Come madre e figlio
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15, 5)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». (Gv 15,1-8)
I discepoli che vogliono rimaner fedeli a Gesù, spesso, sembrano essere più colpiti dalle avversità della vita rispetto agli altri. In realtà non è così, in quanto le sofferenze, prima o poi, ci sono per tutti. Inoltre le sofferenze che spaventano, spesso non sono negative. La pianta potata sul momento soffre, ma poi porta molto frutto. Così nell’ambito umano, in cui la vita comincia con il pianto del figlio e la sofferenza della madre per poi trasformarsi in intima gioia: madre e figlio si contemplano e cominciano a riconoscersi ed ad amarsi. Quello che accade tra madre e figlio può essere quindi essere preso ad esempio del rapporto tra Dio e ognuno di noi, se la nostra unione con Lui sarà come quella del neonato alla madre, non dobbiamo temere nulla.