Charlie "ostaggio": negli Usa solo se lo decide il giudice
I genitori di Charlie non potranno trasferire all’estero il loro bambino senza l’autorizzazione del tribunale. Il giudice Nicholas Francis ha ribadito che solo un suo ordine potrà consentire il trasferimento del piccolo di undici mesi, che la sua famiglia vorrebbe portare negli Stati Uniti per il trattamento sperimentale.
I genitori di Charlie non potranno trasferire all’estero il loro bambino senza l’autorizzazione del tribunale. Il giudice Nicholas Francis, rispondendo a una precisa domanda dell’avvocato del Great Ormond Street Hospital nel corso dell’udienza procedurale di ieri, ha ribadito che solo un suo ordine potrà consentire il trasferimento del piccolo di undici mesi, che la sua famiglia vorrebbe portare negli Stati Uniti per il trattamento sperimentale caldeggiato da sette esperti di patologie mitocondriali. L’ennesima risposta raggelante di Francis arriva dopo la notizia dagli Usa del primo “sì” all’emendamento per concedere la residenza permanente a Charlie e ai suoi genitori, votato all’unanimità da una commissione e che la prossima settimana inizierà il suo iter nell’aula della Camera statunitense.
Per inciso, quell’emendamento è stato proposto dalla repubblicana Jaime Herrera Beutler, una donna che assieme al marito rifiutò di abortire la sua bambina colpita dalla sindrome di Potter, a cui i medici non davano alcuna speranza di vita. Sua figlia è invece venuta alla luce, si chiama Abigail e oggi ha tre anni, circondata dall’amore dei suoi cari. Adesso la Beutler, assieme a tanti altri colleghi di partito e al presidente Trump che si è detto “commosso” dalla vicenda, sta cercando di offrire la stessa possibilità di vita a Charlie, lanciando un messaggio forte al Regno Unito sul tipo di civiltà per cui vale la pena lottare.
La vita del bimbo continua in ogni caso a dipendere dalle decisioni della giustizia britannica e il suo corpicino bisognoso di cure continua nel frattempo a rimanere prigioniero di un ospedale che da mesi, contro la volontà dei genitori, si batte accanitamente per staccargli la ventilazione assistita e pretende che il suo “miglior interesse” sia farlo morire soffocato. Il giudice ha comunicato ai genitori che è disponibile ad ascoltare nuove testimonianze di esperti e che in tal caso la sua decisione potrebbe slittare oltre martedì 25. Ha chiesto al loro avvocato Grant Armstrong di preparare una lista dettagliata con tutte le nuove prove emerse dalla sua prima sentenza dell’11 aprile e aggiunto che la trascrizione del meeting di specialisti tenutosi a inizio settimana lo aiuterà a decidere nel miglior interesse (espressione ormai usata alla stregua di un dogma) di Charlie.
Sempre all’udienza di ieri si è avuta un’altra prova dell’atteggiamento meschino del Gosh. Secondo quanto riporta l’Independent, mentre il giudice chiedeva se vi fosse “nuovo materiale” che potesse aiutarlo nella sua decisione, Katie Gollop, legale del Gosh, ha parlato di una risonanza magnetica effettuata giovedì e che mostrerebbe “una triste situazione”. I genitori non sapevano nulla del nuovo esame ed è stato a quel punto che Connie Yates è scoppiata in lacrime e Chris Gard ha gridato “malvagia” all’indirizzo della Gollop, le cui parole avevano ancora una volta il fine di orientare la corte e l’opinione pubblica verso il distacco del supporto vitale.
Oltre tutto bisogna tenere presente l’inattendibilità ideologica dell’ospedale londinese, che già aveva strumentalmente diffuso una visione pessimistica delle prime risonanze magnetiche e parlato di un danno cerebrale irreversibile, influenzando il giudice Francis – che già è restio di suo a credere alla dignità intrinseca della vita umana – a emettere la prima sentenza di morte contro Charlie. Ricordiamo che Michio Hirano, il neurologo di fama internazionale che si è offerto di curare il bambino, ha ripetuto più volte che dai report avuti dal Gosh “non risultano segni di danno cerebrale strutturale”. Le falsificazioni dell’ospedale in tutti questi mesi hanno di fatto impedito ai genitori di provare il trattamento sperimentale che avrebbe potuto migliorare le condizioni fisiche di loro figlio. Senza contare che nello stesso tempo gli interessi di Charlie, per decisione arbitraria del giudice a discapito del diritto dei genitori, sono rappresentati formalmente da un tutore che era stato presentato come “indipendente” e che invece è assistito da Victoria Butler-Cole, legale di grido e a capo di un’organizzazione che si batte per l’eutanasia sia quando è consensuale sia quando non è consensuale. La morte elevata a bene supremo.
Contro la menzognera libertà venduta dai fautori dell’eutanasia e contro la collegata idea che certe vite non sarebbero degne di essere vissute, ha parlato nuovamente il cardinale Gualtiero Bassetti, che in un’intervista a Radio Vaticana ha messo in guardia sul pericolo di “anestetizzare la coscienza” di fronte a una questione antropologica come la vicenda di Charlie. “La vita va difesa e protetta anche quando siamo in presenza di una malattia, che noi possiamo giudicare una malattia gravissima. Perché la vita va difesa e protetta? Il Papa l’ha detto con una chiarezza estrema: perché non esiste nessuna vita che non sia degna di essere vissuta. Altrimenti cadiamo nella cultura dello scarto e questo è terribile perché ciò che si scarta vuol dire che è inutile”, ha detto il neo presidente della Cei, ricordando un basilare dovere di ogni cristiano.
Bassetti ha poi argomentato in modo illuminante quale abisso ci sia tra lo slogan dell’autodeterminazione, cioè del ritenersi padroni assoluti della propria vita come vorrebbero i pro eutanasia, e la nostra realtà di creature in relazione con tutta la comunità umana. “La vita, invece, è sempre un dono, una relazione. Pensate che forma di relazione è stata ed è di fatto la vita di Charlie: tutto il mondo in qualche modo si è concentrato attorno a lui, non solo la sua grande e nobile famiglia ma nazioni intere si sono concentrate attorno a questo fatto perché c’è una vita e perché la vita è relazione, capace di coinvolgere anche l’opinione mondiale. La vita, quindi, non è mai un fatto unilaterale: anche la vita di una sola persona sulla terra, ci coinvolge tutti”.