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PASTORALE

Chiesa e omosex, ambiguità da chiarire

Un articolo rilancia esperienze ecclesiali di «accoglienza» in contrasto con la Chiesa. E con altre esperienze attente ai bisogni veri della persona.

Attualità 13_04_2011
omosex
Ci sono diversi modi di accogliere gli omosessuali, ma quello dell'associazione Kairos e di padre Alberto Maggi a Firenze non sembra coerente con l’insegnamento della Chiesa. Per lo meno stando a quanto scrive l’Unità dell’11 aprile, dove si legge appunto di un incontro avvenuto a Firenze per celebrare i dieci anni di attività di un gruppo, Kairos, formato da cristiani omosessuali che accolgono gli omosessuali all’interno della Chiesa.

L’articolo riporta una serie di slogan già sentiti e ripetuti, contro “l’antica religione basata sulle leggi e la nuova che si fonda sull’accoglienza e sull’amore”, quasi a voler mettere in contrapposizione dialettica l’Antico e il Nuovo Testamento, la Legge e il Decalogo rispetto alle Beatitudini.
Il dovere di accogliere chiunque come persona è ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Ma, appunto, come persona, non mettendo l’omosessualità sullo stesso piano della condizione eterosessuale come se fossero la stessa cosa. Qui sta il punto sul quale i gruppi come Kairos si distanziano profondamente dal Magistero della Chiesa, che riconosce l’esistenza di un progetto di Dio che si esprime anche attraverso la sessualità e che considera l’inclinazione omosessuale  “oggettivamente disordinata” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358).

Non esiste la persona in astratto, ma quella persona, maschio o femmina, unica e irripetibile.
Per cui l’omosessuale non soltanto deve essere accolto come persona, ma aiutato in modo particolare, con un’attenzione speciale. Ma aiutato a fare che cosa? A crogiolarsi nei suoi problemi? Ad affermare pubblicamente la propria identità, come vorrebbero i movimenti gay, che accusano la società omofoba di impedire agli omosessuali di manifestare pubblicamente la loro condizione? Ad accettarsi così come Dio lo avrebbe voluto, cioè appunto un gay?

Spesso coloro che sentono pulsioni omosessuali hanno più buon senso del politicamente corretto, anche sacerdote, che dice loro di non preoccuparsi. “Come faccio a non preoccuparmi – mi dicevano molti di loro – se capisco di subire forme di attrazione che non desidero e che percepisco come innaturali?”.

Così, per rispondere a domande come questa, frequenti più di quanto non si creda, è nato alcuni anni fa in diocesi di Milano il gruppo Chaire (www.obiettivo-chaire.it), proprio per aiutare chi si trova in questa condizione indesiderata a superare questa fase, aiutandolo con mezzi spirituali e psicologici a conoscere che esiste un progetto di Dio e che nessuno viene mai abbandonato dal Creatore dell’uomo. In sostanza, Chaire nasce per trasmettere il Magistero della Chiesa in tema di sessualità e di identità di genere, e contemporaneamente per non lasciare solo chi volesse essere aiutato a superare una condizione non voluta.

Chaire nasce dall’esperienza di un medico americano, Joseph Nicolosi, che con la sua terapia riparativa si è attirato l’odio di tutti i movimenti gay del mondo, che lo accusano di volere “riparare” le persone. In realtà tutti coloro che scelgono di praticare questa terapia lo fanno liberamente e circa il 30% di loro ritrova la condizione eterosessuale.

Quello che spesso anche all’interno del mondo cattolico si stenta a comprendere è la posta in gioco. In discussione non c’è soltanto la carità di aiutare una persona a ritrovare l’equilibrio perduto o mai provato. Si tratta di molto di più, di riconoscere che l’omosessualità e in genere i disturbi legati alla sessualità sono la manifestazione di un disagio che rischia di mettere in discussione il progetto originario di Dio sull’uomo. Non è vero, come si tende a fare credere, che tutto sia cultura e che non esista un dato naturale, legato alla propria sessualità, che l’uomo è invitato a scoprire e ad accogliere. Non è vero che tutto ciò che l’uomo desidera relativamente alla propria sessualità sia necessariamente un bene da perseguire. E non dovrebbe essere eccessivamente difficile rendersene conto.

Certamente, la vita spesso produce ferite, anche profonde, frequentemente legate a problemi inerenti alla sessualità. Ma nessuna ferita può cambiare il progetto originario. Le ferite vanno accettate e medicate avendo cura di tenere insieme la verità del progetto con la carità dell’accompagnamento: questo, e non altro, dovrebbero proporre le realtà ecclesiali che si sforzano di essere fedeli all’insegnamento della Chiesa in tema di sessualità e omosessualità.