GIOVEDI' LA SENTENZA
Charlie, l'ipocrita e "crudele ordalia" del giudice
Il giudice londinese ha comunicato che prenderà la sua decisione finale su Charlie Gard giovedì o venerdì, ma il suo atteggiamento durante l’udienza di ieri pomeriggio non lascia presagire nulla di buono. Solo “qualcosa di nuovo o sensazionale” lo farà cambiare idea. Il giudice, l’ospedale e il tutore, sostenuti dai grandi media, continuano a remare verso lo stesso obiettivo: stabilire per sentenza il precedente che è legale negare una cura di base a un malato grave.
-QUELLO CHE VEDE SOLO IL POPOLO DI CHARLIE di Benedetta Frigerio
Vita e bioetica
11_07_2017
La realtà va ormai oltre il peggior incubo. Il giudice Nicholas Francis, il Great Ormond Street Hospital e il tutore che rappresenta (si fa per dire) gli interessi di Charlie, da una parte. Compatti e ferocemente determinati a chiedere il distacco del ventilatore. I genitori, dall’altra, a gridare al mondo che loro figlio ha diritto di vivere e non gli si può negare la speranza di un trattamento sperimentale. Ancora una volta nello stesso tribunale, chiamato a decidere su vita e morte, tre mesi dopo la prima sentenza che autorizzava l’ospedale londinese a staccare il supporto vitale al piccolo Charlie.
Nonostante la riapertura dell’iter giudiziario in conseguenza delle “evidenze scientifiche” riferite nel protocollo di cura sperimentale presentato da sette esperti di patologie mitocondriali, coordinati dal Bambin Gesù, nulla è cambiato. Francis ha comunicato che prenderà la sua decisione finale giovedì o venerdì, ma il suo atteggiamento durante l’udienza di ieri pomeriggio non lascia presagire nulla di buono.
Non si è infatti ammorbidito in nessun modo il cuore del giudice, che nella sentenza dell’11 aprile aveva scritto di aver preso la sua decisione di far morire Charlie “con la più profonda tristezza”.
Di quanto fossero false quelle parole si è avuta conferma ieri, quando ha esordito dicendo che solo “qualcosa di nuovo o sensazionale” gli avrebbe fatto cambiare idea; ha respinto la proposta di fissare un’udienza per il 25-27 luglio avanzata da Grant Armstrong, legale della famiglia, per avere il tempo necessario di presentare le prove documentali richieste, concedendo invece appena due giorni: l’ultimatum per la presentazione delle evidenze scritte scade perciò domani.
Anche in questo caso un’altra dichiarazione ipocrita: “Sarei felice se potessi cambiare idea. Ma devo applicare la legge”, ha detto Francis, facendo assurgere la legge a sua divinità, senza contare che qui si sta parlando di una sua sentenza contraria a ogni diritto alla base della convivenza umana. Ha perciò citato il Children Act del 1989, dicendo che la corte deve dare la massima considerazione al benessere del bambino. Singolare modo di assicurarne il benessere: privarlo di una cura di base come la ventilazione, negargli la speranza di un trattamento sperimentale e farlo morire per soffocamento.
Francis, che per anni si è occupato di cause di divorzio per persone facoltose, ha respinto anche la richiesta di far considerare il caso da un altro giudice, una strada che Armstrong ha tentato dopo aver capito di trovarsi di fronte a un muro di orgoglio che molto difficilmente cambierà la propria sentenza di aprile. “Sarebbe piuttosto sbagliato cambiare giudice”, ha tagliato corto Francis, che ha chiesto dei report sulla circonferenza del cranio di Charlie, perché il Gosh sostiene che il bimbo non avrebbe più avuto sviluppo cerebrale negli ultimi tre mesi. Una falsità per i genitori del bambino: “L’hanno misurata questa mattina ed è cresciuta di 2 centimetri in una settimana”, ha detto mamma Connie, mentre papà Chris ha aggiunto che l’ospedale “sta mascherando” e “sta mentendo” sulla crescita del cranio. Ma anche qualora l’ospedale non stesse mentendo sul punto, rimarrebbe il fatto che subordinare il riconoscimento del diritto alla vita allo sviluppo cerebrale è un argomento eugenetico, che mira a eliminare l’imperfetto. Roba da regimi totalitari.
Detto questo, se si parla di credibilità, quella del Gosh è ai minimi termini visto il comportamento ideologico che sta tenendo da mesi. Lungi dall’essere più conciliante come alcuni - compreso chi scrive - si aspettavano, ieri la legale dell’ospedale, Katie Gollop, si è scagliata ancora contro i genitori (che pure domenica avevano prudentemente teso la mano al Gosh, definendone “meraviglioso” il lavoro), criticandoli per aver parlato sui media delle percentuali di successo del trattamento sperimentale e sfidandoli a fornire le nuove prove. Che secondo la Gollop non ci sarebbero.
L’ospedale di Londra, in sostanza, si sta battendo perché venga confermata la sentenza che autorizza i medici a staccare la ventilazione assistita a Charlie. Sempre sulla stessa linea è anche il tutore, che in questo procedimento decisivo per la vita di Charlie rappresenta gli interessi del bambino al posto dei genitori, perché così stabilito dal giudice sulla base di un conflitto inesistente tra il piccolo e la sua famiglia. Victoria Butler Cole, il legale che rappresenta il tutore, ha detto che il bambino sta ricevendo della morfina perché i dottori pensano che stia soffrendo, frase che però suona come un pretesto per far passare Charlie quale malato terminale, secondo una stortura portata avanti da mesi e che ha il solo scopo di staccargli il supporto vitale.
Il giudice, l’ospedale e il tutore, sostenuti dai grandi media, continuano perciò a remare verso lo stesso obiettivo, a conferma che nel Regno Unito – ma il discorso si potrebbe allargare ad altri Paesi dell’Occidente - c’è un potere che vuole stabilire per sentenza un precedente: dire che è legale negare una cura di base a un malato grave. Se passa il precedente con un bambino di pochi mesi, avremo presto tanti nuovi Charlie, cadrà un paletto dopo l’altro, e saranno sempre più medici e giudici che si credono padreterni a valutare quale malato ha il diritto di ricevere delle cure e quale no, alzando progressivamente l’asticella della “qualità” della vita ritenuta degna di essere vissuta.
A molti in questi giorni è venuto il dubbio che questa sia una tendenza già in atto e che solo la ribellione dei genitori di Charlie abbia consentito di portare alla luce una mentalità così mortifera. Del resto, è quello che fanno pensare le stesse parole della dottoressa Neena Modi, presidente del Royal College of Pediatrics and Child Health, che in una lettera aperta ha prima criticato la mobilitazione a favore di Charlie, sostenendo che non aiuta, e ha poi affermato: “Purtroppo, situazioni come questa che comportano l’interruzione di cure vitali non sono rare e rientrano nella responsabilità di molti pediatri”. In quale baratro stiamo precipitando?