Come i media tifano per la morte di Stato
Vietato dare un giudizio sull'atto compiuto da Fabiano, quindi anche farsi domande sul significato dell'esistenza e della sofferenza. Perché l'obiettivo è lo stesso: approvare una norma che accontenti tutti. Tranne quelle poche macchiette integraliste.
Insultando le centinaia di malati grati di vivere anche in condizioni di estrema sofferenza Repubblica di ieri titolava: “Via da questo inferno”, aprendo così la cronaca dell’omicidio di Fabiano Antoniani, l’ex dj tetraplegico, volto della campagna radicale per la legalizzazione dell’eutanasia. Dj Fabo è morto ieri scherzando su quello che stava per fare e ringraziando il politico Marco Cappato che gli ha pagato il suicidio assistito. Ovviamente il commento del fatto è stato affidato a uno come Roberto Saviano che, mentre inneggia alla libertà di scelta e pensiero, si arroga il diritto di rappresentare tutta Italia così: “Gli chiedo scusa a nome di tutti gli italiani (…) per non essere riusciti a occupare, con il tuo appello ogni spazio disponibile”. Tutto è chiaramente strumentale all’approvazione della legge alla camera sulle Dat e contro una “politica che ha deciso che questi non sono più affari suoi”. Perché è uno Stato etico, capace di eliminare i malati insieme alla loro sofferenza, quello che Saviano vuole per essere risparmiato dal dramma del vivere, convinto che l’eutanasia legale sia lo “strumento per proteggere le nostre vite” dalla “paura” della “vulnerabilità”.
Non solo, perché la tattica è quella di mettersi a posto la coscienza rendendo la “morte dignitosa” una scelta cristiana: “Perdona – continua Saviano – per aver reso la religione che crediamo di osservare talmente vuota da non saper più riconoscere un Cristo quando lo abbiamo di fronte”. E siccome invece Saviano Cristo lo ha riconosciuto in dj Fabo ha pensato bene di dare man forte ai farisei che lo hanno ammazzato. Stesso copione sul Corriere della Sera, per cui quella del dj è una fra le tante opzioni che lo Stato deve non solo permettere ma supportare con una norma: sotto il titolo in prima pagina, che anche qui apre con un “via da un inferno”, c’è il richiamo all’editoriale di Pier Luigi Battista che si allinea sgridando il parlamento che nel 2009 promise di approvare la legge sul “testamento biologico”.
Anche qui si sostiene che sia sbagliato non “volere nessuna legge” assumendo la propria posizione come condivisa da tutti: “Se venissero dismesse le bandiere delle guerre di religione e si arrivasse in tempi brevi ad una legge” allora “i cittadini, di tutti gli orientamenti, apprezzerebbero questa prova di serietà”. Ovviamente anche dai cristiani (a parte quelli bigotti e retrogradi che erigono steccati). Il Corriere ospita, infatti, un’altra storia, quella di Gianni, di cui non è resa nota la malattia, in attesa di morire alla Dignitas accompagnato dalla moglie che spiega: “Tra gli amici che sono venuti qui vicino a Zurigo c’è anche una nostra amica molto cattolica", che ha messo a tacere la coscienza di Gianni così: “Lo sai dall’altra parte il mondo si divide in due, da una parte quelli che non si meritano il perdono e dall’altra quelli che se lo meritano”. Gianni l’ha guardata un po’ perplesso, ma lei non gli ha fatto aprire bocca: “Tu starai dalla parte di quelli che hanno fatto bene”. Naturalmente di fianco all’intervista si riporta la vicenda di un’altra malata che voleva suicidarsi alla Dignitas ma che poi non avrebbe avuto il coraggio di farlo. Come a dire che ognuno è libero di fare le sue scelte come fossero tutte uguali.
Anche per Il Resto del Carlino dj Fabo va “via dall’inferno”, “la politica perde” perché non esiste una legge che autorizzi la “dolce morte”, mentre Cappato viene descritto come un eroe pronto ad autodenunciarsi. Degna di nota è invece la pagina kantiana della Stampa, con un’intervista ad un malato pro eutanasia, un’altra ad una affetta da Sla totalmente contraria, che arriva persino a dire che gente come Cappato merita il carcere, e un terzo articolo di sintesi finale con le parole di monsignor Paglia: il presidente della Pontificia accademia per la Vita si dice contrario all’eutanasia e non al testamento biologico (come se il principio alla base non fosse lo stesso) per poi ricordare che il punto non è nemmeno questo, ma “cercare di dialogare con la cultura di oggi”.
Sul Giornale invece il paradosso che vede il suo direttore, il laico Alessandro Sallusti, difendere il diritto di scelta, per cui se uno vuole bisogna lasciare che si uccida ma almeno non si deve “disturbare lo Stato”, mentre il cattolico Zurlo ribadisce quello che ha scritto anche il giorno precedente: “Certo è difficile imbrigliare un mistero come la vita” ammette, ma poi continua che “bisogna pur cominciare”. E perché se la vita, come dice la Chiesa a cui Zurlo appartiene, essendo di Dio non è negoziabile? La ragione starebbe nella paura delle sentenze giudiziarie, come se una norma che dichiarasse l’autodeterminazione, come fanno le Dat, non fosse l’apripista all’eutanasia. Insomma, è violento imbrigliare il dramma della libertà. Ma si sa che la posizione dei cattolici fedeli al Magistero della Chiesa è scomoda, tanto da essere additata dal Giornale come una “crociata degli ultrà”. A ricordare che quanti oggi giudicano, sicuri che esistano atti buoni e atti cattivi, perché certi dell’esistenza di una verità, e quindi di un bene e di un male, fossero solo delle macchiette fuori moda a cui non dare spazio se non per fare un po’ di colore.
Ancora più grave, però, è la contraddizione apparsa su Libero dove un'altra firma cattolica parla della decisione di dj Fabo come di una “coraggiosa battaglia” in cui “Fabiano ha scelto di andare in Paradiso (…) con questa certezza è partito per il suo viaggio senza ritorno. Quel viaggio che è anche verso la tutela della libertà di scelta di ciascun individuo”. Siamo al paradosso in cui usa meglio la ragione un ateo come Feltri che, non avendo il problema di piacere al mondo o risultare “buono” né di ripetere la manfrina sui muri e i ponti, riesce almeno a rendersi conto della strumentalizzazione. Infatti, volendo affermare la sua posizione libertaria non teme di chiamare le cose con il proprio nome: “Sono pertanto padrone di scegliere l’inferno e di realizzare il mio progetto con la collaborazione di altri aspiranti dannati quanto me”, ma “aprire all’eutanasia comporterebbe il rischio di una strumentalizzazione della pratica allo scopo di eliminare persone inutili alla società”.
Dulcis in fundo Avvenire, che fa una cronaca mettendo nello stesso pastone l’opinione dei radicali, quella del teologo Bruno Forte e quella della clinica Dignitas dove è stato ucciso il dj. Ma quello che impressiona è che fra le mille opinioni non ne emerge nemmeno una, neanche per sbaglio, a ricordare che scegliere la morte è ribellarsi alla vita donata da Cristo. Nessuna riga per ricordare ai fedeli che l’uomo è fatto per la vita, che esistono un bene e una legge naturale oggettivi da sottrarre alle grinfie dello Stato. Nessuno, anche qui, che riesca a giudicare l’atto di Fabiano. Anzi, piuttoto che apparire cattivi e incompresi, meglio colpevolizzarsi perché, come sottolinea Paglia, “non si è riusciti ad aiutare chi diceva di non farcela più”.
Dunque, non si capisce nemmeno più quale sia la posizione della Chiesa, che oggi preferisce il dialogo alla verità di fronte a cui i cuori da sempre si dividono. Eppure dovrebbero saperlo i cristiani che il vero è una spada che serve a sfidare la libertà dell’uomo. Invece no, perché l’editoriale in prima pagina di Avvenire, firmato da Giuseppe Savagnone, oltre a dire che davanti alla morte di Fabiano occorre tacere e mai giudicare, mentre si dovrebbe urlare in difesa dei deboli che i radicali vogliono eliminare perché la dignità dipende dal rapporto di ciascun uomo con il Mistero che lo fa vivere, ha il coraggio di mentire su Welby a cui la Chiesa rifiutò i funerali: “Se non ci fosse stata la confusione dovuta alla strumentalizzazione ideologica (…) si sarebbe potuto valutare il peso nel suo caso di quell’accanimento terapeutico che la morale cattolica non condanna”.
Insomma, i grandi giornali sembrano davvero tutti allineati nel sostenere una norma menzognera, chi per mettersi al riparo dal dramma della libertà, chi perché sa che legalizzare l’autodeterminazione significa aprire all’eutanasia anche in condizioni sane, chi per non alzare muri apparendo indigesto al mainstream. Per questo invece che interrogarsi sul significato della vita, cercando di capire come siano andate davvero le cose e che cosa abbia portato Fabiano e i suoi parenti a chiedere la morte di Stato facendo lo spot ai radicali, viene ospitata una sola voce. Quella meno scomoda per tutti: “Ognuno sia libero di scegliere”. Chissà come l’avrebbe presa uno come don Giussani che ebbe il coraggio di dare del fascista a un suo alunno, un leader radicale, che gli imponeva di dire che non esiste una verità ma solo opinioni. E che parlò così del significato della libertà: “La libertà se non è quella che per natura deve essere (cioé l'energia affettiva che favorisce la ricerca e la adesione all'Infinito) diventa autodistruttiva. Ostile alla natura stessa del proprio cuore; distruttiva della natura dell'uomo. La natura dell'uomo è affermazione dell'Altro. La liberta che vuole solo affermare se stessa odia, nega l'Altro. E questo è il peccato. Ma cosi l'uomo finisce per autodistruggersi: ed ecco l'odio a se stessi”.