Casa Bianca, Trump e Clinton alla prova del voto
Inizia il percorso per la scelta del prossimo presidente degli Usa. Il primo stato in cui si vota è l'Iowa, priccola realtà rurale del Mid West, con il metodo del caucus (voto assembleare). Guida ai candidati che si presentano nei due partiti: solo uno di loro sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Iowa, oggi si inizia a votare alle primarie statunitensi. E’ la prima puntata di un lungo percorso elettorale che si concluderà solo nel primo martedì del prossimo novembre con l’elezione alla Casa Bianca del prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Apparentemente insignificante per numero e peso politico, il “caucus” (assemblea) dell’Iowa è in realtà determinante per iniziare a misurare i reali rapporti di forza fra i candidati alla presidenza, al di là di tutti i sondaggi finora pubblicati. Nel 2008 segnò l’inizio dell’ascesa di Barack Obama, attuale presidente giunto al termine del suo secondo mandato.
Le primarie sono le elezioni interne ai due grandi partiti, per selezionare chi sarà il candidato prescelto dall’elettorato repubblicano e di quello democratico. Si voterà stato per stato, ogni volta con regole diverse: caucus, proporzionale, maggioritario. Il “caucus” è, appunto, un voto assembleare, in uso negli stati meno popolosi come l’Iowa. Non solo ogni stato, ma addirittura ogni partito vota con regole differenti. Nell'Iowa gli elettori repubblicani esprimeranno le loro preferenze con voto segreto, scrivendo il nome del candidato sulla scheda. Mentre i democratici lo sceglieranno con voto palese, schierandosi in "aree di voto", fisicamente delimitate e cercando di convincere i loro avversari a raggiungerli nella loro area.
La corsa più interessante, quest’anno, è all’interno del Partito Repubblicano, sia per il gran numero di uomini (e una donna) ancora in corsa, sia per la presenza di un candidato che ha letteralmente occupato tutto lo schermo per un anno intero: Donald Trump. Dopo essersi distinto per aver scandalizzato il mondo intero con le sue sparate contro musulmani, donne, cinesi, messicani, cineasti, giornalisti (soprattutto Megyn Kelly, campionessa conservatrice di Fox News), portatori di handicap e politici di establishment, Trump è già diventato un caso storico. E’ il primo uomo che è riuscito a rompere tutte le regole del linguaggio politicamente corretto e a restare sulla cresta dell’onda in tutti i sondaggi pre-elettorali.
Ma cosa propone, in pratica? I repubblicani più navigati non si fidano di lui, perché dicono che è un doppiogiochista. Fino a non troppo tempo fa, infatti, da imprenditore appoggiava i democratici. E’ solo dalle elezioni del 2012 che si è rischierato con i repubblicani. Attualmente il suo programma è incentrato sulla lotta all’immigrazione clandestina, per fermare la quale propone di costruire un nuovo muro al confine con il Messico e di dare un giro di vite alla politica dei visti. Economicamente parlando si è distinto per la sua battaglia protezionista, soprattutto contro la concorrenza cinese. Sul fronte dei valori non negoziabili, è contro l’aborto e vuole azzerare i fondi pubblici per Planned Parenthood. I suoi avversari gli fanno notare, però, di essere stato pro-aborto fino a pochi anni fa. Lui risponde di essersi evoluto “come Reagan a suo tempo”.
Il rivale mediaticamente più potente di Donald Trump, finora, è Ted Cruz. Campione del movimento Tea Party nelle elezioni del 2012, Cruz è un americano nato in Canada da padre cubano e per questo motivo Trump lo ritiene un mezzo illegale non abilitato alla candidatura. E’ però molto severo sull’immigrazione illegale e anche su tutti gli altri punti si presenta come un conservatore a 360°: liberista in economia, vuole una sola tassa piatta al 16%, contrario alla riforma sanitaria di Barack Obama, filo-Israele in politica estera, duro con i movimenti islamisti (combatterebbe il Califfato anche accettando un accordo con Assad).
E’ favorevole a una privatizzazione integrale dell’istruzione pubblica (perché ritiene che la scuola di Stato sia diventato un apparato propagandistico liberal) ed è intransigente sui princìpi non negoziabili: contrario all’aborto, favorevole al de-finanziamento di Planned Parenthood, ritiene che i matrimoni omosessuali, resi obbligatoriamente legali in tutti gli stati con sentenza dell’anno scorso, siano anti-costituzionali. Meno in vista, in questi ultimi mesi, c’è anche un altro outsider conservatore: Ben Carson. Medico chirurgo, unico candidato di colore nel partito repubblicano, si era contraddistinto come la versione gentile di Donald Trump, politicamente scorrettissimo, mai stato in politica prima d’ora, ma mai volgare. Tuttavia la sua impreparazione su ogni questione importante di politica estera e interna è emersa nel corso dei dibattiti televisivi.
Fin qui i candidati anti-sistema. L’establishment del partito sembra favorire il giovane e ottimista Marco Rubio, anch’egli figlio di immigrati cubani. La sua battaglia in Senato si è più rivolta verso l’estero, a favore della politica di esportazione della democrazia nel mondo e lotta alle tirannie. La sua posizione sull’aborto è stata messa più volte in discussione, perché è più propenso di altri candidati repubblicani ad ascoltare anche le istanze dei pro-choice (gli abortisti), ma su tutte le altre questioni la sua (ormai lunga) esperienza di voto in Senato dimostra come sia perfettamente allineato a un’agenda conservatrice in tutti i settori.
Un altro preferito dall’establishment era Jeb Bush, fratello minore di George W. Ma nel corso dei dibattiti pre-elettorali ha iniziato da subito a perdere consensi a favore dei suoi rivali più aggressivi. In particolar modo, non è piaciuto il suo tono moderato anche sui principi non negoziabili, dove si è dimostrato troppo incline ai compromessi sui matrimoni gay. Chris Christie, governatore del New Jersey, ha dato esempio di buona amministrazione locale. Ma anche lui è accusato di una politica troppo incline ai compromessi su vita e famiglia. E ha abbracciato Barack Obama. Un’altra beniamina del mondo repubblicano ufficiale è Carly Fiorina, unica candidata donna nel Grand Old Party e in competizione per la prima volta in politica dopo essere stata una manager alla testa della Hewlett Packard. Piace per la sua esperienza manageriale. Si è anche distinta nel contrasto alla misoginia estrema del suo rivale Trump. Ma per il resto è una stella che brilla poco, sia in Tv che nei sondaggi.
La grande promessa che, nel corso dell’anno, si è andata via via sgonfiando è l’outsider Rand Paul, unico libertario (e non conservatore) fra i candidati repubblicani, figlio del più celebre libertario Ron Paul. E’ un acceso oppositore delle politiche di sicurezza, che vede come premessa per la nascita di uno Stato di polizia. Coerentemente è contrario all’ingerenza dello Stato in ogni settore della vita dei cittadini. Molto liberista in economia e libero-scambista nel commercio internazionale, è contrario ad ogni intervento militare all’estero, ai programmi di cooperazione e sviluppo, agli aiuti forniti a Stati partner. Il suo limite, però, è quello di non piacere troppo ad un pubblico conservatore. In compenso c’è anche un candidato che piace ai democratici: John Kasich, governatore dell’Ohio. Ieri ha incassato anche l’endorsement del quotidiano New York Times e ha ringraziato. Ma se piace ad un pubblico progressista, prenderà voti anche dai repubblicani?
Ovviamente le primarie non riguardano solo i repubblicani. Si tende a parlare maggiormente di loro, perché i democratici hanno già una candidata forte, che probabilmente vincerà senza problemi e che non richiede alcuna presentazione: Hillary Clinton. E’ appoggiata, non solo dall’apparato del partito, ma anche dalla maggioranza dei mass media (non solo quelli statunitensi). Ma oltre alla Clinton avanza anche un altro strano sfidante, Bernie Sanders. Dichiaratamente filo-sovietico fino agli anni '80, questo socialista che si è sempre posto alla sinistra della sinistra americana, ha ora battuto il record delle micro-donazioni e sta conducendo una campagna elettorale molto aggressiva. Se dovesse vincere, trasformerebbe per sempre il volto dell’America, con un programma anti-capitalista da eseguire a colpi di nazionalizzazioni (a partire da sanità e istruzione), tasse punitive per i ricchi e imposizione di rigidissime regole alla finanza. La sua politica estera è sempre orientata a favore della cooperazione internazionale, ma contro gli interventi militari all’estero. La sua posizione sui princìpi non negoziabili è opposta a quella dei conservatori: favorevole all’aborto, favorevole ai matrimoni gay e alla droga libera. Ha una ricca agenda verde: vorrebbe tarpare le ali alle aziende energetiche, multare le aziende che emettono troppa Co2 e combattere il “negazionismo” del riscaldamento globale. La sua America diverrebbe qualcosa di molto familiare alle nostre latitudini: una perfetta socialdemocrazia europea.