MOSTRE
Ceresa a Bergamo
Importante pittore del Seicento lombardo, che influenzò anche il Caravaggio.
Cultura
03_03_2012
Carlo Ceresa fu uno dei protagonisti del Seicento lombardo.
Da Roberto Longhi a Mina Gregori diversi studiosi, nel corso dei decenni, si sono interessati a lui, pittore autodidatta, bergamasco, nato nel 1609 a San Giovanni Bianco, nel cuore della Val Brembana. Nella leggendaria mostra del 1953 a Palazzo Reale di Milano, dedicata ai pittori della realtà, pietra miliare dell’indagine sugli imprescindibili precedenti del Caravaggio, Longhi riunì una selezione di suoi dipinti ravvisando in essi i prodromi della vocazione realista della pittura lombarda, concetto ribadito di lì a poco da Giovanni Testori che lo descrisse come campione di schiettezza e sincerità.
A Bergamo la sinergia delle istituzioni culturali più importanti della città ha dato vita ad una mostra che, dopo trent’anni dall’ultima rassegna monografica, fa luce sugli studi più aggiornati intorno alla sua opera, essendo stata allargata l’indagine, prima concentrata quasi esclusivamente sulla produzione ritrattistica, anche ai soggetti religiosi.
E mentre il Museo Adriano Bernareggi delinea il profilo giovanile del Ceresa, all’Accademia Carrara si possono seguire gli sviluppi del suo percorso dalla maturità alla vecchiaia, attraverso un centinaio, in tutto, di opere. Qui il discorso si allarga e il Ceresa, sacro e profano, viene affiancato dai colleghi a lui contemporanei, quali Evaristo Baschenis, Daniele Crespi e Genovesino, piuttosto che da pittori che ne rilessero l’opera, tra i quali Giovan Battista Moroni, Bernardo Strozzi e Fra’ Galgario.
E’ un dialogo, dunque, quello che si instaura nella duplice esposizione bergamasca: il dialogo tra il maestro e la cultura figurativa del suo tempo, dal quale si evince quanto anti barocca sia stata la sua scelta poetica, in perfetta controtendenza rispetto a quanto stava accadendo intorno a lui. Nella pittura sobria e sincera del Ceresa non si trova traccia dell’esuberanza, degli artefici e della teatralità tipici dello stile barocco che si andava, allora, sempre più affermando.
Severità e naturalismo contraddistinguono le sue figure, pacate, neutre, sia nei ritratti della nobiltà provinciale, colta nella semplicità quotidiana, che nelle numerose pale d’altare, per lo più richieste dalla committenza delle confraternite religiose disseminate nelle valli bergamasche. Questa austerità controriformista è, di fatto, la cifra stilistica di tutta la produzione del Ceresa che la mostra di Bergamo conferma essere uno dei principali artefici del naturalismo seicentesco.
Da Roberto Longhi a Mina Gregori diversi studiosi, nel corso dei decenni, si sono interessati a lui, pittore autodidatta, bergamasco, nato nel 1609 a San Giovanni Bianco, nel cuore della Val Brembana. Nella leggendaria mostra del 1953 a Palazzo Reale di Milano, dedicata ai pittori della realtà, pietra miliare dell’indagine sugli imprescindibili precedenti del Caravaggio, Longhi riunì una selezione di suoi dipinti ravvisando in essi i prodromi della vocazione realista della pittura lombarda, concetto ribadito di lì a poco da Giovanni Testori che lo descrisse come campione di schiettezza e sincerità.
A Bergamo la sinergia delle istituzioni culturali più importanti della città ha dato vita ad una mostra che, dopo trent’anni dall’ultima rassegna monografica, fa luce sugli studi più aggiornati intorno alla sua opera, essendo stata allargata l’indagine, prima concentrata quasi esclusivamente sulla produzione ritrattistica, anche ai soggetti religiosi.
E mentre il Museo Adriano Bernareggi delinea il profilo giovanile del Ceresa, all’Accademia Carrara si possono seguire gli sviluppi del suo percorso dalla maturità alla vecchiaia, attraverso un centinaio, in tutto, di opere. Qui il discorso si allarga e il Ceresa, sacro e profano, viene affiancato dai colleghi a lui contemporanei, quali Evaristo Baschenis, Daniele Crespi e Genovesino, piuttosto che da pittori che ne rilessero l’opera, tra i quali Giovan Battista Moroni, Bernardo Strozzi e Fra’ Galgario.
E’ un dialogo, dunque, quello che si instaura nella duplice esposizione bergamasca: il dialogo tra il maestro e la cultura figurativa del suo tempo, dal quale si evince quanto anti barocca sia stata la sua scelta poetica, in perfetta controtendenza rispetto a quanto stava accadendo intorno a lui. Nella pittura sobria e sincera del Ceresa non si trova traccia dell’esuberanza, degli artefici e della teatralità tipici dello stile barocco che si andava, allora, sempre più affermando.
Severità e naturalismo contraddistinguono le sue figure, pacate, neutre, sia nei ritratti della nobiltà provinciale, colta nella semplicità quotidiana, che nelle numerose pale d’altare, per lo più richieste dalla committenza delle confraternite religiose disseminate nelle valli bergamasche. Questa austerità controriformista è, di fatto, la cifra stilistica di tutta la produzione del Ceresa che la mostra di Bergamo conferma essere uno dei principali artefici del naturalismo seicentesco.
CARLO CERESA
Un pittore del Seicento lombardo tra realtà e devozione
Bergamo, Museo Adriano Bernareggi – Accademia Carrara/ GAMeC
Dal 10 marzo al 24 giugno 2012
Orario: da martedì a domenica 10 – 19, giovedì 10 -22. Chiuso lunedì
Ingresso: intero € 9; ridotto € 6
Info: 035 21 80 41
Un pittore del Seicento lombardo tra realtà e devozione
Bergamo, Museo Adriano Bernareggi – Accademia Carrara/ GAMeC
Dal 10 marzo al 24 giugno 2012
Orario: da martedì a domenica 10 – 19, giovedì 10 -22. Chiuso lunedì
Ingresso: intero € 9; ridotto € 6
Info: 035 21 80 41