessaria attenzione la materia di cui disquisisce, avrebbe potuto scoprire che proprio in Casti connubi Pio XI afferma: “Né si può dire che operino contro l’ordine di natura quei coniugi che usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo, sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita” (Pio XI, Casti connubii 2, in «AAS» 22 (1930) 561). È una lettura delle azioni totalmente erronea quella di considerare la natura morale delle azioni dalle conseguenze che ne seguono. Non lo dico io, lo dice San Giovanni Paolo II in Evangelium vitae, vera e propria bestia nera del modernismo di andata e di ritorno e lo dice anche quella cosetta che sebbene non sappia quanto ancora sia da considerarsi valida per le norme attuali, tuttavia in coscienza non mi sento di rifiutare; si chiama Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 1750-1761).

Quando Pio XII parlò alle ostetriche dei metodi naturali, come riconosciuto dal gesuita padre Eric Marcelo Genilo, egli introdusse quale novità quella di dare pubblicità ad essi invece che usare discrezione come precedentemente raccomandato dalla penitenziaria apostolica. Sarebbe questa l’evoluzione rivoluzionaria a cui si aggrappano i rivisitatori? Potrei continuare elencando altri errori ed espedienti retorici, ma poiché ogni giorno reca la sua pena, come ogni riga dell’articolo di Moia, mi fermo qui.