Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

PAPA IN TURCHIA

"Cattolici e ortodossi, sperate nella riconciliazione"

Secondo giorno di viaggio apostolico di Papa Francesco in Turchia. Al di là dei discorsi, di questa giornata restano due immagini forti: il Papa che si raccoglie in preghiera nella Moschea Blu di Istanbul e che più tardi si inchina di fronte al patriarca ortodosso Bartolomeo per ricevere la sua benedizione. 
- UN INCONTRO FRA ISLAM E LAICITA'

Ecclesia 30_11_2014
Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo

Dopo la giornata dedicata alle autorità turche, il 29 novembre 2014 Papa Francesco ha consacrato il secondo giorno del suo viaggio in Turchia al dialogo: fra cattolici di diversi riti, fra cattolici e ortodossi, fra cristiani e musulmani.

Al di là dei discorsi, di questa giornata restano due immagini forti: il Papa che si raccoglie in preghiera nella Moschea Blu di Istanbul e che più tardi si inchina di fronte al patriarca ortodosso Bartolomeo per ricevere la sua benedizione. Il primo gesto ha un parallelo esatto nella visita di Benedetto XVI alla stessa moschea, il 30 novembre 2006: anche Papa Ratzinger si era fermato a pregare per due minuti nello stesso posto, suscitando commenti ammirati e stupiti nella stampa turca e anche qualche controversia fra i cattolici. Quella di Papa Francesco nella Moschea Blu non è dunque una novità, ma s’inserisce in una tradizione di gesti fortemente simbolici di una volontà di dialogo con l’islam – che certo non esclude la fermezza con cui nella giornata precedente il Pontefice aveva condannato le persecuzioni dei cristiani e il terrorismo – che ha numerosi precedenti anche nel pontificato di san Giovanni Paolo II. Quanto al patriarca, la disponibilità a percorrere strade nuove, anche ardite, per arrivare a una piena riconciliazione con gli ortodossi era stata annunciata da Papa Francesco fin dai primi discorsi del suo ministero petrino.

Se ai musulmani aveva domandato di non avere paura nell’isolare i fondamentalisti e denunciare i terroristi, ai cristiani il Papa chiede di non «fare resistenza allo Spirito Santo» riconciliandosi anzitutto fra loro e intraprendendo la strada del dialogo senza «meccanismi difensivi». La comunità cattolica in Turchia è piccola, ma divisa in tanti riti e patriarcati che non sempre riescono a collaborare pienamente tra loro superando le rispettive particolarità. Nella Messa celebrata nella cattedrale cattolica di Istanbul, dedicata allo Spirito Santo, Francesco è partito proprio dallo Spirito che «è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il corpo di Cristo». San Paolo nella Prima lettera ai Corinti ricorda che «nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo». «Quando noi preghiamo, è perché lo Spirito Santo suscita in noi la preghiera nel cuore. Quando spezziamo il cerchio del nostro egoismo, usciamo da noi stessi e ci accostiamo agli altri per incontrarli, ascoltarli, aiutarli, è lo Spirito di Dio che ci ha spinti. Quando scopriamo in noi una sconosciuta capacità di perdonare, di amare chi non ci vuole bene, è lo Spirito che ci ha afferrati. Quando andiamo oltre le parole di convenienza e ci rivolgiamo ai fratelli con quella tenerezza che riscalda il cuore, siamo stati certamente toccati dallo Spirito Santo».

Lo Spirito Santo non crea una Chiesa uniforme. Il Papa lo ricorda nel Medio Oriente dove, nella stessa Chiesa Cattolica, una storia millenaria ha creato tante giurisdizioni e riti diversi. È lo Spirito Santo che ha suscitato una feconda varietà: «apparentemente, questo sembra creare disordine, ma in realtà, sotto la sua guida, costituisce un’immensa ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità. Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità». Non tutte le diversità sono buone: «quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi ed esclusivismi, portiamo la divisione». Né sono buoni tutti i tentativi di creare unità: «quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità e l’omologazione». Lo Spirito invece crea armonia e «ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa». «Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore. La Chiesa e le Chiese sono chiamate a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, ponendosi in un atteggiamento di apertura, di docilità e di obbedienza».

Questo, ha riconosciuto Papa Francesco, è faticoso «in quanto è sempre presente in noi la tentazione di fare resistenza allo Spirito Santo, perché scombussola, perché smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. Ed è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate». La resistenza allo Spirito da una parte si manifesta «con l’arroccamento eccessivo sulle nostre idee, sulle nostre forze – ma così scivoliamo nel pelagianesimo», oppure al contrario «con un atteggiamento di ambizione e di vanità» che ci spinge a cercare l’unità intorno a ideologie o progetti umani. Alla fine, entrambi gli atteggiamenti derivano da una mancanza di quell’umiltà che s’impara guardando all’esempio della Vergine Maria.

Non è la prima volta che Papa Francesco usa l’espressione «pelagianesimo», che è stata criticata sul piano storico quanto alla precisione del riferimento a Pelagio, un monaco irlandese vissuto a cavallo tra il IV e V secolo e combattuto da sant’Agostino per le sue idee secondo cui l'uomo potrebbe maturare un «diritto» alla salvezza con le sue forze umane, così che la grazia almeno per alcuni diventerebbe superflua. Del resto, su che cosa veramente insegnasse Pelagio non mancano le controversie fra gli storici. Al di là del contesto storico, Papa Francesco usa il termine in un senso che viene da testi del cardinale Joseph Ratzinger, il quale – sulla scia di osservazioni del filosofo Josef Pieper – distingueva in suoi scritti degli anni 1980 fra i «pelagiani borghesi-liberali», cioè in sostanza i «progressisti» postconciliari che riducevano il cristianesimo a un umanesimo, e i «pelagiani pii», che al contrario pensavano di salvarsi con una rigida adesione alle regole e una ossessiva «ricerca di sicurezza» chiusa a ogni novità (si veda J. Ratzinger, «Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità», 1989, pp. 65-67).

Sono i «pelagiani pii» l’oggetto delle critiche di Francesco. Si può certo discutere sul riferimento storico, cercando però anzitutto di comprendere quale insegnamento il Papa intenda – attraverso il riferimento – trasmetterci. La critica – simmetrica rispetto a quella rivolta a chi cerca di costruire la Chiesa intorno a progetti umani e ideologici – si riferisce a chi, di fronte agli inviti del Magistero a percorrere la strada di un dialogo coraggioso e difficile, preferisce la sicurezza di un «arroccamento» su «posizioni statiche». Papa Francesco parlava nel contesto di un dialogo fra Chiese orientali e con gli ortodossi; ma l’insegnamento vale certo anche in altri contesti.

Il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, era presente alla Messa nella cattedrale cattolica, e il Papa gli ha reso visita in serata nella sua sede, il Fanar, affermando che «la sera porta sempre con sé un sentimento misto di gratitudine per il giorno vissuto e di trepidante affidamento di fronte alla notte che scende». La speranza di una riconciliazione fra cattolici e ortodossi, ha detto il Pontefice, «è oltre, non è in noi, non è nel nostro impegno e nei nostri sforzi, che pure doverosamente ci sono, ma è nel comune affidamento alla fedeltà di Dio, che pone il fondamento per la ricostruzione del suo tempio che è la Chiesa».

La visita è caduta nella vigilia della festa di Sant’Andrea, che il Patriarcato ortodosso di Costantinopoli considera come suo fondatore. Andrea e Pietro, ha detto il Papa, «erano fratelli di sangue, ma l’incontro con Cristo li ha trasformati in fratelli nella fede e nella carità. E in questa sera gioiosa, in questa preghiera vigiliare vorrei dire soprattutto: fratelli nella speranza – e la speranza non delude!». Non delude «perché è fondata non su di noi e sulle nostre povere forze, ma sulla fedeltà di Dio». Di qui la «trepidante attesa», come il Pontefice l’ha chiamata, di sviluppi finora considerati impossibili nel cammino di riconciliazione con una parte almeno della Chiesa Ortodossa. Ma nulla è impossibile a Dio.

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