C'è un giudice in Friuli: no al registro delle nozze gay
Il Tar del Friuli Venezia Giulia, con sentenza 21 maggio 2015, ha finalmente detto ciò che nessun altro giudice fino ad oggi aveva avuto il coraggio (l’onestà giuridica?) di affermare: la trascrizione del matrimonio same sex nell’ordinamento italiano da parte del sindaco è illegittima e contraria alla legge.
Quel giudice di Berlino di brechtiana memoria è arrivato in Italia. Il Tar del Friuli Venezia Giulia, con sentenza 21 maggio 2015, ha finalmente detto ciò che nessun altro giudice fino ad oggi aveva avuto il coraggio (l’onestà giuridica?) di affermare: la trascrizione del matrimonio same sex nell’ordinamento italiano da parte del sindaco è illegittima e contraria alla legge. Un revirement giudiziario importantissimo che “sanziona” il comportamento nella specie, del sindaco di Udine, ma in generale di tutta quella schiera sempre più numerosa di sindaci italiani che, unilateralmente e in spregio alla normativa vigente, hanno trascritto i matrimoni contratti all’estero da coppie omosessuali.
Molti ricorderanno il caso del Tribunale di Grosseto il quale, nonostante l’annullamento da parte della Corte di Appello di Firenze di un primo decreto circa la trascrivibilità di quel tipo di matrimonio, lo scorso febbraio ha ribadito la legittimità della trascrizione sul presupposto che nessuna norma italiana stabilisce che persone dello stesso sesso non possano sposarsi (quali sono invece le norme che dicono il contrario?) Poiché «non può desumersi un divieto in tal senso nello spirito costituzionale» dato che «il richiamo ai diritti della famiglia come “società naturale” non può certamente essere riferita a medievali e discriminatorie concezioni secondo cui l’unione omosessuale sarebbe “contro natura”», secondo i giudici di Grosseto, il rifiuto di trascrizione del matrimonio «alla luce del quadro normativo» esistente (sic!) integrerebbe una «discriminazione basata sull’orientamento sessuale».
Ben noto è anche il duro braccio di ferro che ne è seguito tra sindaci e prefetti e che ha visto questi ultimi annullare d’imperio le trascrizioni, giusta circolare n.10863 del 07.10.2014 del ministero dell’Interno. Da lì hanno preso il via i ricorsi ai Tribunali Amministrativi Regionali per ottenere la declaratoria di nullità/annullamento dei provvedimenti prefettizi. È questo il caso affrontato dal Tar Friuli Venezia Giulia in commento. Una cittadina italiana residente in Belgio, iscritta all’anagrafe del comune di Udine, impugna il provvedimento con cui il prefetto ha annullato la trascrizione del suo matrimonio same sex. Si costituisce in giudizio anche il Comune avallando la tesi della signora. Ma il Tar non solo lo estromette dal giudizio asserendo che l’interesse dell’Ente «può essere di tipo ideologico, politico o di altro genere, ma non certo giuridicamente apprezzabile», ma addirittura trasmette gli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti perché intervenga in ordine ai costi legali (€1.459,12) sostenuti e posti a carico del bilancio comunale e quindi del contribuente.
Passando al merito della questione, i giudici ritengono che per valutare la legittimità o meno del provvedimento del prefetto è necessario preventivamente accertare se in Italia è possibile trascrivere un matrimonio omosessuale. E qui cade l’asino! Perché il Tar, richiamando alcune fondamentali sentenze (Corte Costituzionale n.138/2010, Corte di Cassazione nn. 4184/2012 e 2400/2015) afferma che «nell’attuale quadro normativo e costituzionale in Italia non è consentita la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e nemmeno la trascrizione di un analogo matrimonio contratto all’estero». Con la conseguenza che, in base al fondamentale principio di legalità secondo cui «tutti gli atti formati dalla pubblica amministrazione, ivi compresa la trascrizione di un matrimonio celebrato all’estero, devono risultare conformi alla legge», nonché alla luce dell'art. 97 della Costituzione, le trascrizioni dei matrimoni omosessuali «devono essere rimossi dall’ordinamento o su istanza del privato ovvero su iniziativa della stessa amministrazione in via di autotutela». E la chiosa del Tribunale è a dir poco lapidaria: «tale principio peraltro deve ritenersi sussistente anche a livello europeo, in quanto discende direttamente dal principio di legalità». Insomma, basta appellarsi sempre e comunque alla normativa sovranazionale per giustificare tutto e il contrario di tutto!
Ma non finisce qui. Il collegio va oltre, sottolineando che la nostra Costituzione prevede la divisione dei poteri, per cui spetta esclusivamente al Parlamento decidere con legge il riconoscimento nel nostro ordinamento dei matrimoni omosessuali. Ne deriva che «non spetta né al sindaco, né all’autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa e – allo stato - nemmeno alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia europea o alla Corte europea dei diritti dell’uomo, procedere in via surrettizia o suppletiva a tale riconoscimento, perché ciò costituirebbe un evidente vulnus al sistema democratico nel suo insieme».
Se dunque il provvedimento prefettizio deve essere annullato perché ai sensi dell’art. 9 Dpr 396/2000 il Prefetto ha solo un potere di “vigilanza” sull’Amministrazione, «la trascrizione effettuata dal sindaco di Udine quale ufficiale di governo risulta illegittima perché esulante dai suoi poteri e doveri, contraria alla legge e contrastante con le direttive del suo superiore gerarchico, il Ministro dell’Interno, e in ultima analisi poco rispettosa –ancorché inconsapevolmente – del riparto tra i poteri dello Stato definito dalla Costituzione repubblicana». Il Tribunale ha rimesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine nonché alla Procura regionale della Corte dei Conti, affinché cancelli la trascrizione del matrimonio (inesistente). L’auspicio è che questa coraggiosa pronuncia non rimanga isolata e che i giudici facciano il loro mestiere applicando semplicemente le leggi esistenti.