Catalogna, le incognite e i cambi di strategia
Rajoy e Puidgemont ai ferri corti, ma devono fare i conti con i cambi in corsa di stregia dettati dai rispettivi alleati. In vista del voto di dicembre si resta incerti tra il boicottaggio delle elezioni e uno smorzamento delle tensioni.
È durata soltanto 4 ore e 59 minuti l’indipendenza della Catalogna: il tempo necessario a Madrid per prendere atto del voto con cui il parlamento regionale catalano ha approvato una risoluzione contenente la dichiarazione di indipendenza e procedere alla destituzione di tutte le cariche del governo autonomico catalano e allo scioglimento del parlamento regionale. Alle 15.27 il Parlament approvava con votazione segreta l’indipendenza, alle 20.26 il Consiglio dei ministri nella capitale procedeva, in virtù dell’articolo 155 della Costituzione, a rimuovere dalle loro funzioni tutti i dirigenti catalani, compreso il capo della polizia regionale, e a sciogliere il parlamento. I poteri del presidente Puigdemont passano formalmente nelle mani del primo ministro Mariano Rajoy, effettivamente in quelle della sua vice Soraya Saenz de Santamaria, alla quale li ha delegati.
Tutto come previsto, tranne che per un singolo provvedimento che costituisce una sorpresa: il governo centrale ha già stabilito la data delle elezioni anticipate per dare un nuovo parlamento e un nuovo governo autonomico alla Catalogna, e le ha fissate al 21 dicembre. Inizialmente Rajoy si era dato sei mesi di tempo per convocare la regione alle urne, e aveva pure dichiarato che in caso di necessità l’appuntamento elettorale avrebbe potuto essere ulteriormente rinviato. Il premier pareva intenzionato a riprendere in mano l’amministrazione della terza regione più ricca della Spagna e a lasciare sedimentare le emozioni prima di chiamare il popolo al voto, anche verosimilmente per poter accumulare prove della gestione clientelare ed estorsiva del governo indipendentista. Nel giro di pochi giorni ha cambiato idea, anche su pressione degli altri due partiti del fronte costituzionalista, cioè i socialisti del Psoe e i centristi di Ciudadanos che insieme al Ppe di Rajoy stanno facendo muro contro il tentativo secessionista catalano. Ora il messaggio che Madrid intende inviare è che il governo centrale e i partiti dell’opposizione che lo appoggiano su questa materia non intendono affatto mettere sotto tutela la Catalogna, che l’utilizzo dell’articolo 155 della Costituzione è una triste necessità imposta dalla irresponsabilità della classe dirigente catalana, e che l’autonomia della Generalitat sarà restaurata il prima possibile.
Anche Puigdemont è stato costretto a cambiare la sua strategia in corsa. Consapevole che i rapporti di forza non lasciano alcuna speranza al processo di indipendenza, e che l’oltranzismo non fa altro che avvicinare la fine del sogno, il deposto presidente regionale mirava ad allungare i tempi dell’incertezza e del limbo giuridico, sia per potersi mantenere in carica che per guadagnare tempo e creare un situazione di negoziato di fatto fra Barcellona e Madrid. Per questo aveva sospeso la dichiarazione di indipendenza e si era mostrato disponibile a convocare elezioni anticipate. Ha poi ritirato questa disponibilità adducendo come motivo la mancanza di garanzie da parte di Madrid che il governo centrale non avrebbe fatto ricorso ai poteri conferiti dall’articolo 155 della Costituzione, ma la verità è un’altra: Erc e Cup, i due partiti rispettivamente di sinistra e di estrema sinistra che compongono il fronte indipendentista insieme al PdeCat di Puigdemont, hanno minacciato di togliere la fiducia all’esecutivo del presidente se costui avesse convocato le elezioni mentre manteneva la sospensione della dichiarazione di indipendenza. Controvoglia Puigdemont ha permesso il voto del Parlament, che ha avuto aspetti per nulla esaltanti.
Dei 135 deputati, soltanto 70 hanno approvato la mozione indipendentista, che è passata perché i rappresentanti dei partiti costituzionalisti non hanno partecipato alla votazione. Questa si è svolta a scrutinio segreto anziché palese per mettere al riparo i fautori dell’indipendenza da denunce penali. Non solo: la dichiarazione di indipendenza vera e propria faceva parte del preambolo della risoluzione, che formalmente non viene sottoposta al voto; nel caso che vengano rinviati a giudizio, i deputati potranno sempre difendersi in punta di diritto dicendo di non avere approvato un atto illegale come la dichiarazione di indipendenza, ma solo le conseguenze operative di tale atto, destinate a restare inattuate per via delle sentenze del Tribunale costituzionale. Come si può notare, gli indipendentisti catalani non sembrano avere vocazione al martirio, né sembrano disposti a pagare per le proprie idee. Mentre si sentono immensamente gratificati dalle manifestazioni di sostegno di piazza, che da domenica si ripeteranno, ogni volta meno numerose. Quanto alla risposta sul piano politico, Puigdemont sembra intenzionato, d’accordo con gli altri partiti che lo fiancheggiano, a indire a sua volta elezioni costituenti prima della fine dell’anno e a boicottare quelle indette da Rajoy. Dove e come si svolgeranno le elezioni dell’assemblea costituente della Repubblica di Catalogna, nessuno al momento lo sa dire.