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VESCOVI AFONI

Chiesa, abbiamo un problema: l'episcopato

La Chiesa italiana ha un problema: il suo episcopato. I fatti che stanno accadendo rivelano un'afasia dei vescovi su cose fondamentali, un'incertezza e una superficialità sul proprio ruolo impressionanti: polizia in chiesa, Messe interrotte, aborti che continuano. Le conferenze episcopali soffocano i vescovi, la teologia è insufficiente, la formazione è inadeguata e spesso fuorviante e troppe nomine avvengono con criteri solo pastoralisti.

Editoriali 22_04_2020

È faticoso dirlo, si rischia di essere fraintesi, però sono gli stessi fatti a metterlo in luce: la Chiesa italiana ha un problema e questo problema è costituito dai suoi vescovi, è il problema dell’episcopato. Non che non ne abbia altri, ma al momento questo sembra il principale. I fatti che stanno accadendo rivelano una assenza dei vescovi, una loro voluta afasia su cose fondamentali, una incertezza, una superficialità e una crisi di consapevolezza circa il proprio ruolo piuttosto impressionanti. La cosa riguarda soprattutto il “sistema” dell’episcopato italiano. Infatti molti singoli vescovi mordono il freno, non comprendono dove la gerarchia li voglia condurre, si sentono trascurati e considerati dei funzionari amministrativi di Circonvallazione Aurelia numero 50. Tacciono ma sono inquieti e in sofferenza.

Poliziotti e carabinieri entrano in chiesa, bloccano le Messe e multano i sacerdoti. Vigili comunali censurano il parroco perché si trova sul sagrato insieme al sacrestano. Ma dalla Conferenza episcopale italiana (CEI) non è venuta finora nessuna protesta formale, nemmeno un comunicato critico. Anche le diocesi interessate per lo più non intervengono. Il decreto dell’8 marzo sulla sospensione delle Sante Messe è illegittimo, non solo per motivi costituzionali ma anche perché non rispetta il concordato tra Stato e Chiesa. Questo è un dato certo, messo in evidenza da giuristi laici ma trascurato dagli uffici giuridici della CEI e non recepito. Solo quando il governo ha iniziato a prevedere un allentamento delle limitazioni nella cosiddetta fase 2, i vescovi sono timidamente usciti allo scoperto, auspicando con cautela la riapertura delle messe. Abbiamo avuto vescovi che ci hanno invitato a non concentrarci troppo sull’Eucarestia, dato che lo Spirito è presente nella Parola e Dio è ovunque. Ora che il governo sembra allentare la presa per ripartire, si riscopre l’importanza dell’Eucarestia. Adesso il patriarca Moraglia dice che la Chiesa online non è Chiesa. Ma prima nessuno aveva aperto bocca. Se il governo non aprisse la fase 2, i vescovi sospenderebbero le Messe per sempre?

Va però anche riconosciuto che i nostri vescovi non hanno avuto buoni esempi dall’alto. Papa Francesco ha fin da subito e senza battere ciglio chiuso San Pietro, che è San Pietro!. Il suo Vicario per Roma, sentito il parere del papa, aveva decretato la chiusura di tutte le chiese dell’Urbe. Qualche giorno fa un cambiamento di rotta: il papa ha detto che alla messa ci deve essere il popolo. Una Chiesa ondivaga, paurosa, dipendente dal mondo, non in uscita ma in ritirata.

Un fatto più di altri deve essere tenuto in considerazione. Durante la nostra lunga quarantena le strutture sanitarie sono state messe a dura prova. Medici e infermieri si impegnavano al massimo. Nel frattempo, però, gli aborti non si fermavano, Saviano e Boldrini chiedevano di effettuarli a domicilio e ben cento ONG premevano perché questo “fondamentale diritto” continuasse ad essere rispettato nonostante il coronavirus. Purtroppo la Chiesa italiana non è intervenuta ufficialmente e con forza nemmeno a denunciare questi misfatti. Anche qui silenzio.

I vescovi non sono nemmeno intervenuti a criticare il nuovo clima autoritario che si sta profilando all’orizzonte: droni, autorità che invitano alla delazione, braccialetti per gli anziani, app per la localizzazione delle persone, limite dei 200 metri … oltre naturalmente ai soprusi sulla celebrazione delle Messe. 

Un’occasione propizia poteva essere il loro messaggio per la festa del lavoro del primo maggio. Come abbiamo scritto in altro articolo, quel messaggio parla di riscaldamento globale, di sviluppo sostenibile e di immigrazione: tutte cose che non la crisi da coronavirus non c’entrano nulla, ma vengono ripetute come un repertorio buono per ogni situazione. Un intervento di basso livello e un’altra occasione mancata.

Nel suddetto messaggio non si parla mai di Gesù Cristo e, nel caso specifico, nemmeno di San Giuseppe, patrono dei lavoratori, posto che la secolarizzazione gli ha sottratto col consenso dei vescovi. Questo è un altro capitolo dell’invisibile  posizionamento dell’episcopato italiano. Le benedizioni alla citta con qualche santa reliquia non sono mancate, perché bravi vescovi ce ne sono ancora. È mancata però, come molti hanno osservato, una lettura di teologia della storia e spirituale dell’epidemia in corso, una sua valutazione nell’ambito del mistero della caduta e della redenzione, una considerazione delle esigenze di revisione di vita, di conversione, di esame di coscienza personale e collettivo che questi eventi straordinariamente ordinari inducono a fare. Non parliamo di conversione ecologica, magari gioendo del fatto che finalmente le acque del Po sono limpide a seguito del blocco dell’attività industriale, quanto per le nostre anime, le grandi dimenticate. L’episcopato italiano ha anche accettato supino di permettere la morte senza sacramenti e la cremazione d’ufficio e senza esequie dei nostri cari defunti. Anche qui: senza dire una parola.

Il problema dell’episcopato italiano è serio. Le conferenze episcopali soffocano i vescovi, la teologia è insufficiente a sostenere una idonea consapevolezza, la formazione è inadeguata e spesso fuorviante e troppe nomine avvengono con criteri solo pastoralisti.