L'EDITORIALE
Ci dispiace, ma è proprio blasfemia
Si è creato un equivoco, secondo cui anche i nostri giudizi sull'opera teatrale di Castellucci, sarebbero stati condizionati da notizie false e tendenziose sul contenuto dello spettacolo. Ma non è così, e ve lo dimostriamo.
Editoriali
26_01_2012
Ci eravamo ripromessi in questi giorni di non tornare direttamente sulle polemiche relative allo spettacolo teatrale “Sul concetto di volto del Figlio di Dio”, scegliendo invece di presentare ogni giorno previsto della rappresentazione al Teatro Parenti di Milano (24-28 gennaio) una “catechesi” sul Volto di Cristo attraverso alcune opere artistiche che nei secoli ne hanno trasmesso la bellezza e la potenza.
Ma mentre continuiamo a proporre una meditazione positiva sul Volto di Cristo, è necessario tornare almeno una volta sullo spettacolo di Castellucci perché, anche da parte di giornalisti cattolici seri, si stanno creando una serie di equivoci sul lavoro del regista romagnolo.
C’è chi sostiene infatti che la presa di posizione di chi ha parlato di blasfemia – noi compresi – sarebbe stata viziata da notizie false sullo spettacolo che, invece, alla prova dei fatti non sarebbe blasfemo. In concreto, non ci sarebbe nessun lancio di feci contro il Volto di Cristo e il liquame di fine spettacolo che cola sul dipinto di Antonello da Messina sarebbe soltanto inchiostro che non sta affatto a indicare le feci. Si tratterebbe solo di una riflessione sulla condizione umana, addirittura un grido, una preghiera nei confronti di quel Cristo che guarda la scena per tutto lo spettacolo.
E’ bene allora chiarire che – almeno per quanto riguarda la Bussola Quotidiana – non c’è stato alcun fraintendimento su che cosa è lo spettacolo di Castellucci, e lo ha descritto molto precisamente Massimo Introvigne in uno degli articoli con cui abbiamo iniziato a seguire il caso.
Riportiamo il passaggio, per non lasciare spazio ad altri equivoci:
“Lo spettacolo di Castellucci ha come tema la decadenza del corpo umano, messa in scena attraverso l'incontinenza di un padre che non riesce a trattenere le proprie feci, di cui la scena si riempie continuamente, accudito con pazienza da un figlio. Sullo sfondo, un grande volto di Cristo tratto dal noto dipinto di Antonello da Messina (1429 o 1430-1479). Nella versione dello spettacolo presentata al Festival di Avignone dei personaggi, fra cui alcuni ragazzini, lanciano granate contro il dipinto: ma sembra che questa scena sarà esclusa dalla versione di Milano. Alla fine, il volto di Cristo è invaso anch'esso da liquami che danno al pubblico l'impressione - ampliata in alcune rappresentazioni da effetti olfattivi - degli escrementi, mentre appare la scritta in inglese «You are my shepherd» (Tu sei il mio pastore), con un «not» in caratteri più scuri che è insieme presente e assente, così che in ogni momento la scritta può anche essere letta come «Tu non sei il mio pastore»”.
Dunque il nostro giudizio è stato dato in piena consapevolezza dello spettacolo. A questo però bisogna aggiungere che la versione andata in scena a Milano è stata “furbescamente” edulcorata. Non solo è stata tagliata la scena del lancio di pietre contro il Volto di Cristo ad opera di una decina di bambini, che comunque è parte della sceneggiatura originale e già da sola basterebbe a parlare di blasfemia. Ma nella versione presentata nell’ottobre 2010 al RomaEuropa Festival, a Roma appunto, la blasfemia è ancora più esplicita, come si ricava da questa recensione di TeatroeCritica, dove è chiaro che gli spettatori sono immersi per un’ora nell’odore di feci e che il liquame che nel finale copre il Volto di Cristo, nelle intenzioni è chiaramente escremento.
E qui veniamo al secondo punto, quello delle intenzioni dell’artista che, nelle dichiarazioni rese prima della messa in scena a Milano, per qualcuno sono diventate una sorta di preghiera, di grido a Dio. Qui ci sono da chiarire due punti: anzitutto che le intenzioni dell’artista, ammesso che siano vere, non possono essere il criterio ultimo con cui giudicare un’opera. C’è un’oggettività, c’è un Brutto e un Bello, che prescindono dalle intenzioni. Cito ancora l’articolo già da noi pubblicato a firma di Introvigne:
“L'oscenità e la trasgressione, per usare le parole del Papa, sono dati oggettivi. Non dipendono dalle intenzioni dell'artista. Se qualcuno - è successo - mette in scena uno stupro di gruppo con tutte le sue caratteristiche più oscene e ripugnanti, e poi afferma che il suo scopo è denunciare la violenza contro le donne, il presunto fine condivisibile del regista non giustifica il mezzo, che rimane oggettivamente pornografico. Il fine non giustifica i mezzi, neanche in campo artistico: una verità difficile da accettare per una società immersa nel relativismo, per cui non esistono valori oggettivi o azioni intrinsecamente cattive, ma ogni azione va valutata caso per caso con esclusivo riferimento alle intenzioni di chi la compie.
Dunque noi non possiamo giudicare le intenzioni di Castellucci, né sapere veramente se le sue giustificazioni sono sincere oppure difensive, strumentali e pubblicitarie. Ma possiamo e dobbiamo affermare che le intenzioni non sono il criterio ultimo ed esclusivo per giudicare quello che vediamo. Lo spettacolo nella sua sequenza finale - gli escrementi sul dipinto - mette in scena qualche cosa che è brutto, ripugnante e - in quanto si accosta a Gesù Cristo senza il rispetto dovuto a Colui che è veramente il Figlio di Dio - anche offensivo per i credenti, i quali non sono obbligati a tollerarlo in nome di una concezione relativista, dominante ma sbagliata, secondo cui spetterebbe solo all'artista dire qual è il senso e il significato delle sue opere”.
Il secondo punto riguarda proprio l’autore: non sappiamo e non vogliamo giudicare cosa c’è nella testa e nel cuore di Castellucci, però chi usa le sue ultime dichiarazioni per affermare che non si tratta di uno spettacolo blasfemo e che anzi è una preghiera, dovrebbe almeno confrontarle con le dichiarazioni che lo stesso Castellucci ha reso nel presentare precedentemente lo stesso spettacolo, e che sono facilmente reperibili su You Tube, come in questo video, dove dice esplicitamente che l’intenzione è di lanciare “la merda a Dio”. E con altre interviste rilasciate dallo stesso Castellucci a proposito delle sue idee sull’arte e su Dio, come noi abbiamo già avuto modo di pubblicare.
Infine, un’ultima questione riguarda il modo di reagire: noi abbiamo detto con chiarezza che è legittimo protestare anche pubblicamente, ovviamente in modo composto: è un diritto che hanno tutti, non si capisce perché non dovrebbe essere garantito ai cattolici. Però noi abbiamo privilegiato – oltre a ciò che stiamo pubblicando sul nostro quotidiano online - la preghiera e la messa di riparazione, come è stato fatto in una parrocchia di Milano la sera del 24 gennaio, perché questo riteniamo sia il modo essenziale e pubblico in cui l’intera comunità cristiana si riconosce. In qualche modo la sgangherata protesta in piazza del 24 sera, con la presenza di sigle che poco hanno a che fare con il sentire dei fedeli cattolici, ci ha dato ragione. La manifestazione fissata per il 28 dal Comitato San Carlo Borromeo promette di essere diversa, ma anche su queste manifestazioni c’è comunque una questione di fondo che aveva perfettamente centrato monsignor Luigi Negri nel suo editoriale sempre su La Bussola Quotidiana:
Certo che se le Chiese cosiddette ufficiali – ma il termine mi è assolutamente ostico perché la Chiesa è una sola, non è né quella ufficiale né quella carismatica, la Chiesa è il mistero del popolo di Dio nato dal mistero di Cristo morto e risorto e dall’effusione dello Spirito, quindi c’è una Chiesa sola –; se la Chiesa non reagisce adeguatamente in modo certamente non rancoroso, non livido, assumendo in senso uguale e contrario l’atteggiamento demenziale di questi parauomini di cultura; se non reagisce la Chiesa, allora necessariamente possono intervenire in maniera protagonistica gente o gruppi che nella Chiesa non hanno a cuore soltanto la difesa della Chiesa ma hanno a cuore l’espressione legittima delle loro convinzioni.
Allora poi non si dica che la protesta è dei tradizionalisti; la protesta è dei tradizionalisti perché la Chiesa come tale non prende una posizione, che a me sembrerebbe assolutamente necessaria”.