Ci mancavano i preti che bacchettano gli evasori vaccinali
Sul settimanale diocesano di Como, tal don Riva apostrofa come evasori vaccinali i no vax. E dice: «Assolverli in confessione? Sì, ma ricordargli che la vaccinazione è un obbligo morale». Una comoda presa in giro di tanti fedeli.
“Ogni giorno ce n’è una”! Bei tempi quelli in cui ancora si poteva dire così; perché ormai ogni giorno ce n’è ben più di una. In particolare gli ecclesiastici sembrano aver acquistato una particolare vitalità nel prestarsi a sostenere il sistema totalitario sanitario.
«Mi hanno chiesto cosa direi a un NoVax che viene a confessarsi per nulla intenzionato a farsi vaccinare. Certo non potrei negargli l’assoluzione. Però lo inviterei a riconsiderare seriamente la sua scelta: vaccinarsi è un obbligo morale». È questa l’apertura di un breve intervento di don Angelo Riva, direttore de Il Settimanale della diocesi di Como, che, sul primo numero del 2022, si avventura in una valutazione morale di quelli che egli definisce gli «evasori vaccinali».
Apertura curiosa, che non dovrebbe mai verificarsi in confessionale, a meno che... non sia il confessore a fare domande del tutto inopportune, che nulla hanno a che fare con l’accusa dei peccati. Già, perché dal momento che il NoVax irriducibile non andrà certo a confessarsi di non aver fatto il vaccino e di non volerlo fare, resta aperta solo la possibilità che il don Angelo di turno, dopo aver chiesto al penitente da quanto tempo non si confessa (domanda, purtroppo, caduta in disuso), aggiunga subito la richiesta di esibire il certificato di avvenuta vaccinazione.
Cominciamo dunque dal dovere del confessore di procedere con «prudenza e discrezione» (Codice di Diritto Canonico, can. 979) nel porre domande al penitente. La Penitenzieria Apostolica aveva prodotto un documento, a firma di Mons. Giacomo Incitti, che richiamava le Normae del Sant’Uffizio del 16 maggio 1943, con il quale ribadiva l’importanza di questa discrezione e di evitare domande non strettamente necessarie. Il minimo che si possa dire è che quella di sapere se un penitente è vaccinato o meno e contro quali patologie, non è certamente una domanda necessaria al fine della confessione. Tanto più che, con buona pace di don Riva, vaccinarsi non è affatto un obbligo morale; anzi, data l’origine illecita dei vaccini anti-Covid, è persino legittima l’obiezione di coscienza. Una ripassata al n. 5 della Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede non guasterebbe.
Comunque, bontà sua, don Riva assicura che all’irriducibile NoVax non potrebbe negare l’assoluzione. “Non potrebbe”, non “non vorrebbe”. Salvo poi scrivere, poco oltre, che «oggi è venuto il tempo di mettere un punto, e dire chiaramente che non vaccinarsi è un grave peccato sociale di omissione». Ma se si tratta di un peccato grave di cui non ci si pente, perché non negare l’assoluzione? Forse per il timore che il NoVax inflessibile sia anche nervoso e nerboruto? In effetti, i nuovi confessionali senza grate hanno una minore forza dissuasiva verso eventuali reazioni violente. Che nel caso potrebbero essere legittimamente chiamate “reazioni avverse da confessore”.
Come il direttore de Il Settimanale sia arrivato a questa sua conclusione morale è presto detto: basta prendere acriticamente per buoni tutti i luoghi comuni dell’ideologia vaccinista e, di contro, squalificare mediante adeguata operazione di etichettatura tutti coloro che presentano delle obiezioni, senza nemmeno tentare di capire. Ed il gioco è fatto. Via libera, dunque, alla riproposizione acritica di tutti i luoghi comuni. Per don Riva, chi non si vaccina «favorisce indirettamente la circolazione [del virus], e quindi il diffondersi di varianti e mutazioni [...]; si ammala più facilmente e più gravemente, finendo così per stressare gli ospedali [...]; intasa le farmacie per ottenere un tampone (onde poter lavorare o viaggiare), rendendo così difficile l’accesso a coloro che del tampone avrebbero più bisogno».
Che forse i vaccini non immunizzino – cosa che ormai hanno capito anche alcuni medici star -; che forse siano proprio loro a provocare varianti (il fenomeno della vaccino-resistenza esiste); che sia più facile che ad intasare gli ospedali sia la strategia della Tachipirina e vigile attesa, nonché il colpevole assenteismo dei medici di base; che per togliere le file nelle farmacie, basterebbe togliere il green pass, etc. Tutti aspetti che non sfiorano nemmeno da lontano don Riva, il quale invece aderisce alle tesi pseudo-scientifiche con una totale subordinazione dell’intelletto e della volontà difficile da riscontrare nell’ambito della fede. Soprattutto da parte di un prete.
Viceversa, chi rifiuta la vaccinazione necessariamente è uno stralunato: o appartiene alla categoria degli “spaventati”, nei quali «la paura prevale sulla ragione, e gli stati ansiogeni impermeabilizzano qualsiasi argomento logico»; oppure dei “complottisti”, «che farneticano di scenari surreali appresi da internet»; o dei “narcisisti”, contrari a ogni obbligo e dovere; o infine dei “filosofi”, che, consapevoli di «non poter sfidare l’evidenza scientifica» (sic!), si gettano sul versante speculativo, sottolineando «il rischio di un’involuzione decisionista e tecnocratica della democrazia». Deriva che – almeno questa – don Riva ritiene reale, precisando però subito che, in fondo, si tratta di persone che vivono per aria; perché, conclude l’articolo: «Peccato però, che mentre costoro si gingillano con dotte dissertazioni di filosofia politica, di Covid si continua a morire...».
Una comoda presa in giro di chi invece ha delle ragioni per scegliere di non vaccinarsi e ritenere che la presente modalità di affrontare la pandemia sia del tutto controproducente.
Non bisogna essere “NoVax filosofi” per capire che l’adeguata soluzione ai danni provocati dal Covid è la cura, non la tirannia né la vaccinazione forsennata; quella cura che purtroppo molti, troppi medici si rifiutano di prestare a chi si ammala di Covid. Chissà se don Angelo Riva assolverebbe questi medici che, per seguire i protocolli statali, hanno omesso di curare persone bisognose. Hanno commesso cioè «un grave peccato sociale di omissione». Don Riva docet.
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N.B. Inizialmente l'articolo era corredato dalla foto di mons. Angelo Riva (Diocesi di Bergamo), omonimo del don Angelo Riva (Diocesi di Como) autore dell'intervento qui commentato. Ci scusiamo per l'errore, nello scambio di foto, con il diretto interessato e con i lettori (red.)