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TTIP

Chi non vuole il trattato di libero scambio con gli Usa

Il vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel ha dichiarato che i negoziati sul trattato di libero scambio Ue-Usa sono "di fatto falliti". Non solo gli Usa non accettano compromessi con l'Ue sull'adeguamento degli standard, ma l'opposizione dell'opinione pubblica tedesca e della classe politica francese sono troppo forti.

Economia 30_08_2016
Manifestazione No Ttip a Berlino

I media tornano a parlare del Ttip, il trattato di libero scambio che Usa e Unione Europea stanno negoziando dal giugno 2013. Ne parlano come di un trattato già morto. Come si era detto su queste colonne il trattato non è così brutto come viene spesso dipinto, ma appariva già defunto a maggio, al compimento del terzo anno di negoziati. Ora l’ulteriore conferma arriva dal ministro dell’Economia (nonché vicecancelliere) del governo di grande coalizione tedesco, Sigmar Gabriel. Intervistato dalla Zdf, il ministro socialdemocratico ha dichiarato: “i colloqui con gli Stati Uniti sono di fatto falliti perché noi europei, naturalmente, non dobbiamo soccombere alle richieste americane: nulla si sta muovendo in avanti”.

La dichiarazione ha due significati. Il primo riguarda la denuncia di una serie di rigidità e resistenze opposte dagli Stati Uniti. Si sa molto poco della posizione ufficiale di Washington in una trattativa che è e resta in gran parte segreta. Ma i documenti diffusi a maggio scorso dalla sezione olandese di Greenpeace rivelano una scarsa propensione ad adeguare gli standard americani a quelli europei. Oltre a una tendenza protezionista sempre più evidente nella campagna elettorale presidenziale, in cui sia Donald Trump che Hillary Clinton si sono dichiarati contrari in tutto o in parte al Ttip. La critica più esplicita all’atteggiamento statunitense si trovava nell’intervista (sempre risalente a maggio) rilasciata a Europe1 da Matthias Fekl, segretario di Stato francese per il commercio estero: “Denuncio da un anno l’atteggiamento degli Stati Uniti. Noi vogliamo reciprocità. L’Europa propone molto e riceve in cambio molto poco. Questo non è accettabile – diceva Fekl - Vogliamo che le nostre piccole medie imprese abbiano accesso al mercato americano, vogliamo difendere l’agricoltura, le origini geografiche”. 

Le dichiarazioni di Gabriel, però, hanno anche un altro significato: la rassicurazione dell’opinione pubblica tedesca, in larga misura contraria al trattato. Secondo i dati dell’ultimo Eurobarometro disponibile, il Ttip gode generalmente di ampi consensi nell’Ue: il 56% degli intervistati è favorevole e solo il 28% è contrario. Non in Germania, però, dove i favorevoli sono appena il 20%. Si tratta di un’opposizione trasversale, sia di destra che di sinistra. L’autunno scorso, i No Ttip avevano raccolto più di 1 milione di firme in Germania su 2 milioni in tutta Europa: la metà del dissenso nel vecchio continente è nella “locomotiva d’Europa”. Le manifestazioni dei No Ttip hanno raccolto folle oceaniche, con centinaia di migliaia di adesioni, solo nelle città tedesche.

E questo è un dato singolare, soprattutto se si considera che il governo Merkel e le associazioni imprenditoriali sono favorevoli, fatti i conti in tasca e visti i vantaggi previsti dalla fondazione Bertelsmann in termini di maggiore occupazione (+200mila posti di lavoro), di crescita del Pil (+5%) e delle esportazioni verso gli Stati Uniti. L’opposizione non è politica o economica, dunque, ma culturale. L’opinione pubblica tedesca teme che le regole sull’ambiente, sul cibo e sui farmaci, oltre che sul mercato del lavoro, possano diventare più flessibili. A cavalcare l’onda della protesta sono soprattutto i sindacati autonomi, i Verdi e la Linke (post-comunista), ma i consensi vengono anche raccolti presso una destra contraria alla globalizzazione. A nulla sono servite le rassicurazioni del governo, sul fatto che Ogm e pollo al cloro sono esclusi dalle importazioni. Come si evince anche dalle dichiarazioni di Gabriel, è prevalsa la paura di dover “soccombere” alle condizioni americane.

All’opposizione popolare tedesca si aggiunge quella politica della Francia. “Noi non siamo per il libero scambio senza regole. Non accetteremo mai la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, per la nostra cultura, per la reciprocità nell’accesso al mercato pubblico”, aveva dichiarato a maggio lo stesso presidente François Hollande, parlando dall’alto di una cultura protezionista che ha sempre contraddistinto la politica economica francese, soprattutto in campo agricolo. Il già citato Matthias Fekl, aggiunge che: “non avrebbe avuto alcun senso avere fatto la conferenza sul clima a dicembre a Parigi, un ottimo accordo per l’ambiente, e firmare qualche mese dopo un altro accordo che lo distruggerebbe”. E si introduce così anche l’altro tema caro agli oppositori del Ttip: il clima. Una regolamentazione più draconiana sulle emissioni di gas serra richiede minor movimento delle merci, oltre che una minor industrializzazione e un maggior controllo dello Stato sull’economia. O clima o libero scambio, questi sono i termini dello scontro.

E l’Italia? Da un'eventuale bocciatura del Ttip avrebbe tutto da perdere. Non solo il governo Renzi, ma anche la maggioranza dell’opinione pubblica (secondo l’Eurobarometro) era favorevole al trattato. Gli Usa sono il primo partner commerciale dell’Italia e i nostri esportatori avrebbero avuto tutto l’interesse ad abbattere le tariffe doganali. Ma ormai sembra un’opportunità andata in fumo. Non sono certo le dichiarazioni del vicecancelliere a porre fine al lungo negoziato (che continuerà), ma abbiamo tutti gli elementi per constatare che d’ora in avanti le trattative saranno ancora più difficili. Oltre che del clima politico neo-protezionista che si respira nel mondo occidentale in questi anni.