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ABUSI DI REGIME

Cina contro Santa Sede. La politica non è cambiata

L’ordinazione epsicopale illegittima
di p. Paolo Lei Shiyin è una prova di forza del regime cinese. Giustamente dura la risposta della Santa Sede.

Attualità 06_07_2011
cina cattolici
L’ordinazione illegittima di p. Paolo Lei Shiyin a vescovo di Leshan (Sichuan), avvenuta lo scorso 29 giugno, rappresenta una nuova prova di forza del regime cinese, che ha provocato una dura risposta da parte della Santa Sede, preoccupata anche per la pianificazione di altre decine di ordinazioni illecite che potrebbero avvenire nei prossimi mesi.

Tale svolta nella politica del regime cinese, iniziata mesi fa dopo circa tre anni in cui sembrava raggiunto un accordo per la nomina concordata dei vescovi tra Pechino e Santa Sede, non è sorprendente come potrebbe apparire.

Il fatto è che la politica religiosa del Partito Comunista cinese, in particolare nei confronti della Chiesa cattolica, non è mai cambiata in questi oltre sessanta anni. Sono cambiate le tattiche ma non l’obiettivo. In realtà la Cina ha interesse e vuole difendere l’assoluta egemonia del Partito Comunista. E questa si basa sul controllo capillare di tutti.

I cattolici sono una piccola entità, abbastanza irrilevante per il tessuto sociale cinese, però nel rapporto con loro si gioca una grande partita per il governo. Nella concezione del regime cinese la libertà non è un diritto nativo, ma una concessione per magnanimità del governo, per questo ai cattolici non si vogliono fare concessioni di alcun tipo: questo toccherebbe troppi punti deboili dell’intero tessuto nazionale.

Questo è confermato da anni e anni di contatti diplomatici tra Cina e Santa Sede. Ogni volta che si arrivava a parlare di qualche punto veramente importante,  succedeva qualcosa che mandava tutto in fumo. Nel 2000 questo è stato evidentissimo. C’era un clima positivo, sembrava che le cose procedessero come mai prima, poi però a Pechino si sono irritati per una sciocchezza: la canonizzazione di 120 martiri avvenuta il 1° ottobre, anniversario della rivoluzione comunista. Una vicenda che poteva essere facilmente risolta è stata fatta diventare un ostacolo insormontabile.

Ogni volta che si comincia a dire pubblicamente che ci sono passi avanti nel dialogo con Pechino, o si adombra l’idea che Pechino stia facendo delle concessioni, inevitabilmente scatta la reazione della Cina che riafferma il proprio potere assoluto. In ogni modo e in ogni occasione ufficiale la Cina ha sempre affermato con chiarezza di non aver mai rinunciato a decidere sulle ordinazioni episcopali, il che vuol dire ribadire i princìpi cardine della politica cinese verso i cattolici, ovvero l’autonomia e l’indipendenza della Chiesa cinese. A questo i leader cinesi non hanno mai rinunciato. Ci sono momenti in cui sembra fare concessioni, ma poi appena è possibile ecco riaffermato con forza il potere assoluto di Pechino.

E’ quello che è avvenuto anche negli ultimi anni con le ordinazioni episcopali: si erano fermate nel 2007, quasi 3 anni completi; poi all’improvviso sono ricominciate. E’ accaduto che si è cominciato a sbandierare che si era arrivati a un accordo, che le ordinazioni avvenivano con l’approvazione di tutti. Ed ecco che al momento opportuno Pechino ci ha tenuto a dire: “No, comando ancora io”.
Il punto di intoppo insuperabile è sempre quello: lo Stato cinese non riconosce il diritto nativo alla libertà, la libertà è una concessione.

La Cina non è più il paese uscito da 30-40 anni di persecuzione massiccia. E’ una Cina che ha fatto tanti passi che hanno portato lentamente a modificare la mentalità ma probabilmente hanno anche affievolito in alcuni settori, il senso di appartenenza cattolica. E il Partito Comunista sa sfruttare con grande furbizia queste situazioni, scegliendo le persone adatte ai propri disegni. Come è accaduto l’anno scorso in occasione dell’VIII conferenza dei rappresentanti cattolici cinesi, che doveva riscrivere l’organigramma di questa Chiesa indipendente e autonoma. A capo del collegio dei vescovi è stato scelto un giovane vescovo che non era stato approvato dalla Santa Sede. Mentre a capo dell’Associazione patriottica, che il Vaticano non riconosce perché è la fonte di tutti i mali, ha messo un vescovo approvato da Roma. A rigor di logica sarebbe dovuto avvenire il contrario, ma la scelta non è stata casuale. Confondere le acque, riaffermare il proprio potere assoluto.

La reazione della Santa Sede all’ultima ordinazione è stata ovviamente dura, ma c’è la volontà che le cose non vengano portate alle estreme conseguenze. La dichiarazione ufficiale della Santa Sede, seppure preveda la scomunica del vescovo ordinato e gravi sanzioni canoniche per gli altri vescovi che vi hanno partecipato (che possono arrivare alla scomunica), in fondo però lascia uno spiraglio. Lascia ai vescovi ordinanti la giusta possibilità di spiegarsi. E questo è un segnale molto importante, positivo, perché da questo spiraglio c’è la possibilità di ricostruire tutto, evitando una divisione irreparabile.