Caro D'Agostino, lei tradisce il diritto
L'editoriale di Francesco D'Agostino pubblicato su Avvenire il 6 agosto sdogana la possibilità di una legge sull'omofobia e riduce il giudizio sulla legge a un mero criterio di opportunità. E' il rovesciamento del Magistero e di ogni principio giuridico.
Non sono d’accordo praticamente su nulla di quanto scritto il 6 agosto da Francesco D’Agostino sulle pagine di Avvenire, a proposito della legge sull’omofobia.
Mi spiace dirlo, perché D’Agostino è un filosofo del diritto come me, ha molti meriti scientifici e una fama assai prestigiosa, lo conosco da anni e ho con lui un rapporto schietto e cordiale. Ma, per dirla con Aristotele, amicus Platus sed magis amica veritas.
Che cosa ha scritto in sostanza il professor D’Agostino? La cosa migliore è che il lettore vada a guardarsi la fonte. Noi qui offriamo una sintesi molto stringata, provando a riassumere per punti:
a) Il progetto di legge Scalfarotto potrebbe limitare la libertà di opinione, e bisogna evitare questa stortura.
b) Non bisogna però opporsi a una legge sull’omofobia, che rappresenta la tutela contro ogni “odioso incitamento alla discriminazione e alla violenza”. Una legge sull’omofobia in se stessa è più che accettabile, se non addirittura auspicabile.
c) Magari questa legge è una scelta inopportuna, ma “ha ben poco senso discettare se sia giusta o no”. “Ritengo che sia possibile accettare in linea di principio una legislazione contro l’omofobia” scrive D’Agostino.
d) Chi si oppone frontalmente alla legge commette un errore, perché rischia di passare per omofobo e di esacerbare il dibattito.
Provo a confutare punto su punto questa sorta di agenda programmatica che i vescovi italiani hanno deciso di adottare, in perfetta singolare sintonia con il partito di Mario Monti, Scelta civica:
a) Non è che il progetto Scalfarotto “potrebbe limitare la libertà di opinione”. Quella legge limita e limiterà sicuramente e gravemente la libertà di opinione, e la sta già limitando. Gli episodi di repressione culturale e mediatica contro chi considera contro natura l’omosessualità sono già oggi numerosi, e la legge ancora non c’è. Quando sarà entrata in vigore, fioccheranno le querele e le procedure avviate dai magistrati democratici, e per chi dice la verità sull’omosessualità non ci sarà, giuridicamente parlando, scampo.
b) Un giurista serio, viepiù se cattolico, non dovrebbe accettare nemmeno in linea teorica il concetto di “omofobia”: esso rappresenta la madre di tutti i deliri e di tutte le peggiori aberrazioni giuridiche promosse dalla lobby gay. E’ un’invenzione concettuale che serve solo a rendere normale – giuridicamente e socialmente – ciò che normale non è. Prendo atto - e mi pare fatto gravissimo - che la Conferenza Episcopale, il suo quotidiano, e il presidente dell’Unione Giuristi cattolici, considerano legittimo e – appunto – normale – che si accetti toto orbe l’idea di omofobia. La quale presuppone il riconoscimento della categoria degli omosessuali come “etnia” o gruppo identitario meritevole di una tutela specifica da parte dell’ordinamento giuridico. Facendo finta di ignorare che oggi, se uno dileggia, offende o aggredisce una persona che sia omosessuale viene comunque punito dall'ordinamento. Una volta digerito questo rospo, tutto diventa possibile e anzi inevitabile: dai matrimoni gay, all’adozione da parte di due uomini o di due donne, all’accesso alla fecondazione in vitro da parte di lesbiche, uomini omosessuali che trovino uteri in affitto.
c) Per me, filosofo del diritto, questo è il punto più drammatico: si dichiara apertamente che ormai non si intende più giudicare le leggi come giuste o ingiuste, ma che si preferisce misurarle con il parametro dell’opportunità. Ora, se la filosofia del diritto non serve a distinguere leggi giuste da leggi ingiuste, ha esaurito il suo compito fondamentale. Che una legge sia “opportuna” è criterio che può garbare a Macchiavelli e a Guicciardini, a Stalin e a Hitler, o – si parva licet - a Barack Obama e a Laura Boldrini. Ma che il presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani dichiari coram populo che le leggi vanno pesate con la bilancia dell’opportunità, e non della diade giusto-ingiusto, beh, è un fatto che lascia di sale. Tommaso d’Aquino e i radiomessaggi natalizi di Pio XII, l’ininterrotto magistero della Chiesa, l’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, insegnano una dottrina ben diversa. Del resto, sono ormai anni che Avvenire ha scelto di utilizzare strani criteri “elastici” di fronte alle leggi gravemente ingiuste (leggi che per San Tommaso e il Magistero “cessano di esser leggi”): i lettori avranno notato che, se ad esempio una nazione legalizza l’aborto, il quotidiano della Cei titola: “Strappo dell’Irlanda”. Trasformando l’argomento da materia di dottrina in una questione di cuciture e candeggio sbagliato.
d) Quest’ultimo punto è il colpo di grazia riservato a quei pericolosi testoni integralisti che, invece di venire a miti consigli con gli Scalfarotto, persistono nel contestare frontalmente la legge sull’omofobia. Ad esempio La Nuova Bussola Quotidiana e quei Giuristi per la vita che in poche settimane, senza mezzi economici e senza spazi significativi sui media clericali, hanno sollevato il caso e lo hanno fatto diventare una notizia mediatica e politica. Come sarebbe più bello il mondo – sembra lasciar intendere l’editoriale di Avvenire - senza gente così poco flessibile, così rigida, così ossessionata dai principi non negoziabili, così ancorata all’idea che esistano leggi giuste e leggi ingiuste. Gente che complica i rapporti con il Quirinale, che rende la vita difficile al prezioso governo Letta, e che magari, a furia di dare questa immagine battagliera del cattolicesimo, finisce col far mettere in discussione l’8 per mille.
Concludo con una domanda. Preso atto che Avvenire e il Presidente dell’Unione Giuristi cattolici italiani si dichiarano in linea di principio favorevoli a una legge sull’omofobia, mi chiedo: quanto influisce su questa posizione la presenza di un gruppo di pressione omosessuale all’interno della Chiesa cattolica?