"Catalogna verso l'indipendenza, Madrid in crisi"
La Catalogna ha votato per la sua indipendenza, in un referendum che non è stato riconosciuto dal governo spagnolo, ma a cui ha partecipato gran parte della popolazione attiva. E la vittoria del Sì è schiacciante. Parla il professor Marco Bassani (Università degli Studi di Milano), osservatore volontario a Barcellona.
Sarà complice la crisi, saranno complici classi politiche nazionali che non hanno saputo farvi fronte, fatto sta che sempre più regioni aspirano all’indipendenza dalle loro nazioni.
A settembre è toccato alla Scozia tentare la via del referendum per la secessione da Londra. In un futuro prossimo potrebbe essere la volta dei serbi di Bosnia. E domenica scorsa, 9 novembre, era la volta della Catalogna. Non c'è stato un voto regolare, ma una consultazione simbolica: il referendum, infatti, è stato bocciato, in quanto anticostituzionale, dalla Corte Suprema spagnola. Ma il risultato di questa consultazione è stato netto: 80% a favore dell’indipendenza da Madrid. Per saperne di più abbiamo intervistato il professor Marco Bassani, docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università degli Studi di Milano. Bassani era nel gruppo di volontari, un centinaio da tutta Europa, recatosi in Catalogna in veste di osservatore. Ci parla subito di un “clima sobrio” tipico di una “qualunque elezione regolare”, ben lontano da scenari rivoluzionari o da manifestazioni folkloristiche, come ci si potrebbe attendere da movimenti secessionisti.
Professor Bassani, il governo spagnolo e la magistratura hanno vietato il referendum. Si percepiva un clima di tensione durante il voto?
A giudicare dall’andamento del voto, le contromisure del governo di Madrid sono state minime. La sera prima, sabato 8 novembre, si era diffusa una strana tensione a Barcellona, qualcuno parlava di reparti blindati che muovevano sulla città, allarmi che poi si sono rivelati assolutamente infondati. La politica che ha seguito Madrid è stata quella di far pressioni attraverso la Fiscalidad (simile alla nostra Guardia di Finanza), che avrebbe dovuto far rispettare il divieto dell’uso di luoghi pubblici per la consultazione. Invece sono state usate le scuole e i seggi tradizionali, come in tutte le elezioni nazionali. D’altra parte, la Generalitat, il parlamento catalano, è, a tutti gli effetti, un organo istituzionale ufficiale, che ha in mano tutta la macchina elettorale. Ha in mano le leve di una comunità dotata di molti poteri autonomi, pur essendo all’interno della Spagna.
Ha però votato circa la metà del corpo elettorale, due milioni su un totale di cinque milioni e mezzo…
I cinque milioni e mezzo di voti non sono mai stati raggiunti nella storia delle elezioni in Catalogna. Il dato di affluenza più alto parla di tre milioni. Rispetto alla media hanno votato in tanti. Il dato di riferimento è di 1,8 milioni di voti per l’indipendenza, rispetto all’affluenza storicamente più alta, che è, appunto, di tre milioni. Questo sancisce una maggioranza indipendentista in Catalogna, che lo si voglia vedere o no.
Durante la Guerra Civile (1936-1939) la Catalogna era schierata dalla parte della Repubblica contro Francisco Franco e fu in quella regione che vennero commessi (da anarchici e comunisti) la maggior parte dei crimini contro la Chiesa. Il governo di Madrid è dominato dal Partito Popolare, cattolico. C’è ancora una dimensione anti-cattolica nel separatismo catalano?
Direi proprio di no. Con questo non voglio dire che la storia non si senta, si ricorda ancora che la Catalogna fu il “bastione dell’antifranchismo” e che subì la reazione dopo la guerra, ma questo resta un discorso in sotto-traccia. La questione fondamentale è puramente economica: domina l’idea che, all’interno della Spagna la crisi non possa essere superata. Non bisogna dimenticare che in tutto il Paese, anche nei momenti di buon andamento dell’economia, il lavoro non ha mai più riassorbito quel 20% di disoccupazione, che resta una costante. La Catalogna, al contrario, ha sempre immaginato di poter ridare un futuro ai suoi abitanti. Ma solo separandosi dal resto della Spagna.
Il catalano medio a cosa attribuisce l’origine della crisi economica?
Non si occupa tanto dell’origine quanto della soluzione possibile della crisi. Per la maggioranza, la soluzione non può esserci se si continua a versare a Madrid un residuo fiscale eccessivo. La Catalogna ha sette milioni e mezzo di abitanti, il residuo fiscale (quel che dà alla Spagna, al netto di quel che riceve, ndr) si stima attorno ai 17-18 miliardi di euro all’anno. Questo è il principale motivo dell'indipendentismo. Non è più un problema, al contrario, la questione linguistica: nessuno è obbligato a parlare il castigliano, i quotidiani locali, come La Vanguardia, escono nelle due versioni, castagliana e catalana. Ma anche durante il franchismo, solo una ristretta élite barcellonese aveva smesso di parlare il catalano, dunque il problema non si è mai realmente posto. Alcuni parlano di “genocidio culturale”: non c’è nulla di simile. Vi è solo la netta sensazione di essere schiavi fiscali di Madrid. E la sensazione, altrettanto forte, che questa spoliazione fiscale impedisca di uscire dalla crisi, come recita lo slogan indipendentista “la spoliazione fiscale è distruzione sociale”.
Ma quale futuro avrebbe una Catalogna indipendente in un’Europa unita?
Sarà una delle prime nuove nazioni con cui Bruxelles dovrà trattare. È falsa la percezione di una Ue restia a parlare con un’eventuale Catalogna indipendente. Adesso, nominalmente, è dalla parte di Madrid, ma ha già creato il neologismo di “allargamento interno”, che nient’altro vuol dire che ridisegnare i confini all’interno degli attuali Stati nazionali. La burocrazia europea, come tutte le burocrazie, ha interesse a sviluppare se stessa e ad avere sempre più potere all’interno delle istituzioni che rappresenta, dunque non vi sono dubbi che sarà pronta a riconoscere la nuova realtà di fatto e che si metta d’accordo con il nuovo Stato.
Ma quale sarà, a questo punto, la strategia di Madrid?
Finora è incomprensibile. Tanto è chiara la strategia dei catalani, che mirano a un referendum finale per l’indipendenza (e con questa consultazione hanno mostrato di avere i numeri per farlo), quanto è oscura e contorta la risposta del governo centrale. Madrid ha continuato a nascondere la testa sotto la sabbia, il governo ha dichiarato che un referendum per l’indipendenza era un “atto antidemocratico”, senza rendersi conto della contraddizione. Qualcuno pensa che vi possa essere una risposta militare, ma nessuno, in Europa, tollererebbe un’azione di forza. Quindi non capisco cosa aspetti Madrid a mettersi in gioco, apertamente, con un referendum riconosciuto. Esattamente come ha fatto Londra con la Scozia, sperando di ottenere gli stessi risultati, usando la stessa tattica: cercando di dividere il campo avverso all’interno di una votazione con date certe.