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IL PIANO

Che cosa sta preparando l'Isis contro di noi

Contrariamente ad altri gruppi terroristici, l'Isis ha un suo progetto politico di lungo termine che prevede la conquista a tappe, oltre che del Medio Oriente, anche dell'Europa. E di Roma in particolare. Il programma è scritto nero su bianco ed è pubblico. "Black Flags from Rome" è un progetto e un manuale al tempo stesso. E ci permette di capire cosa ci attende.

Esteri 26_03_2016
Il Colosseo nella propaganda dell'Isis

Prima di chiederci cosa si possa fare per sconfiggere il terrorismo, domandiamoci cosa i terroristi vogliono fare a noi. Se i luoghi e i momenti dei singoli attentati sono sconosciuti fino all’ultimo e l’effetto sorpresa è essenziale per la loro riuscita, l’Isis ha comunque pubblicato da tempo la sua “grande strategia” per conquistare l’Europa. Anzi, ad essere precisi, per conquistare Roma, come ha già scritto Massimo Introvigne su queste colonne.

“Black Flags from Rome” è un vero programma politico e militare per la conquista dell’Europa. Parte da una disanima della situazione dell’islam in Europa, a partire dagli anni ’90 fino ad oggi, per poi delineare la strategia di conquista, in tutte le sue fasi. Nella rassegna storica sull’islam europeo, gli anonimi autori del libro sottolineano soprattutto tre punti di forza: le terze generazioni di musulmani nati e cresciuti in quartieri a maggioranza islamica, l’esperienza sul campo in una jihad mediorientale, gli europei convertiti.

Le terze generazioni di musulmani immigrati sono viste come un serbatoio di reclute per vari motivi. Le prime generazioni, quelle dell’era post-coloniale, sono appena immigrate e riconoscenti nei confronti di un Occidente che ritengono superiore. Le seconde accettano le regole dell’Occidente e danno la priorità al miglioramento del loro status sociale. Le terze generazioni, invece, danno già per scontato il loro status, hanno già una buona istruzione di base, ma possono riscoprire la loro identità religiosa vivendo in quartieri in cui sono già maggioranza. E’ interessante vedere come l’Isis consideri l’atteggiamento europeo: prima il “razzismo” nei confronti dei nuovi arrivati, poi la “paura” per i loro nipoti, in forza della loro fede religiosa e della loro preparazione. L’Isis dà per scontato che il musulmano di terza generazione sia un giovane colto discriminato, anzi ghettizzato, separato dal resto della società. Il carcere viene visto come luogo di conversione e reclutamento di quei giovani musulmani che si sono abbandonati alla vita del ghetto, fatta di piccola criminalità e droga. Il prigioniero viene dunque “recuperato” alla vera causa, quella del jihad.

L’esperienza di una guerra vera è anch’essa considerata come un ingrediente fondamentale. Per gli autori anonimi dell’e-book, la prima grande esperienza formativa del jihad è la Guerra in Afghanistan contro i sovietici (1979-1989) che ha formato la prima generazione di Al Qaeda. La seconda grande esperienza formativa è la Guerra Civile Algerina (1991-2000) che consentì la formazione di una seconda generazione terroristica, poi confluita anch’essa in Al Qaeda. Infine la vera “rivoluzione” è nella Guerra Civile Siriana, iniziata nel 2011, che ha dato vita al Califfato vero e proprio. Due esperienze da non sottovalutare sono il conflitto in Bosnia (1992-1995) e quello nel Caucaso (1993-2010), ma sono entrambe considerate minori, almeno per il fronte europeo, rispetto alle altre esperienze di conflitto. Quanto sono importanti? Molto, perché hanno formato predicatori e combattenti che, tornando in Europa, hanno letteralmente fatto scuola all’interno delle loro moschee radicali, con la loro predicazione all’odio per l’Occidente. Il manuale traccia anche l’evoluzione della loro azione sovversiva, dai gruppi Muhajiroun, presto banditi dai paesi europei perché troppo esplicitamente jihadisti, ai più recenti, come “Sharia for Uk” (scritto Sharia4Uk), di cui esistono versioni per ogni paese europeo con una massa critica di islamici (c’è anche Sharia4Belgium). Queste sono associazioni che promuovono il jihad, ma stando attente a non calpestare le leggi locali, dunque possono fare più proseliti perché sono meno attaccabili.

Infine, c’è quella che viene considerata “l’arma segreta” del jihad: l’europeo convertito, la “cellula dagli occhi azzurri”, colui che si mimetizza nella popolazione, usa il suo stesso linguaggio e i suoi stessi modi, non può essere in alcun modo oggetto di discriminazione. Dunque può colpire di sorpresa, o quantomeno raccogliere informazioni preziose. Questa è la maggior speranza dell’Isis e non è priva di sostanza. Basti vedere che fra i cinquemila foreign fighters accorsi a combattere nelle sue fila in Siria e in Iraq, ci sono anche molti nativi europei.

A cosa serve questo background? A compiere un piano che l'Isis intende come un progetto a breve termine, realizzabile in appena cinque anni. La profezia parla del 2020, cento anni dopo l’abolizione del califfato ottomano. L’azione si divide, all’incirca, in tre tempi. Nella prima fase c’è il consolidamento e l’espansione del controllo di un quartiere. Poi quella di una città. Infine si passa alla strategia internazionale. Il cuore del controllo del quartiere è, ovviamente, la moschea. E’ attorno ad essa che si formano delle milizie di autodifesa, guidate da un leader carismatico che poi diverrà anche il capo del quartiere stesso. Si dà per scontato che le polizie degli Stati europei siano destinate a perdere il controllo, a causa del declino economico. Dunque la guerra non è intesa come uno scontro con le forze dell’ordine, bensì con altre milizie irregolari, formate da nativi europei anti-islamici, razzisti e “nazisti”, in Italia anche contro la mafia. Per questo, l’Isis è disposto ad un’alleanza con gruppi europei di estrema sinistra. Dovrebbe preoccuparci, da italiani, il fatto che citino ad esempio delle Nuove Brigate Rosse come possibile alleato esemplare. Perché è un interesse reciproco: anche le Nuove BR hanno ostentato ammirazione per l’islam radicale, quale principale forza di sovversione dell’ordine esistente, da considerare come alleata in attesa di un ritorno in auge del comunismo. Per quanto riguarda l’Italia, grande rilievo viene dato al controllo di Bologna, città rossa per eccellenza, per la sua posizione strategica: punto di giunzione fra il Nord (dove si concentra il grosso della presenza islamica) e il centro-Sud (dove si trova Roma).

La seconda fase del conflitto, quella per la conquista territoriale vera e propria, richiede condizioni molto speciali. Anche delle milizie di quartiere ben consolidate non sarebbero in grado di minacciare gli eserciti nazionali europei. Qui, però, l’Isis si aspetta un aiuto esterno: la possibilità di guerra fra Europa e Russia. E giudica la guerra in Ucraina, così come quella in Siria, come dei precursori della conflagrazione più grande: dà per scontato che la Russia voglia invadere anche il resto d’Europa. A questo punto, le “frontiere saranno sfasciate” e il “continente sarà inondato di armi”. La guerra in Europa darebbe anche la possibilità, del tutto opportunistica, all’Isis per mostrarsi come alleato dell’Occidente: in quel frangente farebbe fronte comune contro la Russia, accreditandosi come partner e dunque consolidando la sua presenza. Ma solo a questo punto si arriva alla terza fase, quella apocalittica dello scontro finale. Che, secondo la profezia, avverrà a Dabiq, in Siria, fra un grande esercito occidentale (ex alleato, dunque) e l’esercito dei credenti. Quest’ultimo vincerà e avvierà l’assalto all’Europa, sia dai paesi arabi del Sud del Mediterraneo (che a quel punto si convertiranno alla causa jihadista o cadranno sotto i colpi degli jihadisti), sia dall’interno, con le milizie già presenti sul terreno e ormai esperte. Il premio finale è la conquista di Roma.

Man mano che si allontana nel tempo e si avvicina alla sua fase apocalittica, questa illustrazione della strategia dell’Isis diventa meno plausibile. E perché abbia successo, deve prima necessariamente scoppiare una guerra con la Russia (scenario da non escludere, per altro). Quel che preoccupa maggiormente, piuttosto, è la determinazione a scatenare una guerriglia nelle città europee. Il ché è possibile sin da subito. Il manuale è, da questo punto di vista, ricco di esempi personali di jihad urbana (come i fratelli Kouachi a Parigi) e istruzioni su come assemblare armi e bombe poco sofisticate, usando materiale reperibile in ogni supermercato. E anche su come usare Google Earth come strumento di intelligence sul territorio. “La ricognizione satellitare era prerogativa delle potenze più ricche – si legge – ora è a disposizione di tutti gratuitamente”.