Caso marò: Italia in balia degli indiani
Il governo italiano assicura che la vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone verrà conclusa a breve con un processo “rapido ed equo”. Assicurazioni redicole: i due marò sono bloccati in India da un anno e mezzo e ora Nuova Delhi vuole interrogare gli altri quattro militari italiani presenti sulla Enrica Lexie.
Da più di un mese il governo italiano, dal ministro Emma Bonino all’inviato speciale Staffan De Mistura, assicura che la grottesca vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre verrà risolta da un processo “rapido ed equo”. Assicurazioni ridicole se si considera che i due sono “prigionieri” in India da quasi un anno e mezzo ma ribadite anche mercoledì da De Mistura che ha sottolineato come l’agenzia investigativa antiterrorismo indiana (NIA) “lavorando sodo e fra poco affronterà anche il nodo dell’interrogatorio dei testi italiani”. Un nodo non di poco conto perché la polizia federale indiana, che ha preso in carico tutte le prove e le perizie effettuate dalla polizia del Kerala, vorrebbe interrogare anche i quattro marò che erano imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie assieme a Girone e Latorre. I quattro (Massimo Andronico, Alessandro Conte, Antonio Fontana e Renato Voglino) non erano stati arrestati e tornarono in Italia a bordo della petroliera perché non ritenuti coinvolti nella sparatoria, ma ora gli indiani vogliono interrogarli.
In un contesto giuridico normale gli indiani non avrebbero il diritto di interrogare soldati di altri Paesi, così come non avrebbero alcun diritto di processare Latorre e Girone, ma dopo i pasticci del governo Monti l’Italia è ormai prona e succube di fronte agli abusi di Nuova Delhi. Del resto a suo tempo l’allora ministro degli esteri Giulio Terzi aveva garantito a Delhi che i quattro militari sarebbero tornati in india su richiesta degli inquirenti. A peggiorare la già penosa posizione italiana in questa vicenda contribuisce la notizia emersa dal rapporto interno alla Marina redatto dall’ammiraglio Alessandro Piroli, scritto l’anno scorso ma reso noto dal quotidiano La Repubblica il 7 aprile scorso, nel quale è scritto a chiare lettere che la perizia effettuata in Kerala ha evidenziato che i fucili Beretta AR 70/90 che spararono i colpi che uccisero i due pescatori non furono quelli assegnati a Latorre e Girone ma bensì le armi di Andronico e Voglino.
Fonti della Marina fecero presente che nella concitazione del momento è possibile che i due marò abbiano preso i primi fucili a portata di mano, ma nessun militare impiegherebbe mai l’arma di un altro (se non in battaglia e per motivi di sopravvivenza) perché ogni soldato regola l’arma in base alle sue personali caratteristiche. Possibile allora che Girone e Latorre si siano assunti la responsabilità dell’azione perché erano i più alti in grado nel team di sei marò? La domanda per ora è senza risposta perché in questa vicenda le testimonianze ballerine, le prove artefatte e le perizie raffazzonate degli indiani si sommano all’omertà delle istituzioni italiane giustificata come sempre dal fatto che è incorso un’inchiesta giudiziaria. Ad alimentare il sospetto contribuisce anche il fatto che al loro rientro in Italia i quattro compagni di sventura di Latorre e Girone vennero tenuti ben lontani dai media.
Roma vorrebbe far testimoniare i quattro via teleconferenza, ma la NIA li vuole in aula con il rischio paradossale che gli indiani liberino Latorre e Girone ma arrestino Voglino e Andronico. Il nuovo braccio di ferro sembra destinato a concludersi con l’ennesima calata di braghe del governo italiano che punta evidentemente a far condannare Latorre e Girone per poi ottenere il trasferimento in Italia a scontare la pena, mentre sul fronte mediatico continua a trincerarsi dietro la garanzia di un processo “equo e rapido”. In realtà equo non lo sarà mai, basti pensare che nelle prime interviste rilasciate alle televisioni indiane Freddie Bosco, proprietario del peschereccio Saint Anthony, dichiarò che la sparatoria che uccise i due pescatori si era verificata la sera prima alle 21,30 e non nel pomeriggio di quel giorno, il 15 febbraio.
Anche sulla celerità del processo i dubbi sono più che fondati. Nessuno sembra in grado di ipotizzare neppure la data d’inizio del processo istituito dal tribunale speciale e gli investigatori della NIA non sembrano certo avere fretta di chiudere le indagini, anche se De Mistura ha precisato che della mole di materiale probatorio fornito dalla polizia del Kerala (la cui giurisdizione sul caso è stata negata dalla Corte Suprema indiana) “non tutto verrà rivisitato dalla NIA, ma solo quelle parti in cui è apparso che gli inquirenti keralesi cercassero di fabbricare conclusioni prestabilite”. Per Latorre e Girone, il cui status lavorativo attuale è di funzionari dell’ambasciata in India, si preannuncia una seconda, lunga estate in India.