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CONTINENTE NERO

Clima, ennesimo processo ai paesi "ricchi"

Quando si accusano dei cambiamenti climatici e dei conseguenti danni i “paesi ricchi” e i “leader mondiali”, sia chiaro che tutti intendono l’Occidente. A questa parte di mondo viene addossato il "debito ecologico" contratto, in particolare, con l'Africa.

Esteri 11_12_2015
COP21

La cattiva notizia, almeno per chi crede al global warming e alla sua origine antropica, è che nel 2014 le emissioni di CO2 sono aumentate di circa lo 0,6%. La buona notizia è che nel 2015 le stime finora calcolate, in attesa di quelle definitive, indicano una riduzione dello 0,6%, nonostante una crescita dell’economica mondiale del 3%.

Sono dati pubblicati dalla rivista Nature Climate Change e presentati al COP21, la conferenza sul clima in corso a Parigi. Il motivo principale della diminuizione delle emissioni è stato il calo nell’impiego di carbone in Cina, dovuto sia a un rallentamento dell’economia, con il Pil sceso sotto il 7% per la prima volta da anni, sia a un maggiore impiego di altre fonti di energia in alternativa al carbone. La Cina tuttavia resta il maggior produttore di emissioni di CO2: il 27% del totale mondiale. 

Il buon andamento del 2015 fa sperare, ma potrebbe non ripetersi, avverte Nature Climate Change: le economie emergenti per lo più fanno affidamento sul carbone e la loro crescita potrebbe far salire di nuovo i valori di CO2. Preoccupa in particolare il rapido aumento delle emissioni che si sta verificando in India. 

Cina, India e altri paesi emergenti sono membri del G77, fondato da 77 paesi in via di sviluppo nel 1964 e che adesso, con 134 membri, costituisce il più ampio raggruppamento di stati all’interno dell’ONU. È l’organismo che alla conferenza di Parigi pretende dai paesi ricchi “nuovi impegni di finanziamento” e la certezza che forniranno a quelli poveri i fondi necessari a contenere le emissioni di CO2 e a pagarne i danni.  

Un rapporto della Banca Mondiale, divulgato a novembre “per fare pressione sui leader mondiali” in partenza per Parigi, gli da ragione: prevede che, senza un taglio delle emissioni di CO2, entro il 2030 ci saranno 100 milioni di poveri in più sulla Terra. Tra le altre conseguenze negative, aumenterà del 5% (150 milioni) il numero di persone esposte alla malaria. A soffrire più di tutti, dice il rapporto, saranno di gran lunga gli Africani, pur essendo quelli che contribuiscono meno all’aumento delle temperature.

Più che di previsioni, si tratta di proiezioni e comunque le variabili in atto sono davvero tante, troppe. Inoltre l’affermazione che sarà l’Africa a patire le peggiori conseguenze dei cambiamenti climatici non trova riscontro nel rapporto pubblicato a fine novembre dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione dei rischi di catastrofi. Tra il 1995 e il 2015 infatti i paesi più colpiti da disastri causati da cambiamenti climatici sono stati, secondo gli esperti dell’ONU, Stati Uniti, Cina e India, seguiti da Filippine e Indonesia: 472 gli eventi catastrofici verificatisi negli USA, 441 in Cina, 288 in India, 274 nelle Filippine e 163 in Indonesia. Il continente più esposto a danni dovuti al clima, in crescita a causa del riscaldamento del pianeta, in realtà è l’Asia, come conferma anche un altro rapporto pubblicato dall’Unicef secondo cui su 690 milioni di bambini in regioni a rischio climatico, 530 milioni vivono in Asia. 

Quando si accusano dei cambiamenti climatici e dei conseguenti danni i “paesi ricchi” e i “leader mondiali”, sia chiaro che tutti intendono l’Occidente. Un esempio per tutti è il vescovo anglicano Geoff Davies, sudafricano: “L’Africa vuole giustizia – diceva all’agenzia Misna all’indomani della pubblicazione dell’Enciclica Laudato si' – è da tempo che parliamo del debito ecologico che il mondo ricco ha contratto in particolare nei confronti del nostro continente... il Nord industrializzato causa i cambiamenti climatici mentre il nostro continente ne paga le conseguenze. Da secoli l’Occidente sfrutta i popoli africani”.  

Manca la volontà, non le risorse, sottolineano le organizzazioni non governative in prima linea contro contro l’Occidente, specie in occasione delle conferenze mondiali dell’ONU. Una delle più potenti, Oxfam, sostiene che il 10% degli abitanti del pianeta, quelli più ricchi, producono più della metà del CO2, mentre la metà più povera ne produce solo il 10%: “devono essere ritenuti responsabili delle loro emissioni – si legge in un rapporto dal titolo “Disuguaglianze estreme ed emissioni di CO2” appena pubblicato – i paesi in via di sviluppo debbono fare la loro parte, ma spetta ai paesi ricchi indicare la strada e assumersi le conseguenze disastrose dei loro modelli di sviluppo e di consumo”. Sempre secondo Oxfam, ciascuno degli uomini più ricchi del mondo “genera in media 175 volte più CO2 di una persona che rientra fra il 10% dei più poveri”.

La rete di organizzazioni ambientaliste Friends of the Earth (Amici della Terra) arriva a fare i conti in tasca ai ricchi con una evidente voglia di toglier loro fino all’ultimo centesimo. Basterebbero – spiega – i patrimoni dei 53 uomini più ricchi del mondo per alimentare con energie rinnovabili da qui al 2030 tutta l’Africa. Quelli dei 782 uomini più ricchi, che rappresentano lo 0,00001% della popolazione mondiale, alimenterebbero con energie rinnovabili per 15 anni tutta l’Africa, l’America Latina e gran parte dell’Asia. 

E poi? Quando tra 15 anni quei patrimoni si fossero esauriti?