Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L'EDITORIALE DI OGGI

C'è qualcosa che viene prima

La confusione e la divisione tra cattolici in politica è figlia di una crisi di fede, che non genera più criteri di giudizio oggettivi sulla realtà. Per questo non si comprende che i princìpi non negoziabili sono la base di ogni politica per il bene comune.

Editoriali 01_06_2011

«Non è poi vero, come pare si voglia dire qualche volta, che l’uomo sia incapace di organizzare la terra senza Dio. Ma ciò che è vero è che, senza Dio, egli non può alla fine dei conti che organizzarla contro l’uomo».

Questa affermazione del grande teologo Henri De Lubac (da “Il dramma dell’umanesimo ateo”) ci introduce alla questione chiave dell’impegno politico che, dopo le elezioni amministrative, è più che mai di attualità.

Se in questa tornata elettorale una cosa è apparsa chiara, infatti, è che tra i cattolici regna la massima confusione a proposito di quelli che sono i valori fondamentali che devono unire aldilà degli schieramenti e dei partiti in cui si milita.

Ancora negli ultimi giorni il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, e monsignor Mariano Crociata, segretario della Cei, sono tornati sull’argomento riponendo al centro dell’attività politica quelli che sono stati definiti “princìpi non negoziabili”. Ma se il Magistero è chiaro al proposito, altrettanto non si può dire delle idee dei singoli vescovi e dei preti, che spesso danno o acconsentono a visioni ben diverse se non addirittura opposte. E se i pastori son così figurarsi i politici e i semplici elettori. E’ questo anche un motivo non secondario del sostanziale fallimento delle scuole di politica che alcune diocesi avevano organizzato anni fa. Per cui l’auspicio di una nuova generazione di politici cattolici, ripetuto ancora in questi giorni dal cardinale Bagnasco, rischia di restare un pio desiderio.

E’ necessario comprendere che il problema evidenziatosi anche in questa occasione non è confinato alla “politica”, ma è una vera e propria crisi di fede che investe ogni aspetto della vita: è il motivo per cui tanti cattolici – ordinati compresi – giustificano con disinvoltura le convivenze al di fuori del matrimonio, abbracciano le tesi sull’identità di genere, non comprendono più il celibato per il Regno, arrivano perfino a pensare possibile la reincarnazione. E l’elenco potrebbe continuare. Insomma, la fede non genera più cultura, non genera criteri di giudizio sulla realtà, che non siano il seguire il proprio istinto o le proprie opinioni (che poi sono quelle della cultura dominante).
E’ dunque qui il primo punto su cui intervenire e ben si comprende allora l’insistenza del papa sulla necessità di una “nuova evangelizzazione”.

Quanto alla politica, affermare che il criterio fondamentale poggia sui princìpi non negoziabili (vita, famiglia, libertà di educazione) significa affermare un giudizio che viene prima di ogni simpatia o antipatia, prima di ogni scelta di schieramento. Lo schieramento o il candidato si sceglie dopo, in base a questo criterio di giudizio. Esso nasce dalla certezza, verificata nella storia, che senza quel fondamento “la società verrà organizzata contro l’uomo”, per riprendere l’affermazione di De Lubac. Come potrà infatti svilupparsi una politica per il bene comune se per legge è garantita la soppressione del più debole e indifeso, se si facilita la disgregazione della famiglia – che ha conseguenze negative enormi anche in economia, come dimostra la ricerca che presentiamo in primo piano -, se viene scippato alla famiglia il diritto-dovere di educare i propri figli, impedendo perciò il maturarsi pieno della propria personalità e libertà?

Ecco perché tali princìpi costituiscono il fondamento di ogni politica che sia davvero per il bene comune: questo si basa sul valore assoluto di ogni persona, sull’irriducibilità della dignità di ciascuna persona. Molto spesso invece si usa la definizione di “bene comune” in modo vago o riducendola a una generica buona amministrazione o addirittura a un agire onesto. Il catechismo della Chiesa è invece molto preciso nella definizione: «Per bene comune s’intende l’insieme di quelle condizioni di vita sociale che permettono ai gruppi e ai singoli di realizzare la propria perfezione» (no.407 del Compendio). Si tratta perciò di condizioni spirituali e materiali perché riguardano l’uomo nella sua integrità, in tutte le sue dimensioni. È una questione fondamentale perché l’uomo è per sua natura sociale, non può vivere e realizzarsi da solo.

Non c’è bisogno di essere cristiani per arrivare a riconoscere questa verità, perché – come disse il Papa nel 2006 – questi princìpi “sono inscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità”. Non si tratta quindi di verità di fede che si vuole imporre anche a chi non crede. Ma per i cattolici impegnati in politica questi princìpi di dottrina sociale sono vincolanti, non possono essere disattesi. Altrimenti la tentazione – come possiamo vedere in questo periodo – è quella di far diventare valore fondamentale la propria analisi o scelta di schieramento. O usare i princìpi della Dottrina sociale in modo strumentale, piegandoli alle proprie scelte, come peraltro sta già avvenendo in vista del “referendum sull’acqua” che ci sarà fra dieci giorni. Ma di questo torneremo a parlare diffusamente nei prossimi giorni.